Sarebbe bello. Sarebbe davvero bello se questa mattina Silvio Berlusconi iniziasse la sua giornata napoletana deviando il torpedone di Palazzo Chigi dal percorso istituzionale prefissato. Gli basterebbe addentrarsi solo pochi metri fuori dall’invisibile quadrilatero disegnato dalle autorità campane intorno al centro storico, per scoprire la fragilità dell’operazione di «lifting ecologico» approntata dal Comune in vista del Consiglio dei ministri sull’emergenza rifiuti. Hanno tolto i cumuli di spazzatura da piazza del Plebiscito, dalle meravigliose vie di Chiaia, dal lungomare, dai quartieri-vetrina, ma hanno lasciato le montagne di sacchetti accatastate appena fuori, forse sperando che i media non se ne accorgano.
Hanno iniziato domenica sera, e ieri – a metà giornata – i camion erano ancora in giro. Ma se non ci fossero la pioggia torrenziale e l’aria del mare, sicuramente, i miasmi che si levano dai quartieri avvelenati, da Secondigliano, dal quartiere Flegreo, persino da zone quasi centrali come Santa Maria del Consiglio arriverebbero fino alle stanze dove si riunisce il governo. La verità è che Napoli è ancora sepolta sotto il peso della sua emergenza, non respira.
Se vuoi raccontarlo, il paradosso di questa metropoli che rischia l’asfissia devi partire dalle sale di un cinema, o dalla torretta di un camion dei rifiuti. Dai cinema, perché in tutta Napoli, oggi, c’è un solo film da vedere, Gomorra, il lungometraggio tratto dal libro di Roberto Saviano. Dai camion, perché è nelle loro traiettorie che leggi meglio la labirintite di una città imprigionata in se stessa. Gomorra, che è un film neorealista, asciutto, disperato e crudo come un cazzotto nello stomaco, per i napoletani è come uno specchio di celluloide: uno specchio in cui ci si contempla ma dove si fatica anche a riconoscersi. E la nettezza urbana, invece, la chiave che ti svela che i problemi di una regione non si fermano davanti alle discariche. Per dire: l’amministrazione ha fatto salti mortali per raddoppiare il numero delle campane di vetro per la raccolta differenziata, perché ridurre i volumi è l’unico modo per uscire dal tunnel. Ma poi, siccome le campane si riempiono in poche ore, se non le svuoti è peggio che se non le avessi messe: finiscono sommerse in due giorni, e bruciate in tre.
Allora hanno raddoppiato i giri di raccolta, due turni al giorno. E siccome la gente ha risposto magnificamente (1400 tonnellate di vetro!) ce ne voleva un terzo. E altre 1000 campane. Solo che le campane non ci sono, e si è scoperto che mancano pure gli autisti: in un città che ha 3 addetti alla nettezza urbana ogni 1000 abitanti (il quadruplo che a Brescia!) l’Amia, la municipalizzata, non ha gli autisti, né i 36 milioni di euro che servono ad attuare il piano presentato a De Gennaro. In compenso si sono spesi 15 milioni di euro per il sistema satellitare «Sirenetta», che avrebbe dovuto monitorare gli itinerari. Meraviglioso, avveniristico: peccato che non abbia mai funzionato, perché le antennine saltavano ad ogni lavaggio.
Pensi che il problema siano i rifiuti, ma due giorni fa i napoletani si sono svegliati con lo sciopero selvaggio dei mezzi pubblici: non lo aveva indetto nessuno, e ha lasciato la città ancora più prigioniera di se stessa. A pagare due volte sono i più deboli. Ad esempio anziani e disabili, visto che i 250 operatori che li assistono sono senza stipendio da 7 mesi, e il piano sociale promosso dall’assessore di Rifondazione Giulio Riccio, ha poche possibilità di passare, in un consiglio che per tre volte non trova il numero legale per eleggere la giunta. Dopo le elezioni Rosa Russo Iervolino contava su una maggioranza blindata, 39 seggi: oggi ha un solo voto di margine. Il suo.
