RAVELLO, NASCE LA CONFRATERNITA

7 maggio 2008 | 00:00
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RAVELLO, NASCE LA CONFRATERNITA

In questi giorni a Ravello Costiera Amalfitana ci sono state riunioni per lo statuto della Confraternita del S.S. Nome di Gesù e della Beata Vergine del Monte Carmelo, una tradizione che, nel mettere insieme le vecche confraternite (erano tre) si ritrova nella Città della Musica, l’appartenenza alla confraternita ha un significato particolare per i ravellesi che sentono molto questa tradizione, ma vi erano altre più antiche, come dice Luigi Buonocore, storico e studioso.  La Congrega dell’Annunziata, probabilmente la più antica della città, è documentata almeno dal 1437, anno in cui il vescovo Lorenzo e il Capitolo donarono la quinta parte di una vigna sita in Brusara ai Fratelli Disciplinati dell’”Annunciata“. I confratelli si stabilirono nell’Oratorio dell’Annunziata, edificato agli inizi del XV secolo, e chiamato nelle fonti documentarie “Ecclesia Nova”, per distinguerlo dall’antica chiesa omonima. La sala, coperta da volte a crociera, presentava tre altari: sull’altare maggiore si ammirava un grande quadro in cui erano raffigurati il Padre Eterno, tra un coro di angeli, il Presepe e l’Annunciazione della Beata Vergine mentre gli altari laterali erano dedicati a San Giovanni Battista e ai Santi Cosma e Damiano. Lungo le pareti si disponevano bancali “bancalia magna pro sedendo” mentre al centro era un piccolo organo. Davanti all’altare maggiore pendevano una lampada grande e sei più piccole sempre accese.

Nel corso del XIV secolo la chiesa dell’Annunziata era di patronato reale: “il Cappellano di questa chiesa era di nomina del re e re Roberto nel 1323 presentovvi per rettore e cappellano l’abate Giovanni Frezza”, si legge nelle Memorie di Matteo Camera, ma il Re Carlo III di Durazzo rinunziò al beneficio in favore di Antonio Fusco mentre Ladislao, dopo la morte di Antonio, privo di una discendenza maschile legittima, concesse il patronato “con ispecial diploma” a suo nipote Nicola Fusco. L’oratorio, pertanto, fu concesso alla Confraternita dalla nobile famiglia de Fusco. Nel 1577 la sede, governata da Francesco Furno, fu visitata da mons. Paolo Fusco (1570 – 1578). In quella occasione furono rinvenuti 43 vesti per i confratelli “cum cappuccis et cingulis” e 28 per le esequie “pro mortuis”. La suppellettile liturgica era costituita da calici d’argento, 15 torce grandi, 220 piccole e un incensiere. Nella chiesa si conservava una statua di legno che si portava in processione per tutta la città, “processio generalis per tota civitate”, in occasione della festa dell’Annunciazione, celebrata il 25 marzo. In quel giorno di giubilo venivano solitamente distribuiti tre moggi di pane ai fedeli che prendevano parte ai sacri riti.
Si celebrava anche un’altra festa nella terza feria dopo Pasqua durante la quale venivano distribuiti pane, vino e uova a chi offriva elemosine e altre oblazioni. Nella festa di Sant’Andrea, invece, la Congrega offriva il vino “in porta civitatis”, alla porta della città. Sotto l’Oratorio erano presenti una “domus” antica che minacciava rovina e una cantina, il “cellarium”, dove si conservavano tre botti di vino, “tribus fustibus”, in cui veniva riposto il vino offerto. I confratelli versavano una somma che consentiva loro di utilizzare le campane dell’Annunziata vecchia, essendo la congrega priva di sacri bronzi, e il vestibolo in cui i Fusco concessero di poter tenere il bancale, utilizzato per la distribuzione dei beni, nel giorno della festa.
Mons. Francesco Benni de Butrio (1603 – 1617) visitò più volte l’ “Ecclesia confraternitatis laicorum” che trovò “bene ornata e accomodata”. In seguito il prelato ordinò all’economo della confraternita, Giovanni Angelo Fenici, di rendere conto della sua amministrazione sotto pena di “venticinque libbre di cera lavorata”, cosa che ebbe a ripetersi anche con mons. Michele Bonsio (1617 – 1623) mentre una lite tra Giovanni Andrea de Fusco e Ferdinando Confalone, arrivata alla Sacra Rota, portò alla sospensione delle messe e degli “divina officia” nella chiesa “vecchia“. In quella situazione di abbandono gli interventi alle campane, che rischiavano di cadere, furono sostenuti direttamente dalla Confraternita.
Dalla visita di mons. Bernardino Panicola (1642 – 1666) apprendiamo che la città nominava due amministratori, approvati dal Vescovo, con il compito di esigere le rendite e di far celebrare due messe a settimana. Nel Settecento la struttura subì un ampio rimaneggiamento: le absidi laterali furono tamponate e le pareti vennero ornate nella parte superiore da un fregio pittorico mentre sotto la volta fu inserito un soffitto a cassettoni. Durante la visita pastorale mons. Giuseppe Maria Perrimezzi (1707 – 1714) ordinò il restauro dell’antica statua lignea, cara alla devozione popolare ma, purtroppo, l’auspicato intervento non avvenne tant’è che solo qualche anno più tardi mons. Nicola Guerriero (1718 – 1732) ordinava di prendere l’effigie scultorea, ormai deforme, e di bruciarla.
La Confraternita “in Ecclesia SS Annunciationis extra Cathedralem costituita”, che soggiaceva alla visita del vescovo e prendeva parte alle processioni e ai riti con grande devozione, è documentata anche nelle visite “ad limina” di mons. Luigi Capuano (1694 – 1705) e di mons. Perrimezzi. Nel secondo decennio del XVIII la Confraternita si estinse e, difatti, all’epoca di mons. Antonio Maria Santoro (1732 – 1741), la festa dell’Annunciazione, nel passato legata ai disciplinati, passò sotto il patronato della famiglia de Manso. Un altro sodalizio, testimone della profonda religiosità popolare, era tramontato per sempre.