Ravello i blog diventano un “Sinodo” religioso, un vero e proprio laboratorio sociale per la Costiera Amalfitana. Tre blog che parlano di un episodio scatenato da una lettera (tuttora non contestata) di una comunione negata. Due blog (con l’anonimato) contestano la Chiesa (Il Poggio e Nessuno Escluso) o perlomeno i loro lettori non sono d’accordo, uno (Il Vescovado) del consigliere Emiliano Amato, la difende. Ma il punto è che per la prima volta una discussione religiosa, dal punto di vista laico, diventa internauta proprio nel paese che, per prima in Campania, ha un sito religioso sul Web. Questa è la lettera apparsa sui due blog:
La colpa del fedele? Essere separato dalla moglie. Nella chiesa gremita si sono vissuti momenti di incredulità ed imbarazzo.
Si potrebbe riflettere molto sul perché certi fatti accadano e sul perché su altri argomenti la posizione etica della chiesa è spesso ignorata dagli stessi fedeli verso una direzione di maggiore tolleranza, in questa materia un’indicazione etica tutto sommato accogliente si traduce spesso, nella realtà, in una durezza esagerata verso chi già soffre per il fallimento del matrimonio. Durezza che troppo spesso, in modo più o meno esplicito, relega le persone separate ai margini delle nostre comunità cristiane.
Gli atteggiamenti di chi agisce con durezza e con gesti eclatanti in una giornata di festa è espressione di una teologia che non aiuta certo l’uomo ad avvicinarsi a Dio; costituisce, al contrario, una barriera insormontabile nella vita spirituale, creando conflitti interiori enormi nelle persone, come se fosse possibile ricondurre l’esperienza della fede ad una serie di prescrizioni legali da rispettare.
Ma a fare chiarezza sul punto è il Santo Padre Benedetto XVI in vari scritti: Sinodo dei Vescovi sull’Eucarestia del 2-23/10/2005 – Proposizione 40 e messaggio finale n. 15; discorso di Benedetto XVI al clero di Aosta (25/07/2005); l’introduzione del S. Padre, allora Cardinale e responsabile della Congregazione della Dottrina della Fede, “Sulla pastorale dei divorziati risposati” (1998).
“Possono i divorziati risposati nutrirsi del Corpo di Cristo?”: “[…] anche se non possono andare alla Comunione Sacramentale, non sono esclusi dall’amore della Chiesa e dall’amore di Cristo.[…] Per i separati e per il divorziati il Magistero, implicitamente, ammette la possibilità di partecipare integralmente all’Eucarestia, fonte di grazia e, quindi, di riflessione e conversione per ciascuno che si accosta al Mistero. Ove si chieda al Signore di uccidere il rancore, di promuovere nei cuori il perdono, il Signore ascolta, opera e offre un terreno fecondo per la conversione, prendendo su di sè le sofferenze di ciascuno di coloro che sono coinvolti nella crisi del loro matrimonio
Consapevole che il Matrimonio celebrato dai cristiani cattolici è un Sacramento, realtà sacra e divina che impegna nell’amore fedele, e che l’indissolubilità del matrimonio non è un bene di cui si possa disporre a proprio piacimento, ma è un dono e una grazia che i coniugi ricevono dall’alto per custodirlo e amministralo, la Chiesa, oggi come ieri, deve riaffermare con forza che non è lecito all’uomo dividere ciò che Dio ha unito (Mt. 19;6). Da giornalista cristiano e di destra, orgoglioso di avere ricevuto una buona educazione religiosa, dopo essermi ben informato, mi corre l’obbligo di rimarcare con forza questi principi, a seguito dei fatti spiacevoli verificatisi domenica scorsa in Duomo. Tutti i cristiani sanno bene che la Chiesa non ammette ai Sacramenti i divorziati risposati e i concubini, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia. Tuttavia, nonostante la loro situazione, queste persone continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un Sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli. “Nessuno osi separare quanto Dio ha unito!”. E’ questa esclamazione il “catenaccio” del Settimo dei Sacramenti e, di conseguenza, chi ha distrutto una unione divina non può accostarsi alla Comunione che è vincolo di Unità per i credenti. Addirittura, fino ai primi anni del secolo scorso i divorziati erano definiti “pubblici peccatori”, praticamente concubini a cui veniva negato anche il funerale religioso. Erano considerati cristiani peccatori, mentre adesso sono reputati, più benevolmente, peccatori ma cristiani. Oggi anche chi convive non può accostarsi all’Eucaristia perché la convivenza non è un’unione benedetta da Dio, anzi. L’amore coniugale è benedetto solo con la celebrazione del Sacramento del Matrimonio. Ancora di recente il Vaticano ha ribadito con forza che i divorziati risposati non possono accostarsi all’Eucaristia. A meno che non abbiano assunto l’impegno «di vivere in piena continenza, astenendosi dagli atti propri dei coniugi». Sono rattristato per quanto accaduto domenica scorsa, proprio in occasione del Corpus Domini e delle Prime Comunioni. Mi amareggia ancor di più rilevare che qualunque cosa accada in questo paese debba per forza avere un filo conduttore, un alibi, sfociare in quel contenitore di odio, in quella profonda spaccatura che divide, in casa propria, quella che potrebbe essere una meravigliosa famiglia. Ancora una volta Don Peppino, pastore zelante della comunità religiosa ravellese, ha dimostrato ampiamente di sapere e volere continuare a servire Iddio in modo esemplare, rispettando appieno le verità della fede autentica insegnata dalla Chiesa e opportunamente oggi riproposta dal Papa e dai Vescovi, successori degli Apostoli, illuminati e guidati dallo Spirito Santo.