Miracoli e soldi non fanno rima. Men che meno in Calabria. Ci vorrebbero 19,3 miliardi per terminare o rimettere in sesto non solo l’autostrada che parte a Salerno e arriva a Reggio, ma anche le statali che dovrebbero attraversare in lungo e largo la regione. Compresa quella delle Serre per la quale – probabilmente – ha perso la vita due mesi fa l’imprenditore Antonio Longo. Longo aveva vinto due appalti: uno da 11,7 milioni e l’altro (condiviso con altre tre imprese) da 167,3 milioni. Una torta appetibile soprattutto da parte di chi è rimasto fuori da lavori che considerava per “tradizione” assegnabili ai soliti noti.
Le disponibilità finanziarie per i lavori stradali sono, però, appena il 30%: 5,8 miliardi di cui 3,6 assorbiti da quell’enorme imbuto che è l’autostrada dove le risorse spesso e volentieri arricchiscono le cosche.
Per i cinque macrolotti e i tre piccoli lotti della Salerno-Reggio Calabria le risorse disponibili coprono il 94% del costo complessivo dei lavori necessari nei 178 chilometri interessati. «Rispetto al passato – dichiara al Sole-24 Ore Marco Macchesi, segretario nazionale della Fillea-Cgil – i soldi per ammodernare la Salerno-Reggio ci sono, ma i tempi per aprire un cantiere viaggiano intorno ai 24 mesi e, se si aprono, spesso si chiudono per infiltrazioni mafiose o perché le imprese falliscono». «Gli importi finanziati sono completamente disponibili – replica l’Anas – e vi è l’impegno, per evitare il blocco, di completare i finanziamenti necessari al completamento dei lavori per non interromperli».
In Calabria quello che altrove è ordinaria amministrazione, fa rima con opacità. Sui 178 km della Salerno-Reggio interessate dai lavori, operano – in regime di appalto, subappalto e posa – almeno 556 imprese: tre ogni km. Se, però, si calcolano anche le circa 1.000 tra aziende e ditte che hanno lavorato nel primo lotto, si arriva al record (probabilmente mondiale) di un’impresa ogni 131 metri sull’intera tratta.
Il giorno in cui Fillea-Cgil (il sindacato degli edili) rende noto il dossier con tutti questi dati aggiornati all’8 aprile, «frutto – tiene a specificare Renato Bifelari del sindacato – in gran parte di elaborazioni tratte dal sito dell’Anas», le reazioni non si fanno attendere.
L’Anas non concorda e tende a sminuire soprattutto la frammentazione. « Il proliferare dei subappalti non appare della dimensione segnalata – dichiara al Sole-24 Ore Gavino Angelo Coratza, direttore centrale nuove costruzioni – e con riferimento al macrolotto 5, che è in avanzata fase d’esecuzione, le cifre dimostrano che per un investimento di 1,065 miliardi, le imprese affidatarie del contraente generale sono 49 e i subappalti interessano 33 imprese, per un totale di 82 imprese. La discrepanza con i numeri esposti dalla Cgil è senz’altro dovuta al fatto che i contraenti generali devono segnalare alle Prefetture per i controlli antimafia anche tutti i contratti di noli e/o di forniture, di qualunque genere, dagli inerti, ai calcestruzzi, ai prefabbricati sino alle forniture per ufficio o per le mense».
«Questa polverizzazione è una follia – dichiara Umberto De Rose, presidente di Confindustria Calabria – che va a tutto discapito della sicurezza, della legalità e della qualità dei lavori. Non abbiamo bisogno di questo in Calabria ma di trasparenza, sicurezza e legalità».
Parole grosse in questa terra dove solo nella provincia di Reggio sono attive oltre 100 cosche. Ma parole vere, le uniche che possono tirar fuori questa terra dalle sabbie mobili dalle quali rimangono fuori solo i boss che di appalti edili campano e fanno morire.
Per il solo completamento della Ss 106 Jonica ci sono a disposizione 1,9 miliardi e alcuni lotti sono anche partiti. Neppure il tempo di farlo che a Palizzi sono stati interrotti a febbraio a causa del sospetto di pesanti infiltrazioni. E ora quei contratti per l’Anas sono carta straccia. «Quello che è sbagliato – dichiara Macchesi – è il meccanismo del general contractor. È ora che gestisca in proprio il calcestruzzo nell’area del cantiere senza affidarsi a terzi. Ed è ora che si riutilizzino gli inerti per il calcestruzzo stesso, senza ricorrere alle cave, spesso in mano alla criminalità. Ma tutto questo non basta. Ci vuole una bonifica del territorio da parte dello Stato. Ma lo sa che la ‘ndrangheta controlla gran parte della manodopera?».
L’unico a non accorgersene – si rassicuri Macchesi – per il momento è lo Stato. Il resto del mondo lo sa.
fonte: ilsole24ore
Michele De Lucia