Le Madres de Plaza de Mayo" in Penisola Sorrentina

27 ottobre 2005 | 00:00
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Le Madres de Plaza de Mayo" in Penisola Sorrentina

Giovedì scorso fra Piano di Sorrento e Sant’Agnello hanno incontrato gli studenti presente Hebe de Bonafini, Presidente dell’Associazione “Madres de Plaza de Mayo”, a presentarle a Napoli è stato l’ex Console italiano in Argentina, Enrico Calamai e la scrittrice Daniela Padoan, autrice del libro “Le pazze”, edito da Bompiani, tratto da un colloquio con la de Bonafini, in prima fila, dopo il golpe militare argentino del 24 marzo 1976, nello sfidare la dittatura e conquistare la piazza, cercando, con decisione, di ritrovare i figli desaparecidos . .

Solo in seguito seppero che i militari avevano sequestrato e ucciso trentamila oppositori politici, ragazzi e ragazze torturati nei campi di concentramento clandestini disseminati nell’intero Paese, gettati in mare con i “voli della morte”. Furono le porte che si videro chiudere in faccia nei tribunali, nelle chiese, nei commissariati, a dar loro la misura del potere che le soverchiava e a spingerle in quella Plaza de Mayo dove avrebbero dato vita alla storica marcia che da ventotto anni continua, ancora oggi, ogni giovedì.

L’insegnamento delle Madri – ha affermato l’assessore Isadora D’Aimmo, parlandol’iniziativa – non ci parla solo del passato e della dittatura argentina ma del presente, di quanti giri dobbiamo ancora fare, tutti noi, tutti insieme, intorno alla Casa Rosada, intorno alla Plaza de Mayo, per continuare a riconoscere e a condannare le ingiustizie, la violenza e i soprusi, la corruzione e gli apparati .

Giovedì 27 ottobre è stata una giornata indimenticabile per le scolaresche della Penisola Sorrentina prima nell’aula consiliare di Piano poi a Sant’Agnellohanno incontrato , una delegazione dell’associazione “Madres de Plaza de Mayo”.
Gli alunni avranno l’occasione di ascoltare testimonianze dirette sui tragici fatti che insanguinarono l’Argentina nel periodo della dittatura, mietendo decine di migliaia di giovani vittime.
L’incontro è stato promosso dall’amministrazione comunale per offrire agli studenti l’opportunità di approfondire uno dei capitoli più cruenti della storia contemporanea, direttamente dalla voce narrante di madri che da 28 anni combattono per fare luce sul destino dei propri figli eliminati dal regime e tuttora “desaparecidos”, scomparsi.
“E’ per noi un onore – han dichiaratoil sindaco di Piano di Sorrento Luigi Iaccarino e di Sant’Agnello, Piergiorgio Sagristani -, ospitare le rappresentanti dell’organismo per i diritti umani più importante dell’America Latina e, senza dubbio, la principale forza di opposizione all’autoritarismo e alla repressione. La lotta delle Madres de Plaza de Mayo, come è noto, con il tempo ha superato la rivendicazione per i soli propri figli. Le madri hanno infatti dato un valore sociale al concetto di maternità “adottando” con la loro opera tutti gli sfruttati, gli emarginati ed i perseguitati”.
Fondata nel 1977, l’Associazione Madres de Plaza si batte per la difesa della vita, della dignità e dei diritti umani. All’inizio erano solo quattordici donne disperate che con coraggio si recavano presso i tribunali, le questure, le carceri, i sindacati e le chiese rivendicando il diritto di conoscere il destino dei propri figli. Con il passare degli anni la vera dimensione di quell’orrore venne allo scoperto: le Forze Armate avevano sequestrato e fatto sparire 30mila giovani, più di 10mila ne avevano fucilati in strada, 9mila furono fatti prigionieri politici e un milione e mezzo costretti all’esilio.
“Questa iniziativa assume un importante significato storico-culturale per il territorio cittadino – ha aggiunto il sindaco Sagristani -. E’ un impegno preciso, responsabile e meritevole di chi istituzionalmente è chiamato a rappresentare la collettività locale, risvegliando la coscienza civile di tutti e soprattutto dei giovani. E’ il patto sociale che si sono assunti tutti gli attori istituzionalmente chiamati a svolgere il proprio compito: dalla sensibilità professionale ed intellettiva del dirigente scolastico, la professoressa Cicalesi, all’intera amministrazione comunale”. Plaza de Mayo 30 aprile 1977: per la prima volta 14 donne “ingenue, vecchie e molto addolorate” scendono nella Plaza de Mayo a chiedere ragione della sparizione dei loro figli; la polizia, chiamandole “locas” (pazze), tenta di sloggiarle intimando loro di “camminare”. Così, camminando attorno alla piazza, inizia la lunga marcia delle Madres de Plaza de Mayo. Una marcia che partendo dall’esperienza dell’azionediretta e collettiva (“la piazza ci faceva sentire più forti”) le porterà all’avanguardia della lotta anticapitalistica in Argentina, le renderà capaci oggi di dare lezioni di coerenza (veri e propri pugni nello stomaco) alle “sinistre” riunite a Porto Alegre. Dopo aver portato solidarietà alle lotte degli sfruttati di tutto il mondo, le porterà, il 20 dicembre 2001, a fronteggiare, ormai ultra-settantenni, la polizia a cavallo nella stessa piazza, in prima linea nella rivolta argentina: letteralmente, non un passo indietro, come recita il titolo del libretto in cui le Madres ci raccontano la loro storia.

