Caiazzo (CE). Le carte dell´arte.
Le Carte dell’Arte
Antonio Auriemma – Renato Barisani – Gianni De Tora – Carmine Di Ruggiero – Giovanni Ferrenti – Enea Mancino
Inaugurazione:sabato 10 maggio – ore 18.00 a Caiazzo, al Palazzo Mazziotti.
Interverranno: il Sindaco di Caiazzo Stefano Giaquinto e l’Assessore alla Cultura Tommaso Sgueglia, i critici d’arte Giorgio Agnisola, Franco Lista e Carlo Roberto Sciascia; coordina gli interventi il D.S. prof. Diamante Marotta.
In occasione della manifestazione gli artisti doneranno al Comune di Caiazzo una loro opera per un costituendo museo d’arte contemporanea.
Patrocinio: Provincia di Caserta, Comune di Caiazzo, Associazione Culturale Ars Supra Partes
Collaborazione: Pro Loco di Caiazzo, Associazione fotografica “Elvira Porto”, Forum Giovani Caiazzo, Fidapa Calatia.
10 – 23 maggio 2008
Orario di apertura: lunedì 8.30/12.30 – 15.30/18.30; martedì 8.30/12.30; mercoledì 15.30/18.30; giovedì 8.30/12.30; venerdì 8.30/12.30 – 16.00/18.00; sabato e domenica chiuso.
In catalogo i seguenti testi:
– “La calda pronuncia dell’astrattismo partenopea” di Giorgio Agnisola
– “Astrattismo come purificazione” di Franco Lista
– “Astrattismo a Napoli” di Carlo Roberto Sciascia
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La calda pronuncia dell’astrattismo partenopea di Giorgio Agnisola
Mi sembra che una particolare fisionomia segni la produzione artisticacampana nell’arco temporale che può delinearsi dall’astrattismo all’informale: una fisionomia non identificabile con una declinazione stilisticae leggibile piuttosto nel momento di annodare i fili nascosti del senso e della connotazione psicologica della produzione artistica, del suo portato umorale e spirituale; una fisionomia che potrebbe definirsi di sostanziale rinnegamento, pure all’interno di collaudati e generali percorsi della ricerca, diun’ espressionepuramente cerebrale ed emotivamente distaccata. Raramente infatti l’arte partenopea degli ultimi decenni interpreta modelli astratti privi di quella dinamica visiva che si legge anche come testimonianzadi una passione artistica e di una partecipazione ispirata: un segnodistintivo che verosimilmente è comune a molta arte meridionale e chenegli artisti campani acquista una cadenza rilevabile in particolare nell’opera di alcuni dei suoi maggiori più giovani e meno giovaniprotagonisti. Carmine Di Ruggiero per esempio, che ha a lungo indagato l’uso promiscuo dei materiali in una prospettiva geometrica, ma anche in una dinamica materica, testimonia in maniera esemplare il continuo sforare il dato puramente astratto-visivo, annettendo alla ricerca una pronuncia più interna e non di rado una trascrizione di sé intimamente lirica. L’arte di Renato Barisani, il decano degli artisti partenopei, che indaga da decenni una geometria connotata da vigilantissimi equilibri formali, ha sempre inseguito una calda armonia visiva. La sua arte risuona all’interno del dettato visivo, non è chiusa nel rigore dei segni , ma si apre a forme e volumi che catturano a annettono intensamente i piani e la luce in un equilibrio formale e compositivo che fondano potrebbe dirsi sul molteplice senso percettivo dello spazio in chiave luministica ed emozionale. Anche Gianni De Tora, artista recentemente scomparso, ha testimoniato nei lavori della seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, in cui forme cromatiche libere e brillanti campiscono luoghi interni e prospettici dello spazio visivo, una tensione intimistica, affidata alla dialettica tra il dinamismo scenografico dei segni e rigido e ribaltato gioco dei piani di luce. Lecostruzioni geometriche di Enea Mancino sono articolatissime trame costruttive che puntano al recupero di un equilibrio“miracoloso” e non di rado solenne della forma: di un luogo di origine si direbbe del linguaggio visivo, che si interpreta a partire da un centro reale e immaginario, matematico e intuitivo, in cui si può leggersi tanto una ordinata idea mentale quanto un principio spirituale, inglobando lo spazio in una sorta di riverbero a catena, solo in apparenza consequenziale, in realtà annesso sulla scorta di una fine e lucida tensione psicologica. Le stesse sculture di Giovanni Ferrenti, di cui sono note le grandi strutture