Parrocchia S. Maria Assunta

1 gennaio 1970 | 00:00
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Parrocchia S. Maria Assunta








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La storia della chiesa di Santa Maria Assunta è legata a quella del monastero benedettino di Santa Maria, che secondo una tradizione non documentata sarebbe stato eretto in occasione dell’arrivo a Positano dell’icona bizantina della Madonna, ancor oggi venerata nella nostra chiesa. Più verosimilmente, invece, l’abbazia fu fondata nella seconda metà del sec. X; il primo cenno documentale di essa lo ritroviamo in un manoscritto della fine del sec. XI, con il quale il duca Sergio di Sorrento concedeva all’abate Mansone del Monastero di Santa Maria di Positano la libera navigazione nelle acque del suo ducato.
L’abbazia godette di un grande prestigio fin verso la metà del sec. XV, quando l’ultimo abate benedettino, Antonio Acciappaccia di Sorrento, e i suoi monaci, forse spaventati dalle incursioni di predoni cilentani, abbandonarono il monastero. Dopo alcuni anni esso fu affidato a un abate commendatario nella persona di Nicola Miroballi, successivamente eletto arcivescovo di Amalfi. Tra gli abati commendatari che ressero l’abbazia di Positano ricordiamo il cardinale Vincenzo Maria Orsini, divenuto poi Papa Benedetto XIII. Tranne qualche eccezione, il periodo degli abati commendatari fu nefasto per la nostra chiesa. Del monastero si persero gradualmente finanche le tracce architettoniche, mentre la chiesa deperiva sempre più, nonostante i continui richiami degli arcivescovi di Amalfi e un profondo rifacimento cui fu sottoposta, a cura dell’abate Pirro Giovanni Campanile, nei primi anni del sec. XVII.
Nel 1777 l’ultimo abate commendatario, Liborio Marra, fu di fatto esautorato dal clero locale che pose mano ai restauri del tempio. I lavori durarono circa cinque anni; il 10 agosto 1783 l’arcivescovo Mons. Antonio Puoti consacró la chiesa totalmente rimessa a nuovo e il 15 agosto successivo incoronó l’icona della Madonna con una corona d’oro.
L’icona bizantina è verosimilmente giunta a Positano nel sec. XII ad opera dei monaci benedettini, i quali, a bordo delle loro navi, percorrevano le rotte commerciali e di pesca lungo le coste dell’Italia meridionale. Un documento conservato nell’archivio parrocchiale ricorda la dedicazione di una chiesa ad onore della Beata Vergine Maria nell’anno 1159 ad opera di Giovanni II vescovo di Amalfi.
La tradizione popolare, invece, vuole che l’icona sia giunta a Positano in modo prodigioso. Essa faceva parte del carico di un veliero proveniente dalle regioni orientali; giunta al largo di Positano, la nave incappó in una forte bonaccia che ne fermó la navigazione. Invano i marinari fecero ricorso a tutta la loro esperienza per riprendere il viaggio, gettando a mare una parte del carico. Poi, ad un tratto, sentirono una voce: “Posa, posa!”. Il pensiero corse subito a quella effigie della Madonna col Bambino: il prodigio fu interpretato come manifestazione della volontà della Vergine di restare in quel luogo. Il capitano diede ordine di dirigere la prua verso terra e la nave riprese a muoversi. Giunti a riva, i marinai consegnarono l’icona agli abitanti di Positano, i quali l’accolsero con gioia ed edificarono un tempio in suo onore nei pressi della spiaggia.
Anticamente Positano era affidata alla protezione del martire San Vito, del quale si conserva un pregevole busto reliquiario, di scuola napoletana del sec. XVI. È una delle più pregevoli opere della Costiera Amalfitana. Il capo, sbalzato in argento, probabilmente anteriore di un secolo, presenta elementi della scuola dei Laureana: appare eseguito su un modello vivente, come testimoniano le orecchie trattate con individuale naturalezza. La capigliatura presenta larghe ciocche, lisce, con un vivo gioco di piani. Il naso è dritto come il mento, le labbra sono sottili, Singolare è il trattamento della pupilla negli occhi appena incavati. Il busto è più convenzionale, decorato a grandi “ramages” su fondo sabbiato, inteso come vestito di giubba chiusa da graffe, sopra una camicia con il collo pieghettato. Su di una graffa è incisa data del 1599. Sulla graffa grande, divise da un calice ed ostia, si leggono le parole: SANTE VITE PROTECTOR POSITANI. Sul bordo inferiore del busto vi è l’iscrizione: REGE PHILIPPO TERCIO OPUS HOC COSTRUENDUM CURARUNT SUMTIBUS CONFRATERNITATIS MONTIS CORPORIS CHRISTI GUBERNATORES EIUSDEM – HONORATUS PORCIUS A. ET M. D. MARCUS AURELIO DURSO SILVESTRO MIRELLA DOMINICUS REMITA E P. MAX. CLEMENTE OTTAVO (Durante il regno di Filippo Terzo con i mezzi della Congregazione del Corpo di Cristo i governatori della stessa Onorato Porzio […] Marco Aurelio D’Urso Silvestro Mirella Dominico Romito fecero fabbricare quest’opera durante il pontificato di Clemente VIII).
La chiesa così come oggi si presenta al visitatore risale ai lavori compiuti tra il 1777 e il 1782, ed ai restauri degli stucchi e delle dorature realizzati circa un secolo dopo. Altri interventi particolari furono attuati nel 1982 per adeguare il tempio alle esigenze della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II.
Sopra l’altare maggiore si erge il tempietto con l‘icona bizantina; ai lati dell’abside vi è il coro in noce massiccio alle cui estremità due nicchie custodiscono l‘Addolorata (a destra) ed un pregevole Cristo alla colonna opera di Michele Trillocco del 1798 (a sinistra).
A destra dell’altare maggiore vi è la cappella di Santo Stefano all’interno della quale è custodita la statua lignea settecentesca della Madonna con Bambino. A sinistra c’è la cappella del SS. Sacramento.
Nel transetto, a destra, vi è l’altare della Circoncisione con un bel dipinto opera di Fabrizio Santafede datato 1599; di fronte a questo, l’altare della Madonna del Carmine con un dipinto proveniente dalla Certosa di Serra San Bruno in Calabria.
L’aula della chiesa è divisa in tre navate con cinque archi. Lungo la navata sinistra, procedendo verso l’uscita, dopo una porta laterale, si trovano le cappelle del Crocifisso, dell’Annunziata, di San Vito e di San Nicola di Bari; in quest’ultima è allestito un artistico presepe con pastori originali del ‘700. Lungo la navata destra, dopo l’accesso alla sacrestia, si trovano le cappelle di Sant’Anna, di Sant’Antonio, dell’Immacolata e di San Biagio.
Sopra la porta centrale vi è la cantoria con il maestoso organo meccanico inaugurato nel 2000. A destra un piccolo ambiente custodisce un delizioso fonte battesimale.
Nell’arco di confluenza tra la navata destra e il transetto si puó ammirare, sul lato destro, un pregevole bassorilievo (forse un antico reliquiario di San Vito) datato 1506. Di fronte ad esso una lapide del 1600 che ricorda la nomina ad abate commendatario di Positano del prete napoletano Pirro Giovanni Campanile: la lapide è sormontata da un bassorilievo con lo stemma dell’abate.
Al di sopra del portone della navata sinistra un quadro raffigurante il Cristo con la croce, risalente alla fine del sec XVI, fino a qualche anno fa collocato sopra l’altare del SS. Sacramento, un tempo sede dell’antica Congregazione o Confraternita del Corpo di Cristo.
Uscendo sul sagrato, a pochi passi dalla chiesa si erge il campanile, riedificato nel 1707 per opera di uno sconosciuto frate cappuccino ricordato in un frammento di lapide che si trova attualmente murata sulla parete esterna della chiesa lungo la via Vito Savino. Al disopra della porta del campanile è murato un bassorilievo di epoca medioevale raffigurante un pistrice e sopra di esso una lapide posta nel 1902 a ricordo del positanese Flavio Gioia, inventore della bussola.


