Castelli: «Niente immunità ma la riforma va fatta»

18 luglio 2008 | 00:00
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Castelli: «Niente immunità ma la riforma va fatta»

da Roma

Senatore Castelli, Berlusconi vuole subito la riforma della giustizia e Calderoli dà uno stop: dice che viene prima il federalismo fiscale: c’è alta tensione tra Lega e Pdl?
«Quello di Calderoli non è stato uno stop: ha semplicemente detto, e io condivido, che a settembre è il turno del federalismo fiscale. Lui è un esperto in queste cose e se dice che ci può essere un ingorgo dei lavori parlamentari, bisogna credergli. Ma se mentre si approva in aula il federalismo si vuole incominciare a lavorare in Commissione sulla riforma della giustizia, nulla di male. E poi, abbiamo il bicameralismo e le due riforme potrebbero impegnare Camere diverse. Ma che sia chiaro che per noi della Lega la priorità è il federalismo».
Riformare la giustizia non è così urgente come sostiene il premier?
«La riforma serve, non c’è dubbio. Se facciamo due calcoli sulla base dei processi pendenti, viene fuori che almeno 13-14 milioni di italiani sono in attesa di giustizia. Ma se Berlusconi vuole fare una riforma “epocale” non servirà poco tempo, ci vorrà un’ampia discussione e se l’approvazione slitta di un mese o due non cambia nulla».
Si può procedere in parallelo sui due tavoli?
«L’accordo di programma fatto con gli alleati dice che a settembre si affronta il federalismo. Neanche un minuto si può sacrificare a qualsiasi altra questione. Sapevamo che per quest’estate, nell’agenda scritta con il Pdl prima del voto, c’erano diverse emergenze: mettere un po’ di soldi in tasca agli italiani con l’abolizione dell’Ici, risolvere la questione rifiuti a Napoli, affrontare i provvedimenti sulla sicurezza e il primo pezzo della finanziaria. L’abbiamo fatto, ora tocca al federalismo».
E quando tocca alla giustizia?
«I tempi li vedremo. Comunque, Berlusconi sta vincendo la battaglia tra politica e giustizia militante: la gente è stanca di vedere che le scadenze della politica vengono determinate dall’azione di alcune procure. E così anche in larghi strati dell’opposizione e della stessa magistratura, c’è chi dice basta. La maggioranza degli italiani vorrebbero un Paese normale, in cui la politica fa il suo dovere e la magistratura rimane nel suo ruolo. La sensazione che molto nell’opinione pubblica stia cambiando su questi problemi mi fa avere un orizzonte molto positivo».
Non temete che gli attriti sulla giustizia pesino negativamente sul dialogo con il Pd e sull’approvazione del federalismo?
«Dipende molto da come s’imposta la riforma della giustizia. Secondo noi non ci dev’essere un clima di scontro, nè di vendetta. Sarebbe sbagliato. Sappiamo che i problemi fondamentali sono quelli della lunghezza dei processi, delle intercettazioni e bisogna intervenire».
Si pensa anche a separazione delle carriere, riforma del Csm e della sezione disciplinare, interventi sull’obbligatorietà dell’azione penale.
«Credo che sulla separazione delle carriere e sulla sezione disciplinare esterna al Csm i tempi siano maturi, sul resto prima di pronunciarmi voglio vedere un testo».
Ma ci sono già forti proteste da opposizione, Anm, Csm…
«Ci saranno sempre i soliti pasdaran: Di Pietro non lo convinceremo mai, come Flores d’Arcais e come Magistratura democratica. Ma con gli altri ci si può confrontare. Senza ritornare agli appelli ad un falso clima di dialogo dei tempi in cui ero ministro della Giustizia, che servivano solo a non fare niente».

Berlusconi vuole subito anche l’immunità parlamentare.
«Questo non c’entra con la riforma della giustizia. E noi della Lega non siamo d’accordo nel reintrodurla».
Perché?
«In questo momento potrebbe inquinare il clima, creare dei problemi ed essere di ostacolo al cammino agevole delle riforme. L’opinione pubblica non lo capirebbe: penserebbe alla Casta che si difende».
Però siete andati avanti sul Lodo Alfano, che in qualche modo apre la strada.
«Quello è giusto, perché serve uno scudo per le più alte cariche che garantisca la governabilità. Per l’immunità parlamentare in linea teorica sarei d’accordo, ma non ci sono in questo momento le condizioni politiche. Meglio fermarsi al Lodo Alfano».


                                                   Michele De lucia