Napoli. Intervista ad Ernesto Paolozzi.

11 maggio 2008 | 00:00
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Napoli. Intervista ad Ernesto Paolozzi.

Intervista ad Ernesto Paolozzi

a cura di Maurizio Vitiello

Ecco una breve scheda su Ernesto Paolozzi:


Ernesto Paolozzi è nato a Napoli nel 1954. E´ stato borsista presso l´Istituto Italiano per gli Studi Storici, fondato da Benedetto Croce. Vincitore della borsa di studio Francesco Compagna per gli Studi Meridionalistici. E’ stato direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi per il triennio 1992 – 1995. Docente di Storia della Filosofia Contemporanea presso l´Università Suor Orsola Benincasa. Docente presso L´Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Ha collaborato e collabora a riviste e quotidiani fra i quali: Corriere del Mezzogiorno – Corsera; La Repubblica – Napoli; Nord e Sud; Rivista di Studi Crociani; Criterio; Prospettive 70; Mondoperaio; La Nuova Antologia; Libro Aperto.

E´ autore di vari saggi e volumi tra i quali:
I problemi dell´estetica italiana. Napoli, 1985.
Vicende dell´estetica. Napoli, 1989.
Guido Cortese. ( collaborazione con Raffaello Franchini), Napoli, 1990.
Ha pubblicato il carteggio Croce – Mann , Napoli, 1991.
L´identità liberale in una società in trasformazione. Napoli, 1992.
Il liberalismo come metodo. Roma, 1995.
La rivoluzione ingenerosa. Napoli, 1996.
Ha curato l´edizione del Profilo di Tocqueville.
Di Vittorio De Caprariis. Napoli, 1997.
Benedetto Croce. Napoli, 1998.
(trad. inglese a cura di Massimo Verdicchio in via di pubblicazione)
Libertà, democrazia, repubblica. Napoli, 2000
Con Valerio Zanone ed altri autori:
Critica della ragion liberale, Napoli, 2000.
L´estetica di Benedetto Croce. Napoli, 2002.
(trad. russa a cura di Svletana Maltzeva).
Con Giuseppe Gembillo e Giuseppe Giordano:
Liberalismo, scienza, complessità. Messina, 2004.

Il Partito democratico e l´orizzonte della complessità, Napoli, 2007

Ernesto Paolozzi conta con questo “instant-book” poltico di far riflettere sul particolare momento che l´Italia vive, davvero particolare e delicatissimo. Ernesto Paolozzi, da serio studioso prende in considerazione tutte le varie chances e le varie angolazioni dell´attuale complessità “glocal”. Saliscendi dei mercati, nervosismi del mondo islamico, evolversi della tecnica e catastrofi ambientali alla porta spingono lo studioso-filosofo-politico a misurarsi e a misurare le tendenze oggettive odierne e le molteplicità di uscita, seppur in salita, per confortanti recuperi e per possibili soluzioni. 

D) Tu hai scritto un libro sulle nuove dinamiche politiche che si muovono in Italia. Quali riscontri hai avuto?

R) Nel mio libro sul Partito democratico, mi occupavo essenzialmente di ciò che riguarda il mondo della sinistra riformista e dei liberaldemocratici. Una evoluzione certamente c’è stata, ma non come si poteva auspicare. Per intenderci: la semplificazione avvenuta fra sinistra riformista e sinistra radicale è, per tanti aspetti, positiva. Ma sarebbe stato auspicabile che ciò accadesse per un reale convincimento degli elettori e della classe dirigente. Invece, con l’esclusione totale dal Parlamento dei postcomunisti e dei verdi, la situazione rischia di diventare ingovernabile. Ciò che è invece necessario, e mi auguro possa ancora accadere, è che, nei tempi lunghi, possa avvenire un processo di unificazione su un condiviso profilo riformatore. Sui tempi brevi che si apra un dialogo franco e sincero pur nella distinzione dei ruoli.

D) Quali riverberi e rimandi si sono determinati dal momento dell’uscita ad oggi?

