IL PROCESSO DI VERONA, LA FUCILAZIONE DI GALEAZZO CIANO ED ALTRI CINQUE GERARCHI.
IL PROCESSO DI VERONA, LA FUCILAZIONE DI GALEAZZO CIANO ED ALTRI CINQUE GERARCHI.
La cronaca che segue è quella di una delle tragedie che si verificarono nell’immediato dopoguerra. Il fatto, che avvenne durante la Repubblica di Salò, non vuole essere in senso assoluto una cronaca politica, ma soltanto la sintesi di un avvenimento, di un pezzo di storia italiana e la storia di ogni colore, non va dimenticata!
Edda Ciano morì il 10 aprile 1995.
Nelle correlate è accluso il filmato della intervista a Edda Ciano avvenuta tempo dopo l’esecuzione del marito, contiene le dichiarazione di Edda Ciano, scene della fucilazione di Galeazzo Ciano e alcune di piazzale Loreto. Del video che è dell’Istituto Luce, pur essendo un filmato pubblico, ne sconsiglio la visione a persone impressionabili.
Alberto Del Grosso
La mattina del’11 Gennaio 1944 Galeazzo Ciano lasciò il carcere degli Scalzi, la sua vita stava per finire.
Colui che era stato il “delfino” di Mussolini, il secondo uomo più importante del fascismo, marito di Edda, sta per finire disteso come un sacco di stracci sull’erba ghiacciata.
IL PERCHE’ DELLA SUA CONDANNA A MORTE
Il 25 luglio 1943, quando l’opposizione interna guidata da Dino Grandi (che si coordinava con il Quirinale) stava infine per sconfiggere Mussolini, Ciano vi si unì. Al Gran Consiglio del fascismo, infatti, votò l’ordine del giorno di Grandi (insieme ad altri diciotto gerarchi), approvando perciò l’indicazione contenuta nella mozione, volta a che il re riprendesse in mano l’esercito e il governo della nazione; quello di Ciano contro il suocero, fu un voto pesantissimo e dalle conseguenze irreversibili.
Questi avrebbe avuto modo di fermare l’azione di questa fronda, invece, rinunziando in un certo senso a opporsi, la agevolò sia convocando il Gran Consiglio (che non si riuniva da diversi anni e che non era ritenuto da autorevoli giuristi dell’epoca competente a deliberare sul tema dei rapporti istituzionali tra Governo e Monarchia), sia consentendo di mettere ai voti la mozione.
Invece il Gran consiglio del fascismo avanzò la proposta di destituire Mussolini. Ciano aveva espresso voto favorevole alla mozione, schierandosi così contro il suocero e dando un colpo mortale al prestigio del Duce.
Dopo la firma dell’armistizio, però, Ciano viene arrestato dai tedeschi e consegnato alla Repubblica Sociale, costituita da Mussolini a Salò sul Lago di Garda. L’ex ministro degli Esteri e altri gerarchi – Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli, Emilio De Bono e Carlo Pareschi – vengono giudicati colpevoli di alto tradimento al processo di Verona.
Ad opera di Alessandro Pavolini si allestiva infatti il processo ai “traditori” del 25 luglio, e il voto al Gran Consiglio fu considerato alto tradimento (sebbene si trattasse giuridicamente di una grossolana forzatura, resa peraltro di improbabile giustificabilità procedurale con l’applicazione di norme penali retroattive). Durante il processo gli inquirenti trattarono Ciano quasi con benevolenza, come a preludere una possibilità di scagionamento; in realtà si fece questo per il timore che urtando Ciano, lui raccontasse cose sgradite del regime, non certo convenienti in quel momento. Ciano venne invece riconosciuto colpevole insieme a Marinelli, Gottardi, Pareschi e al vecchio Maresciallo Emilio De Bono (oltre che a molti altri gerarchi contumaci). La sera prima dell’esecuzione Ciano si rifiutò in primo momento di firmare la petizione di grazia al Duce ma poi pressato dai suoi compagni di carcere, finì per accettare. Pavolini indispettito, passò l’intera notte a cercare un funzionario che firmasse la respinta a tale domanda di grazia. Tutti si rifiutavano di firmare e alla fine trovò o meglio costrinse un piccolo funzionario a firmare contro la sua volontà. Cosa sarebbe successo se la petizione di grazia fosse arrivata a Mussolini? Probabilmente nulla e si suppone che Mussolini stesso cercò di evitare che tale documento arrivasse nelle sue mani.