in metallo, in cui pure è intuibile una tensione meccanicistica oltre che compositiva e una singolare allusione ad mondo organico e naturale, sono incomprensibili senza una prospettiva di luce, che sfiora il metallo, penetra i giochidei trucioli di ferro, gli agglomerati da utensileria meccanica e ne svela le trame segrete, la superficie ora rugginosa ora lappata, i complessi ingranaggi, i misteriosi meccanismi. Una luce che non di rado è leggerezza nei tentacoli di una formache non è mai statica, anche negli assetti più pesanti e aspira a liberarsi nell’aria mite del paesaggio partenopeo. La cifra pittoricadi Antonio Auriemma si situa infine in un suggestivo territorio di confine tra astrazione e sogno. L’immagine non è il luogo del riconoscimento della forma, ma del suo velamento, del suo traslato onirico, del suo transito fantastico. Le sue opere sono un delicatissimoracconto di forme misteriose che si inseguono nello spazio lievitato e improbabile di una dimensione totalmente interna. E’ il fine traslato nello spazio astratto di un intimismo romantico e poetico, a un tempo misterioso e familiare, il tracciato simbolico di una pacata e dolce narrazione psicologica, ma anche la ricerca di un luogo di equilibrio, sintetico e finale, in cui coniugare come in una preghiera ansia e armonia.
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Astrattismo come purificazione di Franco Lista
Nella sua più immediata fenomenologia, il rapporto che lega i sei artisti in mostra appare quasi una correlazione diretta del pensiero di Clement Greenberg , quando questi sostiene che l’astrattismo è l’ineluttabile risultato processuale del fare arte. Ovvero, l’arte, allontanandosi progressivamente dalle allucinazioni del realismo, subisce una sorta di “purificazione” che la porta al pieno dominio del campo pittorico.
Il suggestivo saggio di Greenberg, contenuto nel recente libro “Alle origini dell’opera d’arte contemporanea”, curato da Di Giacomo e Zambianchi, ci rinvia a quel unico contenuto astrattivamente sensibile, puro e originario, della pittura.
La ricerca di questo contenuto mi sembra, in buona sostanza, il filo ermeneutico che lega il lungo lavoro dei nostri artisti, assicurandone sia la profondità dei linguaggi, variamente orientati, sia quella particolare aura emozionale, evocatrice del mistero della pittura, che sempre accompagna l’arte astratta.
Lo sguardo di insieme, appena delineato, potrebbe contribuire a un ulteriore approfondimento del vasto repertorio di formed’espressione astratta, nell’area napoletana, indipendentemente dai modi rappresentativi e dalle declinazioni individuali dei singoli artisti.
Intanto, occorre dire, si è gia formata in proposito una cospicua letteratura storico-critica che coglie, attraverso un non semplice lavoro di sistematizzazione, i tratti storici e qualitativi della ricerca napoletana.
Antonio Auriemma, Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Giovanni Ferrenti e Enea Mancino sono tra i principali protagonisti di questa annosa ricerca che intreccia varie vicende; vanno visti, soprattutto in relazione al loro contesto storico e ambientale, come autentici battistrada di una ricerca che ha effettivamente portato le arti visive napoletane ad una condizione di necessaria e rinnovata “purificazione”.
“Le vicende dell’arte astratta a Napoli , scrive con efficace penetrazione critica Carlo Roberto Sciascia, si susseguono con logica continuità … soprattutto causata dalla vivacità e dalla varietà delle sedimentazioni e dei collegamenti culturali, rinnovatisi di generazione in generazione, negli ultimi decenni del Novecento”.
I nostri artisti sono quelli che rifuggirono dalla facile accessibilità del figurativismo, svolgendo un ruolo, pur con paradigmi diversi, assolutamente pionieristico ed esemplare.
Ricusarono senza alcun indugio quella generale condizione di “imagomania” che sempre di più si andava affermando e rispetto alla quale Roland Barthes notava la nostra totale dipendenza, così forte da anteporla agli “ideali dell’etica o della religione”.
Certo, al di fuori delle categorie canoniche, non è difficile percepire il rigore, la sensibilità, la forte passione contro la spregiudicata mercificazione delle immagini del nostro tempo.
