Madre plaza de Mayo intervista

29 ottobre 2005 | 00:00
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Madre plaza de Mayo intervista

Piano di Sorrento. “La paura è come stare in una gabbia senza sbarre. Uscite fuori.” E’ questa la frase detta da Hebe de Bonafini la presidente dell’associazione Madres di Plaza de Mayo venuta ad incontrare le scuole aPiano di Sorrento giovedì 27 ottobre per ricordare la tragedia dei desaperecidos ai ragazzi delle scuole medie che esitavano a far domande.

E le risposte sono state di un’intensità struggente e commovente. Le madri de Plaza de Mayo sono famose in tutto il mondo perché ogni giovedì si recavano in questa piazza sfidando il regime, la dittatura, manifestando pacificamente per riavere i loro figli, scomparsi, “desaparecidos”, solo perché la pensavano in maniera diversa dal regime a volte senza neanche qualche atto o scritto concreto, solo perché la pensavano in maniera diversa, in particolare gli studenti come racconta il film “La notte delle matite spezzate” (che mamma Hebe ha confermato come realistico “a parte il motivo su come si è salvata la voce narrante: si è salvato perché era figlio di un commissario di polizia”).Perché avete protestato in piazza? “Abbiamo protestato in piazza per sensibilizzare gli argentini su quello che stava succedendo. Eravamo poche e poi abbiamo cercato altre madri, ogni giovedì andavamo in piazza e ogni volta venivamo portate in carcere in questura.”

Quante eravate all’inizio? “All’inizio eravamo in quattordici poi ad un certo punto siamo arrivate ad essere duecento, ma dopo che fecero sparire le tre madri organizzatrici ritornammo ad essere quattordici, ma ricominciammo tutto daccapo”

Vi maltrattavano le forze dell’ordine? “La polizia ci picchiava e bastonava, fino al 2001 quando ancora in piazza, ormai in molte vecchissime, venivamo prese a frustate e caricate dalla polizia a cavallo”. Ed ora come va col Governo? Ci sono ancora gli uomini coinvolti nella dittatura? “Ora il Governo pensa ai diritti civili, ma ci sono ancora moltissimi uomini coinvolti nella dittatura, erano tutti complici. C’era chi torturava e chi osservava, poi chi osservava torturava a sua volta. Una complicità, una cupola che e ancora molto presente anche se l’ultimo presidente ha allontanato ben sessanta generali al suo insediamento dopo che gli avevamo fatto una lista di nomi.” Siete certe che i vostri figli siano morti? “Si, ma i nostri figli sono sempre vivi in noi. I nostri figli ci hanno partorito, partorito alla lotta. Ci hanno insegnato cosa fosse la solidarietà, che significa dare il meglio, non la beneficenza, che è dare il superfluo. Loro sono sempre vivi in noi con i loro sogni e le loro speranze.”

Quanti figli ha perso e cosa hanno fatto? “Noi non parliamo dei nostri figli, ma di tutti i desaparecidos. Io ho perso quasi tutta la famiglia, loro cercano di distruggere tutto il nucleo familiare.” Perché non avete convinto i vostri figli a non seguire l’idea di andare contro il regime? “Perché io lascio libero i miei figli. Non importa quanto vivi ma perché e che valore dai alla vita tua e dell’altro. A noi non interessa che i desaparecidos siano ricordati e le madri stimate. Vogliamo che i nostri figli siano imitati perché bisogna lottare per i propri diritti, per i propri ideali, bisogna interessarsi della vita e della politica e i giovani lo possono fare ora studiando e non avendo paura di vivere.

Michele Cinque