Una storia fatta di molti passi avanti, fatti uno per volta, con quotidiano coraggio e coerenza. Scese in piazza per darsi forza, per superare la paura (“in piazza eravamo tutte uguali”), sperimentate le prime forme di resistenza collettiva e di sfida di fronte alla repressione, scontratesi con l’assenza totale di risposte sul destino dei loro figli da parte del potere e degli organismi internazionali, esse si trovano di fronte ad un bivio. Morti i figli desaparecidos, si chiedeva loro, come a ogni madre, di chiudersi nel lutto, di onorare la memoria degli scomparsi, di consegnare la loro tragedia al passato. E di lasciar prosperare gli assassini, sotto qualunque maschera -militare, peronista o democratica- si volessero presentare.

Non è andata così.

A chi chiedeva di accettare la morte senza spiegazioni, le Madres hanno cominciato a chiedere “la ricomparsa in vita”. A chi proponeva di ricercare le tombe, esse rispondevano: “nessuna tomba può contenere un rivoluzionario”. A chi gettava l’amo della legge del Punto Finale (opera di Alfonsin, il cocco delle social-democrazie europee), le madri hanno risposto:

“Non vogliamo la lista dei morti, vogliamo i nomi degli assassini. Non vogliamo l’oblìo, perché vogliamo che ciò che è avvenuto non si ripeta mai più. Non dimenticheremo, non perdoneremo. A noi non interessa che i desaparecidos siano ricordati e le madri stimate. Vogliamo che i nostri figli siano imitati. “

È un salto di qualità. Persi per sempre i corpi, decidono di battersi per far vivere la ragione di vita dei loro amatissimi figli: la lotta, gli ideali cui hanno sacrificato, in 30.000, la vita. Dall’essere madri di rivoluzionari diventano madri rivoluzionarie. E invece di ricercare i figli in fondo all’oceano o nelle fosse comuni, li ricercano e li trovano in chiunque porti avanti la lotta, in Argentina, in tutto il continente e nel mondo intero: gli operai in sciopero, gli indigeni di cui denunciano il genocidio, e via via allargando il loro raggio di solidarietà e di azione: “I nostri figli tornano ogni volta che uno grida, che uno protesta…”

Le Madres sono state ricevute da tutti, ma da quanti è stata veramente compresa la loro lezione? Non sicuramente da coloro che trovano “commovente” la loro vicenda e che si soffermano sulla tragedia umana che le ha spinte alla lotta. Sono gli stessi che “le capiscono”, le compiangono e perciò pensano che la loro “follia” vada tollerata. Che tentano di riproporre in loro lo stereotipo della madre che a tutti i costi si batte per i propri figli (e solo per loro). Che abbracciano le madri e fanno affari e accordi politici con gli assassini. Tutti (o quasi) ricevono le madres, ma -guarda caso- qui in Italia nessuna casa editrice si è fatta avanti a pubblicare il loro libro, frutto di una auto-edizione con il contributo dell’attrice Ottavia Piccolo. Esse devono essere una -possibilmente muta- testimonianza di un lontano passato e del dolore materno.

