Il Vescovo di Salerno al contrattacco dopo l’inchiesta sollevata da Il Mattino qui di seguito due articoli di Antonio Manzo, l’ultimo, uscito ieri, e uno precedente dove parla della vicenda
ANTONIO MANZO S’indaghi a fondo, a tutto campo sugli affari della Curia salernitana. Lo chiede l’arcivescovo Pierro, nei giorni amari della ennesima bufera che si abbatte sulla Chiesa salernitana. Finora non aveva parlato, l’arcivescovo Pierro. Ora, dal «suo» ritiro per gli esercizi spirituali, telefonicamente contatta l’avvocato Paolo Carbone, concorda una nota stampa all’indomani del vertice in Vaticano e spedisce un messaggio. È «costretto ad uscire dal riserbo» l’arcivescovo, fa sapere l’avvocato Carbone. Il riserbo se lo era imposto per «rispetto» all’indagine penale, la terza in otto anni aperta dalla procura della Repubblica (pm Rocco Alfano) sugli affari della Curia: Cogevi Fisciano, colonia San Giuseppe a don Lanzara, gestione affari legali avvocato Montuori, utilizzo fondi 8per mille. Non vi sarebbero ancora iscritti nel registro degli indagati. «Il mio operato è stato corretto» dice Pierro. Anzi, aggiunge l’avvocato, auspica «dalla magistratura una indagine a tutto campo e si riserva di denunciare per calunnia chi ha orchestrato, per interessi tutt’altro che commendevoli, una vile campagna diffamatoria che colpisce non solo la sua persona ma la sua alta funzione». Criptico, l’arcivescovo rispetto al profilo degli interessi in campo «poco commendevoli» che inevitabilmente finirà per raccontare al magistrato inquirente come persona informata dei fatti. Ma anche deciso a difendere la sua onorabilità, in queste ore al centro delle severe valutazioni dei vertici vaticani. «Se cade uno spillo nei corridoi della Curia si rischia di sentire l’impatto» racconta un sacerdote, descrivendo l’aria tesa ed il silenzio in via negli uffici di via Guarda all’indomani del vertice in segreteria di Stato tra i cardinali Bertone e Re, il nunzio Bertello, il segretario della Cei Betori e il presidente dell’istituto sostentamento del clero monsignor Trivero. L’arcivescovo è ufficialmente fuori episcopio per «gli esercizi spirituali». Il portiere setaccia la posta, rispedisce ai mittenti raccomandate indesiderate. I fedelissimi di Pierro contattano monsignori in Vaticano legati alla diocesi salernitana. Pierro per la prima volta da quando è a Salerno ha dovuto rinunciare al tradizionale appuntamento del 13 maggio nella chiesa della Madonna di Fatima retta da don Andrea Vece. Il destino dell’arcivescovo è nelle mani del cardinale Re e del nunzio Bertello. Saranno loro a dover comunicare l’ipotesi vaticana della nomina di un arcivescovo coadiutore con pieni poteri (ipotesi sulla quale Pierro avrebbe fatto trapelare la sua contrarietà già nel novembre scorso). L’arcivescovo è convinto che, a suo danno sia stato «orchestrato» un complotto diffamatorio. Lo ha esternarlo anche ad un sacerdote firmatario di una lettera al cardinale Re. «Perchè siete caduto in una trappola di chi congiura contro il vescovo? Perchè proprio a me che vi ho trattato con tanta bontà?» avrebbe detto il vescovo ad uno dei sacerdoti prima dell’incontro con il cardinale Re. Da due giorni il contatto dell’arcivescovo, in ritiro spirituale, con gli uffici della curia è ridotto all’essenziale, in un periodo dedicato alla preghiera, al silenzio e alla meditazione. Il collegamento è assicurato dal cancelliere don Sabatino Naddeo e dall’economo diocesano don Enzo Rizzo lo stesso che, nel luglio del 2007, sul caso Edil Trieste valutò, con una lettera a monsignor Trivero, i passaggi del contenzioso sorto nel consiglio economico diocesano. «Se avessero avuto corso le minacce di denuncia – scrisse l’economo – saremmo già in procura e sulla stampa che non desidera altro che sollevare il polverone quando si tratta di vicende ecclesiali». Da Roma la risposta secca: chi deve denunciare, denunci e non lo minacci solamente. Soprattutto in affari milionari
