Viva attesa per la prima personale di Alfredo Celli a Napoli, che sarà inaugurata alla Libreria “Evaluna”, Piazza Vincenzo Bellini, 7280138 Napoli [+39 081292372 (info), +39 081292372 (fax) – libreriadelledonne@evaluna.it– www.evaluna.it] venerdì 11 luglio 2008, alle ore 19.30.
L’esposizione, intitolata ”Orizzonti plastici”, con lavori recenti in tecnica mista dell´architetto Alfredo Celli, che opera e vive in Abruzzo.
Inteventi, alle ore 20, di Stefano Arcella, Pino Cotarelli, Angelo Lippo, Franco Lista, Nando Romeo, Antonino Scialdone, Maurizio Vitiello.
Catalogo in galleria.
Orario: 10.30-14.30/19.00-22.00; domenica chiuso.
Sino a venerdì 18 luglio 2008.
Prosegue la brillante stagione espositiva ad Evaluna.
Dopo aver ascoltato i commenti favorevoli di Pino Cotarelli, critico teatrale, e di Nando Romeo, regista cine-tv, già riportati in una precedente nota su questo giornale-web, al poeta pugliese Angelo Lippo abbiamo chiesto un commento sulle ultime opere di Alfredo Celli e ci ha risposto, così: “La libertà di sperimentare ogni forma di materiale è un lasciapassare necessario per chi vuole misurarsi con un’arte svincolata e disarticolata da schemi e strutture logore, ancorate a vecchie strategie culturali.
Certo, tutto questo non è sufficiente a far sì che si possa discettare di “opera compiuta”, ma la sua vitalità presuppone ed anticipa senz’altro un processo di rinnovamento, isolando gli scarti di un immaginario solipsistico e vacuo.
L’attrazione verso forme di sperimentazione porta l’artista a verificare, a controllare, a selezionare, pronunciandosi per un’armonia di risultati oggettivi e fortemente attrattivi.
Questa spinta introduce di pari passo la necessità di andare oltre, cioè in quell’universo d’immagini e di pensieri, nel quale si sviluppano le tensioni concettuali ed espressive più referenziali ed eloquenti.
La densità dello spessore della materia stabilisce nuovi orizzonti, dai quali si incominciano ad edificare intenzioni e possibilità di sconfinamento, per approdare ad una ri-definizione delle cose da nominare e una volta espresse far sì che esse respirino di vita autonoma.
Che Alfredo Celli (nato a Tortoreto, in provincia di Teramo, nel 1958, diplomato all’Istituto d’Arte di Castelli nel 1976) abbia attraversato – come tutti gli artisti seri – l’arcipelago della pittura iconica, motivata ab origine da opere ad olio su tela, di matrice figurativa, essenziale successivamente in dinamiche astratte, non deve meravigliare più di tanto.
Forse è proprio da quegli esiti primari che è possibile ora affermare il movimento di natura “informale”, che è alle fondamenta della sua più recente produzione, formalizzata nell’appropriazione di ulteriori intenti, comunque orientata verso risvolti di coinvolgimenti plastici, e che aiutano a capire qual è il senso di marcia che Celli vuole assumere d’ora in poi.
La sua pittura è altro dal mondo, pur raccontando le cose del mondo.
Tutto si attua e si focalizza all’interno del processo creativo, della luminosità provocata dalle fluorescenze timbriche che la materia stabilisce e porta a compimento nell’attimo stesso in cui tutto prende corpo e anima.
Il materiale impiegato, prevalentemente tecnica mista su plastica applicata su faesite, impone un’attenzione speculativa, dalla quale può scaturire una reale condizione di gioia o di sconforto, di sostanziale adesione alla vita o di misurata distanza dalle sue brutture.
Emblematici, e per taluni aspetti segnali quanto mai significativi, i titoli dei suoi ultimi avori: Anima Avviluppata, Ferite lungo i confini, Il Sud del mondo, Salendo da Est, Strinature e sfregi, Vecchia Europa Addio, che rappresentano il discrimine a volte inquietante eppure appassionato, o ancora il punto focalizzante di un universo che si snoda attraverso intrecci di annotazioni fabulistiche e/o surreali.
Il tempo scorre senza intervalli di sosta, così Celli rimpolpa il suo registro e stringe un patto di solidarietà con la materia, da cui pretende ogni volta un’emergenza differente, una affabulazione meno deterministica, una visionarietà intrecciata da cadenze e ritmi coloristicamente vibranti.
L’attenzione si svolge in modo innaturale, cioè squarciando le filigrane di una condizione completamente diversa da quella che si era immaginato, ma allo stesso tempo così fortemente inclusiva e pronunciata come è facile evincere da una lettura approfondita delle sue opere. Quella che appare non è un’astrazione strumentale, affidata ad un’urgenza emotiva e quindi immotivata, ma giunge ad uno scambio di rapporti intellettuali e – oserei dire – “intimi”, giammai intimistici, che ci conducono in territori dall’impalpabile leggerezza.
