Una proposta all’amministrazione. Riflettiamo insieme
E’opportuno, e anzi doveroso, che lo Stato adotti una fiscalità di maggior vantaggio per i centri storici protetti dall’Unesco (Roma, Firenze, Venezia, Napoli, San Gemignano, Vicenza, Siena, Ferrara, Assisi, Urbino, i Sassi di Matera, Pienza, Verona, Ravello, Amalfi, Positano, le città barocche della Val di Noto). Questa fiscalità postula sgravi, impositivi e contributivi, ai soggetti pubblici e privati interessati e alle imprese chiamate ad operare nell’area. Tali incentivazioni si giustificano per i più delicati e perciò anche più costosi interventi volti alla conservazione e valorizzazione dei centri storici proclamati dall’Unesco patrimonio dell’umanità e, come tali, da trasmettere integri alle generazioni future. Per effetto della concessione dell’ambito riconoscimento scatta a carico dello Stato il preciso obbligo di salvaguardia e riqualificazione in base alla Convenzione Unesco di Parigi del 1972 per la protezione del patrimonio mondiale agli artt.. 4 e 5. In ciò secondata dall’Ue che, in conformità all’art. 151 del Trattato istitutivo, promuove “la conservazione e la salvaguardia del patrimonio culturale d’importanza europea” e, nel contempo, mediante l’Iva ridotta, promuove le attività ad alta intensità di lavoro quali gli interventi di restauro.
Peraltro, la fiscalità di vantaggio attiva celermente un enorme afflusso di capitali, perché operando da moltiplicatore degli investimenti incentiva gli stessi interessati a impiegare le proprie risorse e, grazie ai bassi interessi, attingerne altre dalle banche. Per cui sono indotti essi stessi a farsi protagonisti della rigenerazione degli antichi quartieri, sotto il controllo delle competenti autorità.
In quest’ottica, diversi studiosi hanno proposto che lo Stato, per il centro storico di Napoli, riconosciuto dall’Unesco “patrimonio culturale di valore universale eccezionale”, adotti una fiscalità di ulteriore vantaggio (ad esempio una detrazione Irpef del 70 per cento, l’Iva al minimo consentito dalla relativa direttiva, congrua riduzione dell’Ici e dei contributi previdenziali) per i più impegnativi e perciò anche più onerosi interventi di consolidamento statico, di risanamento conservativo e comunque di restauro richiesti dalla conservazione e dalla valorizzazione dell’area tutelata secondo la perimetrazione vigente nel 1995, anno dell’ambito riconoscimento, e con l’esclusione degli immobili postbellici sostitutivi di quelli bombardati.
Riflettiamo insieme, da anni siamo patrimonio Unesco, ma sappiamo che significa?
Peraltro, la fiscalità di vantaggio attiva celermente un enorme afflusso di capitali, perché operando da moltiplicatore degli investimenti incentiva gli stessi interessati a impiegare le proprie risorse e, grazie ai bassi interessi, attingerne altre dalle banche. Per cui sono indotti essi stessi a farsi protagonisti della rigenerazione degli antichi quartieri, sotto il controllo delle competenti autorità.
In quest’ottica, diversi studiosi hanno proposto che lo Stato, per il centro storico di Napoli, riconosciuto dall’Unesco “patrimonio culturale di valore universale eccezionale”, adotti una fiscalità di ulteriore vantaggio (ad esempio una detrazione Irpef del 70 per cento, l’Iva al minimo consentito dalla relativa direttiva, congrua riduzione dell’Ici e dei contributi previdenziali) per i più impegnativi e perciò anche più onerosi interventi di consolidamento statico, di risanamento conservativo e comunque di restauro richiesti dalla conservazione e dalla valorizzazione dell’area tutelata secondo la perimetrazione vigente nel 1995, anno dell’ambito riconoscimento, e con l’esclusione degli immobili postbellici sostitutivi di quelli bombardati.
Riflettiamo insieme, da anni siamo patrimonio Unesco, ma sappiamo che significa?
Michele Cinque