ANTONIO MANZO C’è di tutto: le lottizzazioni edilizie su terreni di proprietà della diocesi, la
gestione della colonia San Giuseppe e l’Angellara Home, le inchieste della magistratura sui conti
dell’istituto sostentamento del clero, il ruolo di un avvocato nipote del vescovo, i risultati della
gestione dell’istituto nel quinquennio 2003-2007. Perfino le accuse di ombre della massoneria sulla
gestione degli affari economici della diocesi di Salerno. L’esplosivo dossier è in Vaticano, spedito
da Salerno l’undici febbario scorso (protocollo 34/08). Le firme sono pesanti: quella di monsignor
Matteo Notari, presidente dell’istituto sostentamento del clero, in pratica la cassa della diocesi, e
quella di Luca De Franciscis, noto commercialista salernitano e presidente del collegio dei revisori
dei conti dello stesso istituto. Diciassette cartelle fitte, cifre, date, fatti e considerazioni. Diciassette
cartelle, con tutti i capitoli degli affari della Curia salernitana, è il dossier spedito ai vertici vaticani:
al segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, ai prefetti della congregazione dei vescovi,
cardinale Giovambattista Re e del clero, cardinale Claudio Hummes, oltre che al nunzio apostolico
l’arcivescovo Giuseppe Bertello. Nella lettera di accompagnamento scritta per il cardinale Re si fa
riferimento ad un precedente incontro con lo stesso cardinale avvenuto tre giorni prima della
spedizione del dossier, l’8 febbraio. A tutti è spedita per «devozione e conoscenza, in merito alla
incresciosa situazione creatasi all’Istituto sostentamento del clero di Salerno-Campagna-Acerno e
dell’Abbazia Territoriale di Cava». (l’istituto è competente anche per i beni della Badia e da Cava
cominciano a chiedere più di una spiegazione). La Cogevi – È il contenzioso che ha opposto la
società di capitali Cogevi Spa, presieduta dall’ingegnere Francesco Siano, già consulente tecnico
dell’istituto, allo stesso istituto. Il capitolo è la lottizzazione Vessinelli, frazione di Antessano di
Baronissi, un investimento immobiliare per milioni di euro su 25 ettari di zona edificabile ora finito
nelle mani della Concilio costruzioni (la convezione è stata stipulata al comune di Baronissi il 18
gennaio scorso, tra le proteste della Cogevi, con le firme di don Notari, don Albino Liguori, parroco
di Baronissi e del costruttore Concilio). Per la permuta degli immobili invece è stata prescelta
l’impresa Geneca (Carratù) di Castel San Giorgio. L’istituto vende nel ’97 i 25 ettari alla Cogevi
con la condizione dell’approvazione del piano e del rilascio della concessione edilizia entro il
termine del 31 dicembre 2000. Se ciò non fosse avvenuto, l’atto doveva ritenersi nullo, come mai
avvenuto e stipulato. Scade il termine, si posticipa la validità dell’atto al giugno 2002 e poi al 2003.
Ma l’atto non c’è più, ma questa circostanza la deve riconoscere anche la Cogevi. L’impresa non si
presenterà mai dinanzi ad un notaio per sottoscrivere il mancato avveramento delle condizioni.
Finisce a contenzioso tra Cogevi e Istituto sia dinanzi al Tar che in sede civile (l’istituto vince la
partita giudiziaria con la provvidenziale costituzione, con delega del vescovo, appena
ventiquattr’ore prima del giudizio). Il presidente dell’istituto e il presidente del collegio rilevano che
la Cogevi, in un giudizio civile pendente dinanzi alla sezione distaccata del tribunale a San
Severino, esibisce una serie di fatture emesse dall’avvocato Montuori per prestazioni professionali
(sono allegate in fotocopia nel dossier). Al tempo stesso il consulente legale dell’istituto, oltre che
«nipote del vescovo» come scrivono Notari e De Franciscis, è anche consulente della Cogevi, la
società in contenzioso con la curia per la lottizzazione milionaria di Vessinelli.