Sono questi aspetti e valori che riverberano soprattutto nelle opere in mostra, dando conto della forte incidenza etica della lunga e straordinaria stagione dell’astrattismo nella nostra recente storia artistica.
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Astrattismo a Napoli di Carlo Roberto Sciascia
Le avanguardie storiche dei primi anni del Novecento hanno contribuito, sia pure in maniera diversa l’una dall’altra, al completo stravolgimento del concetto di arte, ponendo le basi per una nuova idea di arte e dell’essere artisti. Dal desiderio di liberazione scaturisce il dinamismo spaziale, da cui si irraggiano tutte le dinamiche morali e sensitive dell’individuo umano; i singoli colori, la loro più o meno intensa saturazione cromatica, il senso simbolistico, allusivo di stati d’animo o di stati psichici particolari, le profondità dell’interiorità spiritualizzante significano più di qualsiasi apporto naturalistico narrativo ed illustrativo. Colore e struttura delle materie plastiche sono il presupposto per varcare il conscio ed accedere all’inconscio ed alla fantasia soggettiva. L’artista diviene un sottile illusionista, un giocoliere sul filo di seta delle memorie fragranti e nostalgiche, uno stregone, un prestigiatore, un poeta e si avvia a esplorare i meandri oscuri e complessi delle realtà sovrapposte a quelle visibili, nella spazialità di ritmi e di musiche, tra i dinamismi delle linee energetiche, tra le tessiture cromatiche che ci circondano ed hanno un’eco interiore, nella decomposizione della forma.
È stato, però, solo con la seconda metà del Novecento che le varie pratiche di sconfinamento e di estetica diffusa hanno dato vita ad una molteplice e multiforme produzione di interventi negli spazi urbani e nel paesaggio, di performance e di happening, confluendo in ultimo in un unico evento spettacolare, entro cui sfuma la distinzione tra dimensione virtuale e mondo reale. La prevalente causa di ciò deve ricercarsi nelle mutate concezioni filosofiche e socio-economiche e nel diverso concetto di uomo e di umanità, il tutto sotteso da una precarietà sempre più sconvolgente del quotidiano, che sembra distruggere il concetto di spazio temporale ed ogni speranza di durata. Anche i parametri di lettura sono cambiati tanto che si richiede nei confronti dell’arte un atteggiamento diverso da quello tradizionale; si può dire che essa diventa sempre più una disciplina specialistica, “intellettualizzata” e, come ogni altra disciplina, ha un suo linguaggio specializzato e l’uso di termini, per così dire, tecnici.
L’ampliamento dei limiti della concezione estetica per mezzo di varie tecniche ha offerto uno strumento legittimo per realizzare un’espressione più significante. Conoscenze e strumenti derivati dal mondo scientifico, esperimenti condotti dall’industria chimica e dalla rivoluzione tecnologica con i suoi passi da gigante hanno aperto nuovi orizzonti agli artisti, indicato loro nuove tecniche di espressione artistica e fornito i materiali più svariati.
L’Astrattismo è stato accolto nel dopoguerra nel segno di un’apertura scandalosa alla modernità, in un contesto come quello napoletano che, pur avendo conosciuto all’inizio del secolo le rotture clamorose del Futurismo, era rimasto fedele in massima parte, e soprattutto per quanto attiene al pubblico ed al mercato, a moduli tardo-ottocenteschi.
A Napoli importante è stato il senso della problematicità del linguaggio che alcuni colgono sul versante dell’ironia, altri accentuandone la dimensione del conflitto con lacerante sensibilità esistenziale, altri ancora evolvendo elementi che rapportano l’opera alla realtà in un dinamismo soggettivo, ma anche esaltato da frammenti di un reale che varia continuamente, ognuno con personali esperienze e con declinazioni linguistiche molto varie.
Negli anni Cinquanta Renato Barisani dà vita dà vita ad un poetica dell’informale dalle suggestive evocazioni e, più tardi, ad un’astrazione geometrica organica, anima vivacemente lo spazio delineando percorsi movimentati in ritmiche evoluzioni ove anche l’asimmetria, seppur apparentemente disarticolata, raggiunge un ordine più libero ed incondizionato nello spazio; le superfici ideate, levigate e dai risvolti silenziosi, entrano in intima discorsività con l’ambiente realizzando in piena risolutezza un plastico dinamismo che si compenetra nel mondo circostante.