R) Un fattore è sembrata essere la semplificazione operatasi anche sulla destra dello schieramento. Questo è un merito che va diviso fra Veltroni e Berlusconi, i quali hanno compreso che era giunto il momento di evitare il proliferare di troppi partiti personali. Di negativo c’è che il fenomeno è stato, per alcuni aspetti, esagerato e, inoltre, ha posto in rilievo delle anomalie italiane che in molti avevamo sottovalutato. Esagerato, lo abbiamo detto, perché ha eliminato completamente la sinistra radicale, compresso il centro, assorbito la destra di Fini ,ma resa decisiva la Lega che, come la si voglia giudicare, non è priva di carica eversiva. Diciamoci la verità, ci si augurava la formazione di due grandi partiti, di sinistra riformista e di destra moderata, e la presenza di formazioni storiche della cultura politica europea. Un po’ come in Germania. Qui in Italia siamo invece in una situazione molto più confusa ed inedita.

D) Il quadro politico italiano è notevolmente cambiato. Perché? Quali motivazioni di fondo?

R) Le motivazioni di tale cambiamento sono molte, alcune profonde altre contingenti. In Italia, come in Francia, vi è una tradizione di voto moderato che è sostanzialmente maggioritario da sempre. E’ il consenso che raccoglieva la Democrazia Cristiana con i suoi alleati laici. Solo che la DC guardava a sinistra, come disse De Gasperi e come confermarono Fanfani e Moro fino a De Mita. Ci fu il Centrosinistra, poi il pentapartito con socialisti liberali etc. Oggi è la stessa situazione? Berlusconi Fini e Bossi sono gli eredi di quella tradizione? A me sembra di no. Raccolgono le spinte e le esigenze di quell’elettorato che non si fida della sinistra, ma come “spenderanno” quel consenso politicamente? Questo e l’interrogativo che dobbiamo porci. La storia presenta analogie, ma non si ripete mai.

D) Pensi che cambierà anche il clima politico europeo e nuove tesi di destra siano comprensibili oggi agli elettori italiani

R) In Europa credo che la questione sia un po’ diversa. Parlo, naturalmente della Francia, dell’Inghilterra, della Spagna e della Germania, essenzialmente. In questi paesi l’alternanza tra destra e sinistra è fisiologica e generalmente chi governa dopo dieci anni, in media, passa all’opposizione. Forse, come ho già detto, in Francia vi è una sostanziale tenuta della destra, come del resto in Italia. Ma il punto è:  quale destra? Vi è in Italia qualcosa che somigli al gallismo e ai conservatori inglesi? Com’è naturale, la destra italiana è inedita. Certamente non mancano punti di contatto generici fra le destre e le sinistre del mondo: sulla concezione dello Stato, sui diritti individuali, sulla gestione del rapporto pubblico-privato in economia. Ma, per intenderci, la destra europea è profondamente antifascista sin dal suo sorgere.Churchill e De Gaulle sono diventati politici rilevanti nella lotta militare, oltre che ideologica, contro il nazifascismo. E l’inglese, spesso sopravvalutato a mio avviso, preferì, come è noto, Stalin ad Hitler.

Ritorniamo alla domanda precedente: qual è la fisionomia della destra italiana? Noi abbiamo un dibattito, nel nostro paese, molto ampio e fin troppo approfondito sulla sinistra, radicale o riformista, socialista o liberale, socialdemocratica o cattolico-democratica, e così via. Manca, allo stato, un approfondimento serio sulla destra. Questo anche perché, credo, la sinistra è portata a giudicare i suoi avversari con troppo semplicismo e ricorrendo a vecchi schemi del passato. E’ un fenomeno nuovo, probabilmente anche molto legato ad una persona, Berlusconi, ma senza dubbio ancora poco indagato e compreso.

D) L’Italia come la vedi nel prossimo futuro; quali assestamenti ci saranno e quali non vorresti?

R) Le profezie sono a noi tutti negate per il solo fatto che sono inutili, diceva Croce. Ciò che posso dire è come piacerebbe a me che fosse l’Italia. Credo di sostenere, in questo senso, una tesi tanto semplice, forse banale, quanto difficilmente realizzabile. Mi piacerebbe che in Italia si confrontassero sostanzialmente due schieramenti: uno socialista liberale e l’altro liberal-conservatore. E’ il vecchio sogno dei liberali italiani, quello di avere un’Italia che somigli all’Inghilterra. Ma nella stessa Inghilterra le cose stanno cambiando…

Più che augurarsi qualcosa, dunque, ciò che va fatto è lavorare perché accada ciò che noi auspichiamo. E se non dovesse andare così, non bisogna aver paura di essere minoranza. Spesso sono le minoranze che fanno veramente la storia.

D) Riesci a darci un profilo di quello che sarà il nuovo assetto della Regione Campania e dopo le elezioni europee?