No, le Madres de Plaza de Mayo sono altra cosa. Sono l’esempio di come qualunque “semplice casalinga” dei quartieri popolari argentini possa, partendo dalle necessità più naturali, più elementari, arrivare a far politica e a comprendere la necessità della lotta a tutto campo contro il capitalismo.

Di come anche da una vicenda “particolare” (nel loro caso, la morte dei figli) si possa arrivare (purché lo si voglia) a decifrare con chiarezza le responsabilità politiche di tutto un sistema: “Noi (il popolo) non li abbiamo capiti, il sindacato li ha segnalati, la sinistra li ha consegnati in mano agli assassini, la Chiesa li ha lasciati soli…”

Di come la lotta non possa essere una fiammata momentanea ma di lungo respiro, al di là della repressione e delle momentanee sconfitte.

Esse sono per noi comunisti la testimonianza vivente di come si potranno formare, sotto la spinta dell’azione distruttrice del capitalismo, le forze destinate a confluire nel crogiuolo di formazione dell’organizzazione politica internazionale degli sfruttati.

Ma come funziona l’incontro in piazza, che a gennario arriverà alla 1500 esima volta. Alle 15 in punto, intorno al piccolo obeliso bianco al centro della piazza, che qui chiamano “La Piramide”, si aprono gli striscioni delle madri. Le donne argentine con un figlio scomparso, che da tanti anni ogni giovedi’per un’ora fanno il giro della piramide, si sono divise per una divergenza di posizioni circa il recupero dei corpi dei figli desaparecidos.


In piazza oggi c’e’l’associazione “Madres de Plaza de Mayo”, che fa capo ad Ebe de Bonaffide, e “Madres de Plaza de Mayo – Linea Fundadora”, che ha come sua responsabile Nora Cortinas.


La posizione di Ebe e’che ormai non ha senso chiedere al governo che mostri alle madri i corpi dei loro figli, perche’ ormai sono desaparecidos. Nora e la sua linea fundadora sono invece per la libertá di scelta delle Madri nella richiesta o meno di vedere il cadavere del proprio figlio scomparso. C’e’ poi, anche se senza striscione, l’associazione “Abuelas” (nonne), di Stella Carlotto, impegnata nel fornire assistenza ai figli dei dasaparecidos, e ai bambini nati durante la prigionia dei loro genitori.


Le madri sono anziane, incurvate dagli anni, avvolte nei loro foulard bianchi. Hanno volti solcati da rughe profonde, cariche di storie. I loro occhi sono asciutti come quelli di chi ha finito le lacrime da tempo, le loro mani grinzose sostengono a fatica lo striscione. Quello delle madri di Ebe recita “No al pago della deuda externa”, “No al pagamento del debito estero”, una battaglia che da molto tempo e’ a cuore alle irregolari, come le ha chiamate Massimo Carlotto nel suo libro.

Tutte girano intorno alla piccola piramide, con passi lenti, in silenzio, per un’ora. Raccolgono qui e lá gli applausi di chi, come noi, e’ venuto a salutarle camminando con loro, e che come noi non puó che commuoversi davanti alla loro storia di lotta paziente, dolorosa, senza fine.


Alle 4 in punto il giro si ferma, gli striscioni si piegano. Il giovedí delle madri sta finendo, e come ogni volta terminerá in un caffe’.

Non possiamo fare a meno di dir grazie a queste donne per ció che e’ e rappresentano per noi

Michele Cinque