Il colore non è un fattore estetizzante o ludico, ma il concepimento di un pensiero calato nella dimensione del cosmo, la stessa cosmogenesi dell’opera che si scolpisce nel trascorrere dei tempi.
In tale contesto l’opera è sintesi da esaminare, da illustrare sulle tracce di una rivendicazione attenta ai segnali di un equilibrio rinnovato.
La scansione delle ipotesi si avvale di un percorso selettivo, che Celli formalizza nella distribuzione di impasti metamorfici e avvolti da una sensualità cromatico-espressiva.
In definitiva, Celli attualizza quel pensiero di Matisse, il quale ebbe a dire che: “… L’importanza di un artista si misura dalla quantità di nuovi segni che egli ha introdotto nel linguaggio plastico”, proiettandosi così nella scia di un Burri o di un Fontana, artisti con i quali condivide la traversata di un impegno che si illumina nella coscienza della personale ricerca.”
Anche al fine intellettuale Franco Lista abbiamo chiesto una riflessione sull’ultima produzione plastico-pittorica dell’artista abruzzese Alfredo Celli ed ha sottolineato, così: “L’arte, finanche nelle sue più estreme forme di esaltazione della dimensione concettuale, ha sempre a che fare con la materia, con l’interrogazione della materia quando essa è sottoposta dall’artista all’impulso del continuo rinnovamento creativo.
Probabilmente, questo dato rappresenta la fondamentale costante sovrastorica rintracciabile nel complesso cammino dell’arte.
Voltaire, ad esempio, mentre si lasciava condurre dalla raison era sedotto dalla materia che sollecitava fortemente la sua fervida riflessione, al punto da chiedersi se la materia possedesse pure qualcosa di immateriale, spingendosi oltre nell’attribuire ad essa addirittura la capacità di pensiero.
Sarebbe troppo lungo addentrarci in una riflessione sul rapporto tra intelletto e sensibilità e tra materia e fenomeno artistico.
Vale la pena, molto più efficacemente, di servirci delle correlazioni dirette, poiché discorsi difficili e forse inutili non rendono quanto rende l’osservazione di un’opera vista nella sua libera ed espressiva fisicità, nella sua assoluta oggettualità materica.
Ciò accade quando siamo di fronte a opere prepotentemente vitali come quelle di Alfredo Celli, dove il prorompere di una particolare energia creativa, e dunque trasformativa della materia, costituisce l’aspetto percettivo, il fascino visivo più immediato e polarizzante.
Al di là di questa prima impronta ci convince il processo metamorfico, di straordinario cangiamento dei materiali di cui l’artista si serve.
Le alterazioni delle materie plastiche, che brucia impasta e rinnova, nel loro mutarsi in densa e primigenia materia cromatica danno l’immediato senso di un sublime istinto creativo, laddove, potremmo schillerianamente dire, l’artista “sente la propria superiorità, la sua libertà da ogni limite”.
L’incontro o, anche reciprocamente, lo scontro con la materia è nell’ordine delle cose.
Analogamente l’opera di Celli si inserisce in un processo fenomenico naturale, alla stregua di un metamorfismo o di un magma eruttivo di un focolare vulcanico, ma l’inserimento è solo il tentativo poeticamente riuscito di oltrepassare il fenomeno.
Ecco dunque le forme organiche che alludono alla forma infinita nel tempo e nello spazio, al superamento della stessa materia intesa come puro mezzo strumentale.
Alfredo Celli concettualizza l’assoluta necessità del manifestarsi della forma come fenomeno naturale, intenzionalmente provocato.
Egli trascende la forma per manifestarne il processo costitutivo, per cui il fenomeno formativo da fisico diventa dinamicamente estetico.
Si tratta, in definitiva, di un complesso e sottile processo di ricerca artistica che riflette, per alcuni aspetti, i percorsi dei grandi maestri del calibro di Fontana e Burri, laddove questi ”percepiscono lo spazio e la materia oltre la forma, in una progressiva scomparsa dell’opera-oggetto”, come ha scritto Bandini, con assoluta penetrazione critica.”
In conclusione, Alfredo Celli continua a detessere l´attualità ed assicura un magma potenziale d´immagini per tagliare, poi, squarci personalissimi del quotidiano, perché ha bisogno di seguire le sue fantasie, che esplorano momenti d´incanto e di ragionamenti e di considerazioni.
Insomma, attimi e dettagli sono segmentati in una proiezione periscopica e sono agitati dal fuoco che esalta risultati sorprendenti intercalati sul foglio di plastica.
Mostra da visitare.
Maurizio Vitiello