Salerno. Centro storico a rischio. Gli immigrati e la crisi, come cambiano le regole di convivenza in città

1 dicembre 2016 | 00:00
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Salerno. Centro storico a rischio. Gli immigrati e la crisi, come cambiano le regole di convivenza in città

Salerno. Come al solito sono alla mia finestra, sto guardando cosa succede nel quartiere. C’è un bel via vai di persone. Negli ultimi anni i volti delle persone che vivono nel nostro centro storico sono cambiati: ci sono persone dal colore della pelle diverso dal nostro, spesso vivono (non si capisce bene in quanti) nella stessa casa. Sono bengalesi, srilankesi, qualche africano. Sono arrivati in Italia da soli. Qualcuno è qui con la sua famiglia. Sono venditori ambulanti, di qualsiasi cosa: se piove propongono ombrelli di ogni dimensione; la sera offrono rose in cambio di qualche moneta. Si tuffano anche loro nella movida che ormai non ci fa dormire più sonni tranquilli, che lascia le strade sporche, che ha trasformato il nostro rione più in un ritrovo di locali che non la residenza di abitazioni. Il centro è stato abbandonato dai residenti storici. C’è chi resiste ancora, chi protesta in continuazione, chi ha scelto di aderire al comitato di quartiere ed insiste con le istituzioni per avere più controlli perché non si sente al sicuro, perché vuole più pulizia o per frenare il rilascio quasi “selvaggio” di licenze dell’ennesima bottega del “mangiare veloce ed a poco prezzo” che nel giro di qualche mese chiuderà per dare spazio ad un’altra bottega dello stesso genere e specie. Intanto si rimpiangono i vecchi artigiani che con il tempo e la crisi hanno abbassato le saracinesche dei loro negozi: la salumeria dove la casalinga passava la mattinata a parlare con le altre signore per farsi consigliare cosa cucinare, dove trovava il formaggio o il prosciutto più buono di Salerno ormai la ritroviamo solo nei racconti di chi nel centro storico c’è nato. Ed ecco che si affaccia il nuovo arrivato, chi dopo la ricostruzione del terremoto ha fatto l’affare del secolo ed ha acquistato casa. Sembra avere sempre l’aria del forestiero, gli sono sconosciuti tutti i segreti dei vicoli, le storie di chi ancora abita quelle case antiche. Siccome lavora in tutt’altra zona della città sembra che esca di notte per rientrare di notte. Seppure vive in uno dei vicoli, si aggira come un ladro. Se, invece, è attento ed ha uno sviluppato senso civico partecipa attivamente al comitato di quartiere e propone le cose che lui ha già vissuto da qualche altra parte o in un’altra città, ma che naturalmente sono lontane e distanti dal comune sentire locale. Anche le famiglie nel tempo hanno subito una trasformazione. Monogenitoriali, allargate, qualche volta ferite perché devastate da problemi e difficoltà, sono i profili dei nuclei familiari di oggi. Ciò che colpisce è che a colpo d’occhio danno l’idea di essere famiglie sole. Sembra essere venuta meno quella solidarietà che una volta riempiva e dava sapore all’aria del centro storico: un bambino poteva tranquillamente giocare in piazza perché altri ragazzi lo accoglievano mentre le mamme, quelle del quartiere, spiavano quanto succedeva. Oggi ogni famiglia vive nella propria casa. Forse solo nel rione Fornelle ancora si riesce a ritrovare questa dimensione comunitaria, che una volta caratterizzava anche Largo Campo, San Giovaniello, piazza S. Agostino. Da quanto tempo non ci capita di vedere arrivare un pallone e dietro, di corsa, un gruppo di ragazzi? A pagare le conseguenze dell’isolamento e della solitudine sono soprattutto gli anziani, che oggi vivono in un nuovo nucleo familiare formato da badanti che a loro volta non conosco nessuno del quartiere, spesso non conoscono bene neanche la lingua. Non è difficile vedere per strada persone che salutano o parlano con qualche anziano affiancato dal badante, che però non si ferma e fa perdere al suo accompagnatore un pezzo di ricordi e relazioni del suo passato. Dalla mia finestra sul centro storico vedo un altro personaggio: l’assistito che facilmente ritrovi davanti al bar. È la persona che meglio spiega dove sta andando il nostro sistema di welfare: si lamenta di tutto e di tutti, comprende e disserta di calcio come di politica; è un eccellente conoscitore dei meccanismi economici, al quale non va bene né quello che fa la sinistra né quello che fa la destra. Questa tipologia di persona ha una sola certezza: a lui spetta tutto, gli tocca per legge, ha innumerevoli diritti che il “sistema” gli nega. Mentre continuo a “sovrintendere” alla vita che passa sotto la mia finestra, un dubbio mi assale: ed io che sto guardando a chi somiglio? (Vittoria Caffaro – Il Mattino)