L´ORGANO MECCANICO
I materiali impiegati nella realizzazione dello strumento sono di ottima qualità, come nella tradizione della Bottega, i somieri, a stecca e scomparto per tasto, sono stati realizzati in legno di rovere di Slavonia, le stecche e le false stecche sono in noce nostrale, i ventilabri in legno di sequoia guarniti di pelle di agnello bianco scamosciato, le tastiere sono ricoperte con legno di bosso e palissandro rosso, stesso legno per i pomelli dei registri, la pedaliera (concavo-parallela) è in rovere di Slavonia con i diesis ricoperti in ebano. Il sistema trasmissivo è del tipo meccanico sospeso per le tastiere, di rimando per la pedaliera, l´inserimento dei registri avviene elettricamente. Le canne, quelle di metallo sono state realizzate con leghe di piombo con stagno, variabili secondo le caratteristiche dei registri da 52% per le canne interne a 83% per le canne in mostra, mentre le tube della tromba posta in orizzontale sono in peltro. Lo strumento annovera molte canne in legno, il flauto matese 8´ è stato realizzato con legno di rovere di Slavonia, la quintadena 16´ e 8´, il basso 8´, il flautone 8´ e le prime 12 tube del trombone 16´ sono in abete cadrino di primissima scelta. In totale l´organo dispone di 1799 canne. L´intera cassa di risonanza è in legno di rovere di Slavonia massello, per tale occasione tinto, con un impiego di 12 mc. di legname. Lo strumento, concepito nella logica dei criteri del Werkprinzip, oltre al comando meccanico, puó essere azionato anche elettricamente, mediante l´apporto di una consolle, realizzata in legno di pregiato palissandro rosso, portante comandi elettrici, posizionata al lato sinistro dell´altare. I due comandi, indipendenti (meccanico ed elettrico), sono corredati da 256 memorie elettroniche (8×32), inoltre la consolle elettrica è dotata di un apparecchio midi capace di memorizzare e riprodurre le esecuzioni.




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