R) Anche qui è difficile, se non impossibile, fare profezie. Per le elezioni europee, se la legge elettorale rimarrà invariata, ossia resterà il sistema proporzionale senza sbarramenti, si può prevedere la rifioritura di molti piccoli partiti. Ma la gara sarà essenzialmente fra Pd e Pdl.

Per quanto riguarda la nostra Regione, credo si debba votare in un clima più disteso di quello attuale. Insomma, in poche parole, scegliere fra centrosinistra e centrodestra sulla base di uomini, donne e programmi, e non sotto la spinta emotiva dell’immondizia e delle mozzarelle inquinate sia pure solo a mezzo stampa. Anche questo è un sogno. Un piccolo sogno che diventa una gigantesca chimera date le nostre attuali condizioni, non solo politiche, ma sociali e, vorrei dire, umane. Per parafrasare Giustino Fortunato, “Che il Dio ignoto ce la mandi buona!”.

D)C’è qualche movimento all’interno del PD in Campania e nuovi fronti giovanili, come la linea di amici che si raggruppano sotto “Energie nuove”?

R) Nel Pd c’è molto movimento. Anche troppo. Si dovrebbe avviare un dibattito serio sui motivi della relativa sconfitta (è la sinistra nel suo complesso che ha perso, ma il Pd ha retto bene, in Italia come in Campania). Bisogna evitare che la giusta divisione fra linee politiche e concezioni del partito (partito riformista o democraticista, e così via) si tramuti in una lotta di tutti contro tutti e di regolamenti di conti che in politica sono sempre possibili, ma non devono oltrepassare la fisiologica dialettica interna.

Fuori dal Pd c’è ancora molta aspettativa e, nonostante l’esito elettorale peraltro in gran partescontato, c’è perfino entusiasmo. E’ il caso del circolo on line “Energie nuove”, come di tanti altri raggruppamenti che nascono spontaneamente sul territorio. Spero che il gruppo dirigente del Pd campano ne tenga conto: una cosa è inventarsi novisti per essere cooptati in un partito a fini personali, altro conto è cercare di cogliere reali fermenti esistenti nella società. Non c’è una ricetta per saper scegliere fra nuovi e nuovi, fra vecchi e vecchi. Spetta agli uomini politici che guidano un movimento, un processo, saper scegliere. E’ quel fiuto politico, di cui la politologia geometrica non parla mai ma che, pure, rappresenta l’elemento essenziale della vita politica. Il cavaliere, ad esempio, ha gran fiuto politico.

D) Pensi che i giovani studenti, ad esempio, siano lontani dalla politica? Come recuperarli alla passione politica?

R) Sono senz’altro lontani. E, consentimi una battuta, quando vi si avvicinano non sempre è meglio. Penso a quelli che bruciano le bandiere di Israele e, ancor più drammaticamente, a chi ammazza un suo coetaneo richiamandosi ad un’ideologia, il nazismo, di cui probabilmente, non ha neanche una vera e propria conoscenza.

E’ difficile dunque richiamare i giovani alla politica sul terreno del riformismo, di destra o di sinistra che sia.I giovani si muovono secondo emozioni forti, semplici. Per cui è un male che non partecipino alla vita civile di un paese, ma è quasi impossibile farli partecipare senza creare condizioni traumatiche per l’assetto stesso della società. L’esplosione del Sessantotto e il riflusso, o ritorno al privato degli anni Ottanta, ci hanno insegnato tutto questo. Meglio un giovane che lancia molotov e spacca le vetrine di lusso o quello che davanti a quelle vetrine si inebetisce come di fronte a un idolo? Difficile uscire da questa dicotomia. Parlo, naturalmente, dei grandi processi, dei grandi movimenti politici, sociali, antropologici. Altro è mettere in piedi una politica di inclusione sociale dei giovani, ossia di garantire loro studi migliori, un lavoro soddisfacente e, perché no, sicuro e, soprattutto, dare loro la possibilità di raggiungere mete anche alte, ripristinando quella che una volta si chiamava mobilità sociale e che è in gran parte anche una mobilità generazionale. Tenerli fuori, come in parte oggi avviene, da questo processo, collocarli ai limiti della società come accade per tante minoranze, è pericoloso proprio per quanto si è detto prima. Ma, se ben si riflette, mettere in piedi una politica per i giovani è cosa che devono fare i vecchi. E’ qui la nostra responsabilità maggiore.