Monarchia di Napoli e Regno di Napoli
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Il Regno di Napoli fu opera del re delle Spagne. Prima di Ferdinando il Cattolico, e soprattutto prima di Alfonso I, non v’è regno, ma soltanto monarchia: un principe che era al vertice di una massa informe di nobili quasi onnipotenti, tanto forti che agli umanisti piacque qualificarli, con colorita esattezza, “reguli”, ossia piccoli re, […]
Il Regno di Napoli fu opera del re delle Spagne. Prima di Ferdinando il Cattolico, e soprattutto prima di Alfonso I, non v’è regno, ma soltanto monarchia: un principe che era al vertice di una massa informe di nobili quasi onnipotenti, tanto forti che agli umanisti piacque qualificarli, con colorita esattezza, “reguli”, ossia piccoli re, La storia anteriore agli aragonesi suggella un feudalesimo senza limiti, dove, per ripetere il linguaggio dei cronisti dell’epoca normanna, il “solito more” delle mutazioni politiche era lo spirito ribelle della “inconstantissima gens” nobiliare. Nobili sempre violenti, sempre senza altra legge e altro cimento che la violenza loro e dei masnadieri. Nulla avevano fatto gli angioini per porre riparo ad una situazione tanto deplorevole, salvo collocare i francesi negli incarichi e nei possessi, spogliandone i precedenti titolari. Le “Galliae consuetudines”, secondo cui tutti erano servi feudali e “cives liberos non habebat”riconfermavano le audacie dei potenti, accresciute dal fatto, sottilmente notato da Benedetto Croce, per cui il minore potere dei re angioini era in ragione diretta delle pretensioni dei grandi signori del Mezzogiorno della penisola. La lealtà alla corona era solo un debole legame giuridico che n on bastava a scongiurare le lotte intestine né le sedizioni dei vicini; e che nella debolezza della regina Giovanna erano cresciute in proporzioni di vera anarchia.
Alfonso il Magnanimo, per far suo il Regno, puntò sulle simpatie dei nobili. Per debole che fosse la tradizione monarchica, gli unici borghesi del paese, dimoranti a Napoli, preferivano un monarca diverso da quello sostenuto dai nobili. Le fazioni che dividono il paese fino al 1440 traggono origine proprio dal fatto che la nobiltà sostiene la candidatura di Alfonso di Aragona. Una cronaca anonima riferisce che in Sicilia gli inviarono offerte di adesione baroni potentissimi come il duca di Sessa, il conte di Loreto Gaspare di Agnino, Antonello della Ratta, Cristoforo e Ruggiero Gaetano, il conte Alvito.
L’inizio del regno di Alfonso I vede il consolidarsi del potere dei maggiori nobili. I baroni si assicurano l’esercizio della giustizia criminale, con mero e misto imperio, privilegio di Giovanna II che Alfonso deve confermare. Ve ne sono alcuni il cui potere supera quello del monarca. Basta citare il principe di Taranto Giovanni Antonio del Balzo Orsini, che aveva in suo dominio sette arcivescovadi e circa quattrocento castelli e che poteva camminare sul proprio territorio per quattordici giornate, il tempo sufficiente per andare dal Capo di 1leuca alla porta napoletana del Mercato. La gerarchia politica risultava tanto alterata che l’anonimo che descrive il regno del 1444, scoperto da C. Foucard nell’archivio di stato di Modena, attribuisce al principe di Taranto non meno di cinquecento lance sulle tremila di tutto il dominio e colloca Raimondo del Balzo immediatamente dopo Alfonso I, seguito dal principe di Salerno Raimondo Ursino. Solo al quarto posto è Fernando, “monsignore don Fernando fiolo de la maiestà del re di Ragona al presente”, nonostante fosse già legittimato quale erede della corona.
Fu Ferdinando che cominciò, con vari espedienti, a porre riparo a tale situazione con vari mezzi, specialmente con la legge del 9 ottobre 1462 che ordinava agli ufficiali regi di perseguire ex officio gli atti delittuosi, e con quella del 23 luglio 1466 che vietava ai baroni di prendere tributi dai vassalli fuori dei casi previsti dalla legislazione vigente. Ma ottenne soltanto di accendere l’inimicizia dei potenti, inimicizia che culminò nella ribellione del 1486 e nel volgersi della nobiltà dalla parte dei francesi all’atto della calata di Carlo VIII a Napoli.
