Adrian Mutu resterà alla Fiorentina: a trattare con i viola per lui c’è Alessandro Moggi, il figlio di Luciano, il re del calciomercato almeno fino all’estate della bufera, quella del 2006. Alberto Aquilani, il calciatore italiano del momento, non si muove dalla capitale, ne è convinta la dirigenza della Roma che sta discutendo il rinnovo del contratto con Franco Zavaglia. Gli juventini Nicola Legrottaglie e Giorgio Chiellini, hanno appena firmato il prolungamento dell’accordo con i bianconeri: ad assisterli Davide Lippi, figlio del commissario tecnico della Nazionale Marcello Lippi.
Moggi, Zavaglia, Lippi. Erano i procuratori di punta di Gea World, la società accusata di controllare il mercato di atleti e allenatori e messa in liquidazione in seguito agli scandali del calcio. Con loro c’erano altri collaboratori come Massimo Brambati, Pasquale Gallo, Francesco Ceravolo. Ma anche altri figli famosi: Riccardo Calleri, figlio di Gianmarco, già presidente di Torino e Lazio; Chiara Geronzi, giornalista e figlia di Cesare, attuale presidente di Mediobanca. Mentre nel 2006 si erano già chiamati fuori altri due fondatori: Francesca Tanzi, figlia di Calisto, patron del Parma e della Parmalat; Andrea Cragnotti figlio di Sergio, patron della Lazio e della Cirio; e Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco.
Oggi Gea World non esiste più, ma quelli che avevano fatto nascere e crescere il suo business, sono ancora lì a trattare a discutere di ingaggi. Si muovono tra l’Ata Quark Hotel e l’Hotel Gallia di Milano: in modo del tutto legittimo ma singolarmente, non più come società ma come agenti con tanto di patentino Fifa. Il loro potere è stato intaccato ma resiste: non c’è più un sistema Gea World, ma hanno mantenuto buona parte del loro giro d’affari. E c’è chi sostiene che stiano ritornando alla grande su un mercato che a forza di commissioni medie del 5% (sui compensi percepiti dagli atleti) supera i 50 milioni di euro all’anno.
«Non hanno mai smesso di fare affari e il loro portafoglio di clienti va aumentando. Sono sempre lì», dice Claudio Pasqualin, considerato in Italia il principe dei procuratori. Uno che con il contratto di Alessandro Del Piero nel 1999 (un quinquennale da cinque milioni di euro a stagione) ha sbancato la triade della Juventus. «La situazione della professione è sconcertante, ci sono agenti improvvisati e i figli di papà continuano a girare: magari oggi non si chiamano più Moggi – aggiunge Pasqualin –, ma Corvino o Pastorello», come Pantaleo Corvino della Fiorentina, o come Giambattista Pastorello che ha appena lasciato il Genoa. «E le regole che abbiamo sul conflitto di interesse e sulla professione – dice ancora Pasqualin – sono una vera presa in giro».
Due anni fa Gea World era arrivata a gestire 300 giocatori: «Quanto basta – scrivevano i Carabinieri – per allestire un intero campionato di A e uno di B». L’influenza diretta si estendeva inoltre a oltre 30, tra presidenti, direttori sportivi e amministratori delegati di società di calcio. Secondo l’Antitrust guidato da Antonio Catricalà, Gea World era arrivata a controllare il 17,9% del mercato e Moggi junior da solo aveva in mano il 12,3% delle procure. «Gestivamo più di cento giocatori tra serie A e B – ha detto nei giorni scorsi Alessandro Moggi – ora i miei assistiti sono una trentina». Niente male per uno che era stato messo alla gogna, che continua a negare anche l’evidenza – cioè al di là dei fatti, l’arroganza con la quale si muovevano lui (il padre) e i suoi sodali – e che spiega di «aver ricevuto molti attestati di stima, soprattutto dai suoi clienti e di non percepire alcun genere di ostilità o pregiudizio nei suoi confronti». A voltare le spalle alla Gea sono stati pochi e l’anno fatto subito: i giocatori Marco Materazzi, Massimo Oddo, Andrea Gasbarroni, Nicola Amoruso, Marco Amelia. Qualche altro spostamento minore. Poi tutto ha cominciato a tornare alla normalità, senza clamore. Zavaglia può contare su almeno venti giocatori, Lippi ne ha almeno una decina.
Certo gli uffici di vicolo Barberini a Roma, a due passi da via Veneto, quelli dove si facevano i colpi del mercato, sono vuoti. Non c’è più il via vai di un tempo. Ma gli affari ci sono, altrove ma ci sono. Moggi ha il suo quartiere generale a Napoli con la Undici srl; Lippi ha costituito la Reset Group srl (dove figura come amministratore unico e azionista di maggioranza) a Roma, ai Parioli. Anche Zavaglia è tornato a Roma, ma in una zona meno glamour.
«Non possono più agire come un tutto, non c’è più la coalizione di potere. Ma ci sono ancora e in giro la mentalità non è cambiata», dice Dario Canovi, il decano dei procuratori di calcio italiani assieme ad Antonio Caliendo. «Moggi, Luciano intendo, ha ancora amicizie e contatti, ma il suo potere è diminuito – spiega Canovi – perché non è più un dirigente della Juventus. La Gea era infatti formata da procuratori ma poteva contare su almeno quattro società amiche: la Juventus, ma anche il Messina, il Livorno, il Siena. Erano un blocco unico, anche se resto convinto che Luciano Moggi abbia pagato per tutti, perché era il più evidente, il più chiassoso, perché godeva a farsi definire il re del mercato. Mentre molti altri, anche nei grandi club, con poteri, diciamo ovvi ma meno sbandierati, non hanno pagato. Oggi la situazione davvero imbarazzante è quella di Davide Lippi».
L’unica incognita per i dirigenti e i collaboratori della Gea viene dal processo iniziato nel giugno del 2006: il dibattimento è ancora in corso, e ogni udienza alimenta le polemiche sulla vicenda calciopoli. Per i magistrati dell’accusa, con Gea World si era creato «un sistema perverso che danneggiava gli interessi della concorrenza» e per questo Alessandro Moggi e Luciano Moggi, all’epoca dei fatti direttore generale della Juventus (e già squalificato il altro procedimento per cinque anni per illecito sportivo), sono stati accusati di «associazione a delinquere finalizzata all’illecita concorrenza tramite minacce e violenze». Con loro, rinviati a giudizio ci sono Zavaglia, Ceravolo, Gallo e Davide Lippi.
Michele De lucia |