Nel frattempo i napoletani inondano i giornali di lettere furibonde, perché il buonismo ha portato il sindaco a indire una «domenica ecologica»: tutti a piedi! Ma come, in una città sommersa di rifiuti, dove ci si deve precipitare a chiudere i finestrini? In compenso la giunta ha trovato il tempo di varare il salutistico divieto di fumo nei parchi pubblici. Nello stesso giorno – una normale giornata napoletana! – alcuni pm ipotizzano i reati di corruzione, truffa e falso per gli amministratori dell’Ospedale del mare di Ponticelli; altri concludono l’indagine sul restauro fantasma di Palazzo Penne mettendo sotto inchiesta (ancora una volta) Antonio Bassolino. Ma non fa nemmeno più notizia. In compenso, se il governo non tirerà fuori subito 468 milioni di euro gli ospedali napoletani dovranno essere chiusi perché fuori norma.
«Se togli munnezza e criminalità, Berlusconi santo subito!», si legge sui manifesti di un fantomatico movimento, «Noi per il Sud». L’emergenza rifiuti ha moltiplicato le altre emergenze e il senso di claustrofobia di questa città. Lo respiri sotto le vele di Scampìa, dove i ridicoli «neo-vicoli» progettati con ambizioni alla Le Corbusier dentro gli edifici sono come i bracci di un carcere invisibile. Lo respiri nei bassi strangolati dal tanfo della munnezza. Vai all’uscita dei cinema e chiedi ai napoletani di Gomorra, e li trovi divisi, anche nella stessa famiglia. Nel raffinato quartiere di Chiaia, il signor Barbiero ha portato la figlia adolescente al cinema per metterla in guardia. E lei, riferendosi ai protagonisti: «Ma papà, questi parlano la lingua che io sento a scuola!». La signora Maria Borri dice che sapeva già tutto, ma che «vedere questa città illegale così, in presa diretta, è molto più angosciante che sapere che esiste». Non è d’accordo suo marito Lucio, che si chiede: «D’accordo, è un orrore, ma la novità dov’è? Non c’è nulla di nuovo tranne i soldi che ha fatto Saviano». Il signor Molinari è più scosso: «Io no, non sapevo tutto. E mi ha sconvolto la battuta di uno dei protagonisti che dice al trafficante dei rifiuti che aiuta le imprese del Nord: “Per vantarti di salvare una famiglia in Friuli, ne ammazzi dieci a Mondragone”».
A Fuorigrotta, lontano dal centro trovi un altro pubblico. Zaini e motorini, moltissimi ragazzi, come Peppe e Ciro: «Nel film si fa vedere qualcuno che ne esce. Nunn’è o vero. Dal giro della camorra non se ne esce». Questa è una città claustrofobica, imprigionata nei rifiuti. Che si scruta preoccupata nello specchio di celluloide di un film. E non si riconosce più.
FONTE: Il Giornale .it
Hanno iniziato domenica sera, e ieri – a metà giornata – i camion erano ancora in giro. Ma se non ci fossero la pioggia torrenziale e l’aria del mare, sicuramente, i miasmi che si levano dai quartieri avvelenati, da Secondigliano, dal quartiere Flegreo, persino da zone quasi centrali come Santa Maria del Consiglio arriverebbero fino alle stanze dove si riunisce il governo. La verità è che Napoli è ancora sepolta sotto il peso della sua emergenza, non respira.
Se vuoi raccontarlo, il paradosso di questa metropoli che rischia l’asfissia devi partire dalle sale di un cinema, o dalla torretta di un camion dei rifiuti. Dai cinema, perché in tutta Napoli, oggi, c’è un solo film da vedere, Gomorra, il lungometraggio tratto dal libro di Roberto Saviano. Dai camion, perché è nelle loro traiettorie che leggi meglio la labirintite di una città imprigionata in se stessa. Gomorra, che è un film neorealista, asciutto, disperato e crudo come un cazzotto nello stomaco, per i napoletani è come uno specchio di celluloide: uno specchio in cui ci si contempla ma dove si fatica anche a riconoscersi. E la nettezza urbana, invece, la chiave che ti svela che i problemi di una regione non si fermano davanti alle discariche. Per dire: l’amministrazione ha fatto salti mortali per raddoppiare il numero delle campane di vetro per la raccolta differenziata, perché ridurre i volumi è l’unico modo per uscire dal tunnel. Ma poi, siccome le campane si riempiono in poche ore, se non le svuoti è peggio che se non le avessi messe: finiscono sommerse in due giorni, e bruciate in tre.
