NAPOLI — L’avvocato penalista F. C. ha confessato agli investigatori di essere diventato schiavo delle mutandine, che quelle foto scattate col telefonino ad avvocatesse, giudici, cancellieri, ma pure testimoni, imputati e familiari all’interno del Nuovo Palazzo di Giustizia al Centro Direzionale, erano diventate una malattia. Saliva continuamente sulla scala mobile, percorreva le tre rampe che immettono sul piazzale coperto, poi scendeva e ricominciava da capo. I poliziotti del commissariato di Castelcapuano si sono chiesti come mai. Il motivo, per l’appunto, erano i book fotografici che l’avvocato realizzava durante le sue «battute di caccia» in tribunale. Fermato per un controllo, il penalista del «foto napoletano» ha dovuto consegnare agli agenti il telefonino zeppo di immagini e video «hot».
In pochi minuti aveva ripreso e fotografato decine di gonne. Da sotto, ovviamente. Tutto veniva regolarmente catalogato: quando gli agenti di polizia gli hanno perquisito casa, in un quartiere collinare di Napoli, hanno trovato centinaia di file conservati su cd e pen drive, una raccolta formata da migliaia di scatti, una photo gallery sterminata di cosce e mutandine assortite. L’età delle inconsapevoli modelle non era un problema, e nemmeno la stazza. F. C. è stato così denunciato in base all’articolo 615 bis, che parla di «interferenze illecite nella vita privata» ed è contenuto nella sezione del codice penale che parla dei «delitti contro la inviolabilità del domicilio». «Chiunque — recita l’articolo — mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Con evidente imbarazzo, l’avvocato ha spiegato agli investigatori di aver cominciato a scattare quelle foto col cellulare quasi per scherzo, un giorno qualunque. In poco tempo, però, il gioco si è trasformato in un’abitudine sconveniente.
Una specie di malattia, che però non ha impietosito l’agente di polizia riconosciutasi in una delle foto incriminate. La donna, notando che il proprio didietro era stato immortalato sul telefonino dell’avvocato, ha sporto immediatamente querela. Tutte le altre, colleghe oppure no, che non avranno modo di visionare la raccolta di F. C., non sapranno mai di essere diventate per un attimo modelle di biancheria intima. All’avvocato, i volti interessavano fino a un certo punto.
Stefano Piedimonte