Aria di persecuzione per gli amori proibiti. Eppure c´è stato un tempo in cui le coppie di fatto, i matrimoni omosessuali e le scelte fuori dalla religione godevano di più tolleranza anche da parte della Chiesa. Le conseguenze della scomunica sulla vita e sulla morte di laici e cristiani, la sorte e le storie di eretici che ammettevano gli amori proibiti e dei “pubblici peccatori” che vivevano fuori dalla grazia di Dio. Ne parla nel suo libro, attuale per molti versi, lo storico Giovanni Romeo, autore di “Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione. Napoli 1563-1656”, in uscita da Laterza. Dove c´è anche scritto che i primi due matrimoni tra gay noti per l´Italia Moderna si sono celebrati a Napoli. Tra due chierici e due ragazzini che facevano parte di una Accademia nella quale questo tipo di amore “proibito” veniva vissuto liberamente, tanto da portare nel 1591 alle nozze tra i due eremitani di Sant´Agostino fra Taddeo Imparato e fra Giovan Battista Grasso, con il tredicenne Alessandrello de Ayllar, detto Cippe Ciappe, e il diciassettenne Muzio Imparato. A “sposarli” fu l´abate Volpino, al secolo il chierico eretico Giuseppe Buono. A regolare l´unione era stata scritta una finta prammatica vicereale, scritta da un avvocato dell´Accademia: era intestata a don Priapo de Rumpiendis, Marchese delle Piaghe, Conte dei sodomiti e dei gomorrei. I quattro, compresi gli adolescenti, furono presi dall´Inquisizione e divisero il carcere a Roma con Giordano Bruno.
È stata l´attualità a ispirare la sua ricerca?
«Da oltre trent´anni collaboro con la curia arcivescovile, riordino i tanti fondi del bellissimo archivio che sfortunate vicende, traslochi e cattiva conservazione, avevano messo in disordine. Con altri colleghi mi occupo del fondo Inquisizione e di altri fondi giudiziari. Di intolleranza religiosa, di criminalità ecclesiastica, di cause civile e matrimoniali».
Che cosa s´intende nell´età Moderna, per legami vietati?
«Tutti quelli che non erano nel matrimonio, diversi dalla coppia legalmente costituita. Essere fuori però non vuol dire essere oggetto di intolleranza esplicita. Per secoli, per influenza del diritto romano, il concubinato è solo una forma di matrimonio di rango inferiore, il problema si poneva per i figli che erano “bastardi”. Formalmente la chiesa fino al 1400 ha tollerato le coppie di fatto».
Tra le prime manifestazioni di intolleranza spiccano quelle esercitate a Napoli. Perché?
«La città aveva 300 mila abitanti, con Parigi e Londra era la città più popolosa d´Europa e la capitale italiana dal punto di vista demografico. Era il laboratorio del futuro. Nel tardo Cinquecento, quello che si fa a Napoli è importante e diventa un esempio per il resto d´Italia».
Quale fu il primo caso di condanna?
«C´erano stati interventi sporadici verso la metà del XVI secolo, anche prima della chiusura del Concilio di Trento. C´è una controversia con le autorità del Viceregno spagnole che dura 20 anni. I viceré vogliono che la chiesa dia punizioni solo spirituali, non può fare irruzione nelle case dei concubini, quindi si crea un braccio di ferro. Ma questo vale solo nel resto del regno, Napoli fa eccezione perché governarla anche allora era difficile».
Lo Stato intanto che fa?
«La chiesa oltre a scomunicare fa le prime carcerazioni, ma a Napoli migliaia di concubini vivono indisturbati, tollerati».
Come mai tante convivenze?
«Il matrimonio di antico regime non è come ce lo immaginiamo ma spesso va per gradi. Proprio come oggi, nel Cinquecento è normalissimo in tutta Italia che le famiglie si accordino con i figli e i due vadano a vivere insieme, si sposeranno più avanti. Le coabitazioni prematrimoniali era molto più comuni di quel che crediamo».
Ma lei scrive che a un certo punto tutto cambia. Perché diventa un problema?
«Perché come oggi c´è una linea fondamentalista per cui la chiesa deve imporre invece che persuadere. Persino i parroci si trovano in difficoltà, come i vasi di coccio di Manzoni. I primi a picchiare duro sono i vicari. Ho trovato 7000 scomuniche per concubini, e spicca la totale assenza di scomuniche a usurai. Per molti conviventi si cerca di rimediare con il matrimonio in punto di morte. C´è una bellissima storia di una cortigiana greca, Lucza, che nel 1589 sta per morire: i parenti annunciano al prete che il convivente la vuole sposare. Ma quando Lucza si riprende accortasi dell´anello lo scaglia a terra gridando che se dovesse sposarsi lo farebbe mentre è in sé».
Lei sostiene dunque che è esistita una chiesa meno fondamentalista di quella che negò la sepoltura a Welby, che chiese al suo medico l´eutanasia.
«Su 7000 scomunicati, molti rimasti impenitenti, non c´è nessun caso di lamentele familiari per rifiuto di sepoltura: i parroci li seppellivano lo stesso in terra consacrata, non se la sentivano di negare la benedizione».
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