ORSI, UCCISO DALLA CAMORRA. PENTITO DEI RIFIUTI O VITTIMA?

3 giugno 2008 | 00:00
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ORSI, UCCISO DALLA CAMORRA. PENTITO DEI RIFIUTI O VITTIMA?

Uno “sgarro”, pagato con la vita, a una fazione dei Casalesi, contrapposta a quella di Francesco Bidognetti. Oppure la rappresaglia contro chi aveva svelato nomi e dettagli sulle attività dei clan. Sono le due ipotesi attualmente al vaglio degli inquirenti, che spiegherebbero la morte di Michele Orsi, ucciso ieri in un agguato a Casal Di Principe. L’avvocato sottolinea: “Non era un pentito, ma avevamo chiesto protezione”. L’imprenditore, accusato di avere favorito il clan dei Casalesi, con le sue rivelazioni aveva portato alla luce responsabilità dei vertici dell’organizzazione, in particolare della fazione ritenuta capeggiata da Bidognetti.

L’agguato. I sicari hanno colpito poco prima delle 13.30. Avrebbero atteso a lungo Orsi, intercettandolo nel momento in cui era uscito di casa per andare al Roxy Bar a comprare delle bibite. Lo hanno ucciso quasi sulla soglia del locale. Diciotto colpi, con due pistole, una calibro 9×21, e una 380 auto. Un proiettile, rimbalzato sul selciato, è stato trovato a una quindicina di metri dal luogo dell’agguato. Altri sono stati recuperati nelle vicinanze del bar. I sicari hanno riservato a Orsi anche un colpo di grazia alla testa.

Nuovi interrogatori. I carabinieri, con il coordinamento della Dda, hanno compiuto perquisizioni e interrogatori di pregiudicati ritenuti legati ai clan della zona. Ma non hanno trovato nessuno disposto a parlare dell’agguato. I magistrati hanno disposto l’autopsia sul corpo di Orsi, che sarà effettuata martedì. I funerali potrebbero tenersi in forma strettamente privata giovedì, nella chiesa di Maria Santissima Preziosa, vicina all’abitazione della vittima.

La famiglia sotto scorta. In via Catullo, stretta strada di Casal di Principe dove, in diverse palazzine, vivono i componenti della famiglia Orsi, è ben visibile l’auto della Guardia di Finanza che presidia il fabbricato dove è chiuso in casa Sergio, fratello maggiore dell’imprenditore, anche lui coinvolto nel procedimento giudiziario per le tangenti legate alla società Eco4 che gestiva raccolta e smaltimento dei rifiuti in 18 comuni del casertano, finita in un’inchiesta sui legami tra immondizia, politica, imprenditoria e camorra. All’uomo è stata concessa la scorta, anche in vista dell’udienza preliminare del prossimo 17 giugno per il procedimento che lo riguarda. Al fratello Michele, invece, una decina di giorni fa era stata concessa la misura della vigilanza saltuaria.

Niente scorta. “Avevamo chiesto inutilmente attenzione per Michele Orsi – ha detto l’avvocato Carlo De Stavola – che aveva diritto a una scorta e a un presidio sotto casa, anche se non era un pentito. Non nascondiamoci dietro i formalismi”. “Qui non si vedeva mai nessuno – spiega il cugino dell’imprenditore – ogni tanto passava un’auto della polizia”.

Il fratello. “Ho paura per me e per i miei familiari”, ha detto Sergio Orsi, fratello della vittima. L’uomo ha incontrato oggi il suo legale e alcuni giornalisti. Ai quali ha raccontato la storia degli affari di famiglia. Nati come imprenditori edili con attività nel Nord, cominciarono a lavorare nel casertano dopo aver vinto l’appalto per la raccolta dei rifiuti in diversi Comuni. Il gruppo, “dopo aver cercato di resistere”, pagava regolarmente tangenti a vari clan della camorra. Ma niente dettagli ulteriori: le indagini sono ancora in corso.

“Era una vittima, non un pentito”. Il legale spiega fino a che punto i fratelli Orsi fossero vessati dalla camorra. “Michele non era un pentito. Era, con suo fratello, una vittima. La loro società ha versato 15 mila euro al mese, per quattro anni, al clan mondragonese” dei La Torre. Cifra che potrebbe rappresentare soltanto la metà del pizzo effettivamente pagato, dal momento che a pretendere le tangenti erano anche i Casalesi. Ma su questo si indaga.

“Aveva paura”. L’avvocato smentisce che Orsi fosse, come sostiene il giornalista e scrittore Roberto Saviano, autore di Gomorra, “il Salvo Lima della camorra”: “Chi lo ha sostenuto se ne assume la responsabilità. Orsi aveva paura, veniva ogni giorno nel mio studio, perché era l’unico posto in cui si sentiva sicuro”. Quanto alla truffa aggravata di cui era accusato, il legale spiega che l’imprenditore era accusato “di avere, attraverso fatture e altre operazioni, favorito i clan. E’ questa l’impostazione del processo. Era stato ascoltato come teste l’8 maggio, nel filone del processo che riguardava i detenuti. Ora – conclude l’avvocato – aspettava soltanto l’udienza preliminare del 17 giugno: era slittata, per difetti di notifica. Avrebbe dovuto essere il 20 maggio”.