Il plauso di molti scrittori accompagnò la corona nella sua tendenza a debellare le signorie feudali. Giuniano Maio nel suo De Maiestate suggerisce a Fernando I come programma di azione politica la costituzione unitaria del regno. Il romano Giuliano Perleone taccia Ferdinando di debolezza rispetto alla nobiltà, nonostante la repressione contro Antonello de Petruciis. Loise de Rosa concorda nel deplorare la mancanza di polso del monarca. Antonio de Ferrariis estremizza la questione proclamando l’illegittimità di tutti i feudi. E i giuristi centrano le loro dissertazioni nell’obiettivo politico di rafforzare il potere regio su quello degli strapotenti signori.
Ma i risultati furono modesti. L’enfasi patriottica, con cui, dopo la prima metà del secolo XIX, Enrico Cenni cantava come in Napoli la ragione e il diritto si fossero alleati per combattere gli eccessi feudali, non va al di là di una pura enunciazione. In realtà Fernando I concentrò la sua offensiva più nel cambiare i titolari che nel modificare la struttura delle istituzioni, con la qual cosa, per ripetere l’opinione di Camillo Porzio, “in sì basso luogo e sì disprezzabile sedettero, che … ad ogni Barone dettero animo di macchinar loro contro”.
Federico di Aragona cercò di conciliarseli concedendo nuove protezioni ai loro abusi e rimediando alla politica ostile di suo padre e di suo fratello. Ma, ciò facendo, non ottenne il loro amore, viceversa alimentò il loro orgoglio, perdendo d’altro canto il favore popolare. Gli è che i re aragonesi di Napoli erano impotenti a sradicare il male, per lungo tempo fomentato da normanni e angioini, Mancavano di forza sufficiente per farlo. Non erano in grado di far brillare il sole della corona sopra i pianeti gravitanti nell’orbita reale. Camillo Porzio vide il male e suggerì l’unica soluzione possibile, mettendo in evidenza la differenza tra la sottomissione ad Alfonso e l’arroganza verso i suoi successori. Perché il re di Napoli potesse tenere in soggezione i propri grandi vassalli era necessario che godesse di un potere superiore posto fuori del paese, di tal peso da renderli timorosi. Così era successo col Magnanimo, nonostante questi fosse loro debitore della corona, Non così per i successori, che furono oggetto di burla “mentre non possedettero altri stati”.
In sostanza, nel 1500 a Napoli vi fu monarchia perché vi era un re, tuttavia il regno non era istituzionalmente saldato con la società. La monarchia aragonese, salvo la breve parentesi di Alfonso I, per le ragioni addotte da Camillo Porzio, era la forma che ricopriva un brulicare di ambizioni particolari. I nobili si davano al maggiore offerente mercanteggiando, senza curarsi minimamente del buon andamento del regno. Un San Tommaso avrebbe negato l’esistenza stessa del regno per mancanza di rispetto di quel bene comune che nella filosofia tomista è superiore a quello delle parti e che invece a Napoli si presentava come la somma dei beni particolari di innumerevoli ribelli egoisti. Vi fu un nobile come il principe di Salerno che, sulla scia del tradimento dei Sanseverino, cercò nientedimeno che l’appoggio dei turchi pur di soddisfare le proprie ambizioni, non tenendo in alcun conto la fede cristiana e gli interessi del regno. Aveva ampiamente ragione Nicolò Machiavelli quando reclamava che li si distruggesse come “uomini al tutto nemici di ogni civiltà” Con loro, anarchici insignoriti, il regno di Napoli non esisteva perché era impossibile trovare un punto di unione per le popolazioni del Mezzogiorno della penisola.
Il regno cominciò ad esistere sotto Fernando il Cattolico perché l’immenso potere del re delle Spagne era tale che il suo solo annunciarsi fu sufficiente a rendere acquiescente la nobiltà ribelle. Qualche insensato come il principe di Salerno mantenne la sua spavalderia fino ai tempi di Carlo V meritando la burlesca lezione del grande imperatore, MA in generale il fiore dei nobili napoletani mutò il suo ribellismo in ammirazione e, una volta integrato il regno di Napoli nelle Spagne, furono i più leali e splendidi servitori del re.
La monarchia di Napoli, soltanto tale ai tempi di normanni angioini i e aragonesi, sarà sotto i re comuni delle Spagne il Regno di Napoli, centro di integrazione e di unificazione di tante sparse energie.