L’11 gennaio 1944 avvenne l’esecuzione di Ciano al poligono di tiro di Verona, insieme agli altri quattro ex-gerarchi, legati a sedie e fucilati alla schiena come in uso ai traditori. La morte fu affrontata dal genero del Duce con grande fermezza d’animo e dignità. Prima degli spari si girò verso il plotone di esecuzione, un gesto di sfida di chi non ha paura della morte. Un cineoperatore tedesco riprendeva tutta la scena e sicuramente il film serviva ai tedeschi malfidati per controllare se al posto di Ciano non ci fosse stato un sosia e probabilmente una copia dello spezzone fu inviata a Berlino per essere visionata da Hitler in persona che voleva assicurarsi del grado di affidabilità del suo alleato. Ciano non venne ucciso immediatamente, fu necessario il colpo di grazia con due proiettili alla testa. Il crudo filmato, realizzato dal cineoperatore tedesco, scomparso nel nulla durante i primi governi De Gasperi, è stato ritrovato grazie a Renzo De Felice che possiamo vedere qui:
PERCHE’ NON FU SALVATO DAL SUOCERO
Si è molto discusso se questa conclusione significò che Mussolini non volle proteggere il suo congiunto, o semplicemente che non poté, impaurito dalla probabile sconsiderazione agli occhi di Hitler. Il generale Karl Wolff alla domanda di Mussolini:”Se grazio mio genero, il Führer la prenderebbe male?” rispose:”Sicuramente si, Duce.” Molti osservatori fanno notare che se Mussolini avesse commutato la condanna a morte di Ciano, lui stesso avrebbe perso ogni residua credibilità. Edda, sinceramente innamorata di Ciano, attraversò mezza Italia con mezzi di fortuna per raggiungere il quartier generale della RSI e quindi la prigione, ma tutti i suoi tentativi di soccorso, comprese le intuibili drammatiche suppliche al padre (che la considerava figlia prediletta), furono vani. Ma Mussolini volle davvero la condanna a morte del genero, Galeazzo Ciano, colpevole di averlo tradito per avergli votato la sfiducia ?
La storia di dice si, mentre pare che tra il Duce e il generale Karl Wolff vi furono numerose telefonate alla disperata ricerca di una strada per far cambiare idea a Hitler, il più intransigente sostenitore dell’esecuzione capitale di Ciano. Richiesta d’aiuto che, peraltro, Wolff non poté soddisfare in quanto, a sua volta, non in grado di influire sulle decisioni del Führer.
Un’importante conferma all’ipotesi che quelle condanne a morte, fortemente volute dalle componenti più intransigenti del fascismo repubblicano (da Pavolini a Farinacci), non furono mai approvate da Mussolini, obbligato, in un certo senso, a subirle, viene dalle lettere inviate al Duce dalla mamma di Galeazzo Ciano, la contessa Carolina. Una, molto importante, è stata recuperata dallo storico bresciano Lodovico Galli, che l’ha resa nota nel suo libro Relazioni e appunti della Rsi .
È sufficiente leggere alcune frasi di Carolina Ciano per rendersi conto che una madre non può usare quel tono e quelle parole rivolgendosi a colui che ha voluto la morte del suo adorato figlio. Già prima che s’insediasse la Corte Speciale di Verona, il 2 novembre ’43 aveva scritto al Duce: «Il cuore di una mamma è sempre perdonato in qualsiasi momento e ora il mio cuore non può tacere davanti allo strazio di questa situazione tremenda. Venga pure giudicato mio figlio, come tutti gli altri. Ma dal mio cuore lacerato si eleva un grido di sdegno contro le accuse false e insussistenti di questi scalmanati accusatori che si permettono di gridare in pubblico che “per primo sarà fucilato Galeazzo Ciano, perché è l’uomo più ricco d’Italia”. Galeazzo è stato troppo buono e generoso con tutti. Forse oggi sono proprio loro quelli che gridano la sua morte. Mio figlio, che ben conosci, è un galantuomo».
Ecco invece una sua lettera in data 26 marzo ’44 in cui si legge: «…Tu sei troppo buono per non occuparti con tutta la tua anima dei tre nostri nipotini (Fabrizio, Raimonda e Marzio che la mamma, Edda, aveva portato con sé fuggendo in Svizzera; n.d.A.) che rappresentano il domani e che entrano nella vita con questa formidabile amarezza». Altra lettera, in data 10 aprile, chiaramente in risposta ad uno scritto del Duce mai ritrovato: «Mio carissimo. Sono commossa per le tue buone parole. Tutto quello che fai e farai per me è rivolto soltanto ai nostri tre cari nipotini. La mia Pasqua è stata triste come la tua. Sola con i miei pensieri e lontana dalla cara Edda e dai bambini. Dal mio animo grato, i miei auguri di una pace che meriti». Alla luce di queste parole, è impossibile pensare che non vi fosse una piena e totale condivisione di sentimenti tra i due consuoceri. È la riprova che il potere di Mussolini, all’epoca della Rsi, non esisteva più.
UN RETROSCENA STORICAMENTE INTERESSANTE
Era cosa risaputa che il conte Ciano avesse dei diari segreti e a cavallo tra il 1943 e il 1944 si venne a sviluppare un piano che puntava alla liberazione di Ciano in cambio dei suoi diari che vedeva coinvolti il tenente colonnello Wilhelm Höttl, capo del servizio segreto tedesco in Italia e Ernst Kaltenbrunner, comandante in capo del Reichssicherheitshauptamt, responsabile delle operazioni dei servizi segreti in Germania e all’estero. Si prevedeva un’azione di forza tedesca per liberare Ciano ed acquisire i diari, così come Frau Beetz la propose il 28 dicembre al generale Harster. L’operazione che avrebbe dovuto svolgersi mantenendo Hitler all’oscuro di tutto fu denominata: “Operazione Conte”. L’operazione fu bloccata da Hitler il quale, venuto a conoscenza della cosa,decise di non concedere il suo avallo>.