Il linguaggio di Carmine Di Ruggiero gode di continui riferimenti alla magica atmosfera di Napoli, piena di animazione e folclore, e propongono impressioni “serbate” sia nella sua vita quotidiana, sia durante i suoi viaggi trasferiti in un’impalpabile dimensione virtuale; con una dialettica ricca, quelle visioni tipiche dell’astrattismo geometrico si evolvono in strutture materiche le quali, con “graffi” segnici consunti dal tempo, e impulsi gestuali complessi ed incisivi, si impadroniscono della superficie plastica. Le immagini articolate, che si avvalgono di squarci di colore e di linee scavate in uno sfondo denso per delineare il bisogno di ricollegamento al passato da recuperare, diventano segni che incidono nel cuore tracce indelebili e sofferte in una ricerca (quella attuale) che, non in antitesi o contrasto con quelle degli anni precedenti, sviluppa percorsi malinconici ma più intimi; esse si compongono delicatamente, spargendo un assorto silenzio dal forte impatto emotivo e dalle ripercussioni psicologiche incisive in una mirabile rarefazione sensoriale. La consistenza, abbinata al senso etereo dello spirito ed alle percezioni più intime, entra in rapporto con il mondo intimo e personale più segreto intraprendendo un’emozionante suggestiva avventura spirituale.
Giovanni Ferrenti sintetizza le intense percezioni di una realtà, sovrapposta a quella visibile, in grado da un lato di esaltare in lui il senso di appartenenza all’universo della natura, dall’altro di aprire mondi sensoriali inaspettati. Le sue opere vivono intimamente ed armonicamente con il mondo circostante in una concezione spazio temporale vibrante e si esaltano in un vissuto senso di appartenenza all’universo ed alla natura, aprendo mondi sensoriali inaspettati; sanno fondersi con gli interni spaziosi, con le architetture urbane e, soprattutto, con lo sfondo di un paesaggio naturale che ha nell’infinito il suo limite, disegnando intorno visioni euritmiche, mentre le loro cuspidi si prolungano verso il cielo per fendere le linee di confine tra reale e metafisico, alla ricerca di una fusione globale del visibile all’assoluto; concentrate nella concretezza mediana, si distendono in mirabili estensioni che prospettano da un lato il senso della deflagrazione della materia, dall’altro il procedere inarrestabile del tempo verso il punto di non ritorno, mentre dal loro nucleo energetico sono evocati inquietanti eventi che si stemperano nella levità spaziale tra gesti imperiosi ed effusione di pensiero.
Le sculture di Gianni De Tora disegnano architetture geometriche, sviluppate in rigorose forme campite da intensi colori e da interventi segnici per una riscoperta dei principi matematici e per giungere a realtà “altre”. I cromatismi, poi, determinano passaggi decisi e percorsi della mente, così come è evidente. Nelle “strutture riflesse” di De Tora l’insieme si trasforma in contrapposti elementi dal sapore energico e rilevato, che propongono confini tra due realtà simili ma distinte, dalle quali, forse, apprendere una verità: troppo spesso l’uomo discute per futili motivi, senza rendersi conto di osservare tutto su un piano riflesso.
Il rigore espressivo di Enea Mancino tende ad impostare valenze segnico-cromatiche in assetti equilibrati per meglio definire i caratteri distintivi dei suoi lavori; la sua ricerca sul colore e sulla geometria dell’universo si incentra sugli elementi geometrici, i quali si susseguono euritmicamente in originali architetture dall’immediato respiro lirico e dai luminosi richiami all’identità mediterranea con significative sequenze e strati cromatico-espressivi dalle dimensioni controllate. Le sue opere, di notevole sintesi formale, intendono sintetizzare un linguaggio personale per le tracce e le vibrazioni, che le caratterizzano. La sua sintesi non è solo formale in quanto il rigoroso segno entra in contatto con l’armonia dell’universo, mentre le pulsioni interiori cercano un equilibrio assoluto.
L’equilibrio tonale dà corpo alle opere di Antonio Auriemma e le sospende nel tempo e nello spazio sul filo ineffabile della percezione emozionale; i suoi lavori, sottilmente poetici, si avvolgono di misterioso incantesimo offrendo scenari intensi e avvincenti, ricchi di profumi e sapori mediterranei. L’artista si avventura in visioni in bilico tra miraggi e suggestioni, rimandi trasparenti di memorie passate, per accedere a progressioni fantastiche e liricamente energiche in una concretizzazione di accenni intimistici.