CHI HA PAURA MUORE TUTTI I GIORNI, GIUSEPPE AYALA A POSITANO
A Positano, in Costiera Amalfitana, il magistrato che rappresentò le tesi di Falcone e Borsellino, i giudici coraggiosi del pool antimafia di Palermo, nel primo maxi processo. “E’ bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Questa frase di Paolo Borsellino ha ispirato il libro “Chi ha paura muore ogni giorno” che, nell’ambito della rassegna culturale Positano Mare Sole e Cultura, giunta alla XVI edizione e quest’anno dedicata al tema delle contaminazioni, verrà presentato questa sera sulle terrazze dell’Hotel Le Agavi alle 21,30.
Dopo l’incontro con il Cardinale Sepe, vescovo di Napoli, che, proprio a Positano, ha proposto una lunga e profonda riflessione sulle piaghe che feriscono il capoluogo campano, ma anche della sua pervicace voglia di riscatto, sia pure all’ombra di poteri delinquenziali, un’altra pagina di cruda attualità sarà rievocata dal magistrato Ayala. A rievocare il feroce assassinio che spense prematuramente le vite dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e degli uomini della loro scorta, autorevoli personalità: il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso, il vescovo di Acerra don Antonio Riboldi, strenuo combattente della camorra, ed il Presidente Nazionale Coordinamento Antimafia Adriana Musella.
La parola contaminazione si tinge di rosso e si trasforma, in questo caso, in connivenza, complicità ed omertà. Ayala ha deciso di raccontare la sua verità su Falcone e Borsellino, ricordandone il fondamentale contributo alla lotta alla mafia e le attualissime riflessioni sulla Sicilia, Cosa nostra, la Giustizia e la Politica, ma anche la loro travolgente ironia, la gioia di vivere, le passioni civili e private, le vicende quotidiane che nessuno ha mai potuto descrivere con tanta intima conoscenza.
Nell’estate del 1992 due esplosioni di enorme potenza annientarono la vita di tre magistrati (Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino) e di otto giovani che li scortavano, ribadendo al mondo intero cosa significa opporsi alla mafia siciliana. Fu un trauma terribile per quei milioni di italiani che consideravano Falcone, Borsellino e gli altri giudici del pool antimafia gli eroi di una stagione di straordinario successo nella lotta a Cosa nostra. A Giuseppe Ayala quelle tragiche morti strapparono tre amici carissimi, lasciando lo struggente ricordo di dieci anni di vita insieme.
Ayala venne coinvolto nell’attività del pool antimafia sin dall’inizio. Rappresentò in aula la pubblica accusa nel primo maxiprocesso, sostenendo le tesi di Falcone, Borsellino e della procura di Palermo di fronte ai boss e ai loro avvocati, interrogando i primi pentiti (tra cui Tommaso Buscetta) e ottenendo una serie di condanne che fecero epoca. E fu sempre al fianco dei due magistrati in prima linea, nell’attività quotidiana come nei viaggi per le rogatorie internazionali, nel condiviso impegno di lavoro come nelle vacanze passate insieme, fino a quando, dopo i primi grandi successi, la reazione degli ambienti politico-mediatici vicini a Cosa nostra, la diffidenza del Consiglio superiore della magistratura e l’indifferenza di molti iniziarono a danneggiarli, a isolarli.
“Qualcuno ha scritto che, dopo più di 15 anni da quel tremendo 1992, “Ayala ha ormai pagato il torto di essere rimasto vivo”. Spero abbia ragione.”
La storia di quegli anni, delle vittorie e dei fallimenti, dell’impegno di pochi e delle speranze deluse di molti, riporta al centro dell’attenzione la tremenda capacità di sopravvivenza della Piovra, che si nutre dei silenzi, delle complicità, delle disattenzioni e delle colpe di una Sicilia e di un’Italia che non sono, forse, abbastanza cambiate da allora, da sconfiggere i centri di poteri altri dallo Stato.
Il prossimo appuntamento della rassegna per giovedì 17 luglio, a Palazzo Murat, con Walter Siti, autore de “Il contagio”, sul tema contaminazioni sociali, tra borgate e nuova borghesia.