Un po di storia i ponti saltati durante la seconda guerra mondiale

Positano è cosi straordinaria che sembra un paese destinato soltanto alla villeggiatura, al riposo, alle giornate di ozio sotto il sole, all’ombra profumata degli aranci e dei limoni, alle notti indimenticabili sul mare. Qui la guerra sembra una parola fuori luogo, una parola portata da qualcuno che è venuto da lontano e che ha una guerra da raccontare. Al massimo si potrebbe paventare uno sbarco di pirati, come ai tempi dei Saraceni. E, invece, l’ultima guerra mondiale è passata anche da Positano. Ed ecco come Aniello Cappiello, proprietario dello stabilimento balneare e ristorante “La Marinella” al Fornillo e di una boutique, ricordava ciò che ha fatto il padre durante l’ultima guerra, l’ospitalità che ha dato ai soldati e fuoriusciti dall’uno e dall’altro campo, a persone che egli considerava soltanto “forestieri” i quali avevano bisogno di aiuto, rispecchiando cosi una cratteristica propria del positanese ospitale e discreto. “Durante l’ultima guerra – ricorda Aniello – mio padre ha fatto molto. Si dice che lui da una parte aveva nascosto i partigiani e da un’altra magari un nazista e da un’altra ancora altre persone, magari degli inglesi. Non lo so di preciso. Si dice anche, questo lo so, che mio padre era un uomo buono, generoso. Per lui queste erano soltanto persone sbandate, fuori di casa, lontane dalle famiglie, persone che avevano bisogno di aiuto, ricovero, di assistenza morale. Giovanni Cappiello gliela dava questa assistenza morale e anche quella materiale: offriva loro anche da mangiare. Gli americani stavano qui prima dello sbarco di Salerno. Il colonnello Stevens, inglese stava a Positano, abitava vicino alla Chiesa di S. Caterina. Poi c’erano due maggiori americani che stavano nascosti qua con mio padre. Avevano una rradio. Ogni mattina andavano su, via montagna, a S. Maria del Castello, quella era la loro stazione radio dalla quale trasmettevano, sempre per cercare di fare meno morti. Mentre i Tedeschi non pensavano a questo. Gli alleati, per non fare arrivare i tedeschi a Positano, fecero saltare i due ponti con quattro quintali di dinamite da un lato e quattro dall’altro: il “ponte d’a funtana nova” e il “ponte dei pantanielli” che poi sono stati ricostruiti dopo la guerra. Li hanno ricostruiti mio padre e Falanga. I tedeschi arrivarono con una camionetta sul ponte dei pantanielli distrutto e spararono una sventagliata di mitra contro Positano. Facendo manovra, poi, per andare via, la camionetta precipitò nel burrone e morirono tutti. Allora c’era anche l’aerofono, sui colli; era una specie di radar con il quale gli americani sentivano tutti gli aerei e le navi, anche a cinquanta miglia lontano.
(tratto da Carmelo Pittari)
Da notizie da noi raccolte i positanesi si rifugiavano nelle grotte. “La maggior parte dei positanesi si rifugiava in una grotta ai Mulini, dietro il vicolo, una grotta di fronte a dove si trovano adesso anche gli uffici della Flavio Gioia e una boutique – dice Adriana Canosa -, ma altri positanesi si rifugiavano a Corvo, Le Camere a Liparlati e dovunque c’erano grotte, anche se quella dei Mulini era la principale e più ampia e sicura. Mio padre, per evitare rappresaglie, andò a seppellire i militari tedeschi.”
Da altre notizie abbiamo appreso che alcuni positanesi, spinti dalla fame, avevano comunque preso le ruote e cose dai militari in qualche modo utili a loro. Ma i corpi furono comunque seppelliti e dopo la guerra ripresi dai familiari.
I ponti poi furono ricostruiti verso il 1947, ma si passava con dei ponti in legno, bisogna dire pure che molti preferivano camminare per le montagne, vere e proprie autostrade, per raggiungere Napoli da Vico Equense o commerciare con questa cittadina. I confini attuali si spiegherebbero per questo, per i pascoli, per la prevalenza della vita in montagna e per la mancanza, all’epoca della definizione dei confini, di una strada.
Un’altra frana avvenne fra la prima e seconda guerra mondiale dove ora si trova la Garitta (forse anni Trenta) ancora oggi qualcuno chiama quel posto “ncopp a frana”, ma è una storia di cui non abbiamo alcun riscontro storico.