Stesso esito dell’anno scorso. La Coppa Italia va alla Roma dopo lo scudetto all’Inter: Totti è tornato per una sera in campo a ritirare il trofeo dalle mani del presidente Napolitano e adesso sono tutti contenti o non troppo arrabbiati.
L’Italia che ha scoperto da poco l’alternanza in politica è antica maestra nelle spartizioni e una legge non scritta ha portato a compensare i romanisti per la rimonta mancata domenica scorsa in campionato. Era nell’aria che succedesse, perché non si può pensare a una finale in campo neutro quando si gioca nello stadio di una delle due finaliste con una sproporzione di 10 a 1 tra i tifosi ma soprattutto si poteva prevedere che la Roma, arrivata in fondo della stagione con energie superiori all’Inter, le mettesse in campo per prendersi, giustamente, la propria fetta di gloria. Il gol di Mexes è stato lo squillo di una vittoria annunciata, il raddoppio di Perrotta, contestato dai nerazzurri all’inizio della ripresa, ha fatto capire quale sarebbe stata la conclusione anche se la Roma ha lavorato parecchio per inguaiarsi, come le succede spesso. Dal gol di Pelè (tiro bellissimo ed estemporaneo), il tarlo della beffa ha agitato le menti e l’Inter è stata generosa nel nutrirlo con un po’ di pressione: almeno il carattere va riconosciuto ai manciniani in questo epilogo.
Roma-Inter è un classico di questi tempi ancora mediamente orfani della Juve e del Milan. Si sono affrontate tantissimo, hanno polemizzato troppo, la rivalità si è accesa al punto che mentre viaggiavamo verso l’Olimpico ci chiedevamo come avremmo concluso la serata, se a parlare di football o di agguati tra l’odore acre dei fumogeni. Era un match ancora carico delle scorie del campionato e delle polemiche sulla legittimità del successo interista, con quella idea molto romana di avere la squadra vincitrice morale. Tensioni sottili, uomini agli ultimi fuochi. La Roma si presentava meglio anche se con l’assetto offensivo ribaltato dalle assenze di Totti e di Taddei, oltre a Mancini tenuto in panchina: gli automatismi ne pativano, il piccolo Giuly concedeva la serata libera a Maxwell che non è mai stata una roccia della difesa interista. Era la Roma a tenere il gioco.
Sappiamo che il vero terzo tempo inventato dal festaiolo Matarrese in realtà è stato un mezzo flop perché mentre i giocatori della Roma erano ancora in campo a festeggiare quelli dell’Inter si erano già in gran parte dileguati. Né brindisi né scontri. Alla fine, dopo qualche scazzottata vista in campo, sembravano tutti fratelli.
Rispetto al terzo il primo tempo non era tuttavia accattivante. Mancini, per quello che potrebbe essere stato l’ultimo suo match alle dipendenze di Moratti, doveva rappezzare la formazione come un patchwork. Non aveva Ibrahimovic a salvarlo come a Parma e come altre volte negli ultimi, flebili tempi: lo schema più efficace era sparare palle alte in area. Ci riuscivano Stankovic e Maxwell, troppo centrali i loro tiri, mentre l’azione della Roma era più complessa: poco Vucinic, però, e Perrotta diventava l’uomo più pericoloso. I giallorossi trovavano infine il gran gol di Mexes, bravo a inserirsi sul corner di Pizarro: gli interisti assistevano, a Suazo non era passato neppure per il cervello di andare a chiudere quel corridoio. Era lo sparigliamento annunciato. Nella ripresa la Roma otteneva il raddoppio sull’iniziativa di Perrotta (poi infortunato) che scambiava con Vucinic e metteva in gol a porta vuota, tra le proteste perché l’azione era partita con un fallo di Cassetti. Poteva essere il punto alla notte e alla stagione. Invece il 2-1 di Pelè teneva i cuori sospesi.
L’Italia che ha scoperto da poco l’alternanza in politica è antica maestra nelle spartizioni e una legge non scritta ha portato a compensare i romanisti per la rimonta mancata domenica scorsa in campionato. Era nell’aria che succedesse, perché non si può pensare a una finale in campo neutro quando si gioca nello stadio di una delle due finaliste con una sproporzione di 10 a 1 tra i tifosi ma soprattutto si poteva prevedere che la Roma, arrivata in fondo della stagione con energie superiori all’Inter, le mettesse in campo per prendersi, giustamente, la propria fetta di gloria. Il gol di Mexes è stato lo squillo di una vittoria annunciata, il raddoppio di Perrotta, contestato dai nerazzurri all’inizio della ripresa, ha fatto capire quale sarebbe stata la conclusione anche se la Roma ha lavorato parecchio per inguaiarsi, come le succede spesso. Dal gol di Pelè (tiro bellissimo ed estemporaneo), il tarlo della beffa ha agitato le menti e l’Inter è stata generosa nel nutrirlo con un po’ di pressione: almeno il carattere va riconosciuto ai manciniani in questo epilogo.
Roma-Inter è un classico di questi tempi ancora mediamente orfani della Juve e del Milan. Si sono affrontate tantissimo, hanno polemizzato troppo, la rivalità si è accesa al punto che mentre viaggiavamo verso l’Olimpico ci chiedevamo come avremmo concluso la serata, se a parlare di football o di agguati tra l’odore acre dei fumogeni. Era un match ancora carico delle scorie del campionato e delle polemiche sulla legittimità del successo interista, con quella idea molto romana di avere la squadra vincitrice morale. Tensioni sottili, uomini agli ultimi fuochi. La Roma si presentava meglio anche se con l’assetto offensivo ribaltato dalle assenze di Totti e di Taddei, oltre a Mancini tenuto in panchina: gli automatismi ne pativano, il piccolo Giuly concedeva la serata libera a Maxwell che non è mai stata una roccia della difesa interista. Era la Roma a tenere il gioco.
Sappiamo che il vero terzo tempo inventato dal festaiolo Matarrese in realtà è stato un mezzo flop perché mentre i giocatori della Roma erano ancora in campo a festeggiare quelli dell’Inter si erano già in gran parte dileguati. Né brindisi né scontri. Alla fine, dopo qualche scazzottata vista in campo, sembravano tutti fratelli.
Rispetto al terzo il primo tempo non era tuttavia accattivante. Mancini, per quello che potrebbe essere stato l’ultimo suo match alle dipendenze di Moratti, doveva rappezzare la formazione come un patchwork. Non aveva Ibrahimovic a salvarlo come a Parma e come altre volte negli ultimi, flebili tempi: lo schema più efficace era sparare palle alte in area. Ci riuscivano Stankovic e Maxwell, troppo centrali i loro tiri, mentre l’azione della Roma era più complessa: poco Vucinic, però, e Perrotta diventava l’uomo più pericoloso. I giallorossi trovavano infine il gran gol di Mexes, bravo a inserirsi sul corner di Pizarro: gli interisti assistevano, a Suazo non era passato neppure per il cervello di andare a chiudere quel corridoio. Era lo sparigliamento annunciato. Nella ripresa la Roma otteneva il raddoppio sull’iniziativa di Perrotta (poi infortunato) che scambiava con Vucinic e metteva in gol a porta vuota, tra le proteste perché l’azione era partita con un fallo di Cassetti. Poteva essere il punto alla notte e alla stagione. Invece il 2-1 di Pelè teneva i cuori sospesi.
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DOSSIER Coppa Italia 2007/2008
fonte.lastampa.it
Michele De Lucia