Allora hanno raddoppiato i giri di raccolta, due turni al giorno. E siccome la gente ha risposto magnificamente (1400 tonnellate di vetro!) ce ne voleva un terzo. E altre 1000 campane. Solo che le campane non ci sono, e si è scoperto che mancano pure gli autisti: in un città che ha 3 addetti alla nettezza urbana ogni 1000 abitanti (il quadruplo che a Brescia!) l’Amia, la municipalizzata, non ha gli autisti, né i 36 milioni di euro che servono ad attuare il piano presentato a De Gennaro. In compenso si sono spesi 15 milioni di euro per il sistema satellitare «Sirenetta», che avrebbe dovuto monitorare gli itinerari. Meraviglioso, avveniristico: peccato che non abbia mai funzionato, perché le antennine saltavano ad ogni lavaggio.
Pensi che il problema siano i rifiuti, ma due giorni fa i napoletani si sono svegliati con lo sciopero selvaggio dei mezzi pubblici: non lo aveva indetto nessuno, e ha lasciato la città ancora più prigioniera di se stessa. A pagare due volte sono i più deboli. Ad esempio anziani e disabili, visto che i 250 operatori che li assistono sono senza stipendio da 7 mesi, e il piano sociale promosso dall’assessore di Rifondazione Giulio Riccio, ha poche possibilità di passare, in un consiglio che per tre volte non trova il numero legale per eleggere la giunta. Dopo le elezioni Rosa Russo Iervolino contava su una maggioranza blindata, 39 seggi: oggi ha un solo voto di margine. Il suo.
Nel frattempo i napoletani inondano i giornali di lettere furibonde, perché il buonismo ha portato il sindaco a indire una «domenica ecologica»: tutti a piedi! Ma come, in una città sommersa di rifiuti, dove ci si deve precipitare a chiudere i finestrini? In compenso la giunta ha trovato il tempo di varare il salutistico divieto di fumo nei parchi pubblici. Nello stesso giorno – una normale giornata napoletana! – alcuni pm ipotizzano i reati di corruzione, truffa e falso per gli amministratori dell’Ospedale del mare di Ponticelli; altri concludono l’indagine sul restauro fantasma di Palazzo Penne mettendo sotto inchiesta (ancora una volta) Antonio Bassolino. Ma non fa nemmeno più notizia. In compenso, se il governo non tirerà fuori subito 468 milioni di euro gli ospedali napoletani dovranno essere chiusi perché fuori norma.
«Se togli munnezza e criminalità, Berlusconi santo subito!», si legge sui manifesti di un fantomatico movimento, «Noi per il Sud». L’emergenza rifiuti ha moltiplicato le altre emergenze e il senso di claustrofobia di questa città. Lo respiri sotto le vele di Scampìa, dove i ridicoli «neo-vicoli» progettati con ambizioni alla Le Corbusier dentro gli edifici sono come i bracci di un carcere invisibile. Lo respiri nei bassi strangolati dal tanfo della munnezza. Vai all’uscita dei cinema e chiedi ai napoletani di Gomorra, e li trovi divisi, anche nella stessa famiglia. Nel raffinato quartiere di Chiaia, il signor Barbiero ha portato la figlia adolescente al cinema per metterla in guardia. E lei, riferendosi ai protagonisti: «Ma papà, questi parlano la lingua che io sento a scuola!». La signora Maria Borri dice che sapeva già tutto, ma che «vedere questa città illegale così, in presa diretta, è molto più angosciante che sapere che esiste». Non è d’accordo suo marito Lucio, che si chiede: «D’accordo, è un orrore, ma la novità dov’è? Non c’è nulla di nuovo tranne i soldi che ha fatto Saviano». Il signor Molinari è più scosso: «Io no, non sapevo tutto. E mi ha sconvolto la battuta di uno dei protagonisti che dice al trafficante dei rifiuti che aiuta le imprese del Nord: “Per vantarti di salvare una famiglia in Friuli, ne ammazzi dieci a Mondragone”».
A Fuorigrotta, lontano dal centro trovi un altro pubblico. Zaini e motorini, moltissimi ragazzi, come Peppe e Ciro: «Nel film si fa vedere qualcuno che ne esce. Nunn’è o vero. Dal giro della camorra non se ne esce». Questa è una città claustrofobica, imprigionata nei rifiuti. Che si scruta preoccupata nello specchio di celluloide di un film. E non si riconosce più.
FONTE: Il Giornale .it
Michele de Lucia