Processo alla camorra di Castellammare: 125 anni ai D´Alessandro

21 giugno 2008 | 00:00
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Processo alla camorra di Castellammare: 125 anni ai D´Alessandro

CASTELLAMMARE DI STABIA (Napoli) – “Cosa ho fatto per meritarmi trent’anni… cosa ho fatto?… Trent’anni… trent’anni….”. Antonio Elefante è rimasto di gesso alla lettura del dispositivo: gli inquirenti lo indicano come il reggente del potente clan di Scanzano, oggi – nella cella di sicurezza della I sezione – appare un uomo smarrito e confuso, caduto in una vicenda giudiziaria che – alla luce dei suoi quasi 60 anni – lo terrà chiuso in cella per il resto della sua vita.

Ma è la somma che fa il totale, una cifra che lascia interdetti: 165 anni di carcere distribuiti per otto imputati, 30 per il boss detenuto Luigi D’Alessandro (collegato in videoconferneza, essendo detenuto al 41 bis), 30 – come detto – per il presunto reggente degli scanzanesi, Antonio Elefante, 21 e 19 per i due narcos di Scampia, Gianluca Bilotta e Antonio Caccia, 19 anni per Augusto Bellarosa e Adriana Rotondale, 17 per Giovanni Lucarelli, appena 10 per Ettore Spagnuolo, assolto dalla sola accusa di estorsione (tutti difesi dai penalisti Stefano Sorrentino, Alfonso Piscino, Francesco Schettino, Michele Santonastaso, Anna Rita Senese, Mario D’Alessandro e Giuseppe Annunziata).

Difficile trovare negli annali della cronaca giudiziaria locale una condanna così pesante per la sola accusa di associazione mafiosa: l’ultimo precedente riguarda il super boss di Secondigliano Paolo Di Lauro, il popolare Ciruzzo ‘o milionario, che il 17 maggio 2006 incassò la stessa condanna per lo stesso reato, associazione a delinquere di stampo camorristico finalizzato al traffico di droga e alle estorsioni. Insomma, una mazzata quella che ieri mattina, il collegio tutto ‘femminile’ della prima sezione del tribunale di Torre Annunziata (composto dal presidente Assunta Musella, a latere Maria Rosaria Aufieri e Alessandra Maddalena), ha inferto agli scanzanesi, dopo tre giorni di camera di consiglio.

Una sentenza che – di fatto – mette la parola fine all’operosa incidenza criminale del cosiddetto clan D’Alessandro sul territorio stabiese e che rappresenta un segnale che sa di deterrente per chi avesse già progettato imminenti ricambi generazionali nel circuito della malavita stabiese. Nel giorno in cui la Corte d’Assise d’Appello di Napoli conferma sedici ergastoli a carico dei ‘casalesi’, a circa trenta chilometri di distanza Luigi D’Alessandro e la sua presunta claque incassano più di un secolo e mezzo di carcere divisi per otto imputati, il gruppo dei cosiddetti ‘irriducibili’ del clan scanzanese, quelli che scelsero il rito ordinario davanti ai giudici torresi, a fronte di un’altra raffica di condanne durissime comminate in primo e in secondo grado con rito abbreviato nei confronti di una mezza dozzina di presunti affiliati alla cosca scanzanese (il gruppo Avitabile-Apadula), coinvolti nella medesima inchiesta dopo l’operazione Chalet messa a segno dai carabinieri della compagnia stabiese su ordine del pm della procura antimafia di Napoli, Pierpaolo Filippelli (autore di una requisitoria non certo meno soft delle condanne). Increduli imputati e avvocati difensori, costretti ad ingoiare l’amaro boccone pur nutrendo propositi di rivalsa in Corte d’Appello.

Tra le pene accessorie l’interdizione dai pubblici uffici per tutti gli otto condannati, 3 anni di libertà vigilata per D’Alessandro ed Elefante alla scadenza della pena, due anni per Spagnuolo. Velati i commenti tra il pubblico, poco numeroso rispetto al passato, quando i processi a carico dei D’Alessandro erano ‘sostenuti’ anche da un nutrito gruppo di familiari al seguito. E’ il segnale di un generale sentimento di sconfitta e di decadimento, l’ultimo – in attesa dell’Appello – faccia a faccia tra Dda e camorra stabiese, in una guerra durata tre anni (l’offensiva dell’antimafia dopo la faida del 2004), con circa duecento arresti, cinque processi per 416 bis a dibattimento e una raffica di condanne che chiude il sipario su una lunga epopea di delitti di sangue che assurse a ruolo di protagonisti i successori naturali (e non) del defunto padrino Don Michele D’Alessandro.

In realtà si tratta di una sentenza attesa da quattro mesi, ma che si arenò in seguito a una richiesta di ricusazione (rigettata dalla Corte di Cassazione) del presidente del collegio giudicante Maria Rosaria Musella, formulata dai difensori degli imputati. Martedì mattina l’ennesima eccezione e richiesta di sospensione formulata dall’avvocato Stefano Sorrentino, per attendere la decisione dei giudici della Corte di Appello di Napoli, in merito alla ricusazione di un altro giudice del collegio, Anzalone. Dopo una brevissima camera di consiglio, i giudici rigettarono la richiesta dei legali, sostenendo che il giudice Anzalone ormai non faceva più parte della triade giudicante e che fu sostituito nel corso del processo.

Qualche mese prima in una delle ultime udienze, nella requisitoria del pm Filippelli era stata chiesta una pena di 25 anni per D’Alessandro e per Elefante, 20 anni per Ettore Spagnuolo (in aggiunta anche 5000 euro di multa); 13 anni per Giovanni Lucarelli, in continuazione con una precedente condanna; 18 anni e 50mila euro per Antonio Caccia e per Adriana Rotondale; 15 anni per Augusto Bellarosa, in continuazione con una precedente condanna; 18 anni e 50mila euro per Gianluca Bilotta. Il collegio è andato giù duro, ora si attendono le motivazioni e il secondo round in Appello.
Rocco Traisci


fonte:metropolisweb.it

                                           Michele De Lucia