EGITTO: SEI RAPITORI UCCISI, ITALIANI NON COINVOLTI

29 settembre 2008 | 00:00
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EGITTO: SEI RAPITORI UCCISI, ITALIANI NON COINVOLTI

IL CAIRO – Giornata drammatica nella vicenda dei 19 ostaggi in Egitto, dopo la sparatoria che l’esercito sudanese ha avuto con un gruppo di rapitori e nella quale sei di loro sono rimasti uccisi. Poco dopo lo scontro a fuoco, fonti della Farnesina hanno precisato che i cinque italiani del gruppo di rapiti non dovrebbero, verosimilmente, essere stati coinvolti nella sparatoria.

Fonti di Khartoum hanno reso noto che nello scontro sono anche rimasti feriti cinque militari sudanesi – un tenente molto gravemente – ma gli ostaggi (oltre ai 5 italiani, 5 tedeschi, una romena e otto accompagnatori egiziani) sarebbero stati portati via da un gruppo di altri 35 banditi (o miliziani, non e’ chiaro, per ora) verso la localita’ ciadiana di Tabbat Shajara, vicina al confine sudanese.

Dopo lo scontro armato – ha detto un portavoce delle forze armate, il generale Mohamed Alagbash – l’esercito ha sequestrato un’auto station wagon bianca, un autobus turistico con targa del Cairo ed una gran quantita’ di armi e documenti con il logo del gruppo ribelle del Darfur dell’Sla (Esercito di Liberazione del Sudan).

Dalla capitale ciadiana, N’Djamena, tuttavia, e’ arrivata una smentita sul fatto che i rapitori siano sul suolo del Ciad cosi’ come, di fronte al profluvio di notizie sulla sparatoria diffuse da notiziari tv ed agenzie di stampa, le autorita’ egiziane – in particolare una portavoce del ministro del turismo – hanno affermato di non avere alcuna conferma delle notizie provenienti da Khartoum. I parenti degli ostaggi italiani – Lorella Paganelli, di 48 anni, Walter Barotto (68) di Torre Pellice, Michele Barrera (72) di Alpignano, Mirella De Giuli (70) di Angrogna, e Giovanna Quaglia (52)di Torino – hanno infine detto a giornalisti di non aver alcuna informazione al di fuori di quelle veicolate da stampa e tv, e quindi di essere preoccupati sulla sorte dei propri cari.

La prima fonte che ha diffuso notizie sulla sparatoria e’ stato il capoufficio stampa della presidenza della repubblica sudanese, Mahjoub Fadl Badri, che ha ricostruito cosi’ la vicenda: ”Le forze sudanesi hanno seguito le tracce dei rapitori degli ostaggi del Jebekl Uwainat e ne hanno scoperte alla frontiera con il Ciad”. ”Sei dei sequestratori – ha aggiunto Badri all’ANSA – sono stati uccisi, secondo quanto hanno rivelato ai militari sudanesi due che facevano parte del gruppo e che sono sopravvissuti alla sparatoria e sono stati arrestati”. ”Tra gli uccisi – ha detto ancora il portavoce – c’era anche il capo dei rapitori, un certo Bakhiet, di nazionalita’ ciadiana”.

”Gli ostaggi – ha concluso – sono ora in un nascondiglio in Ciad vicino al confine con il Sudan”. Piu’ tardi il generale Alagbash ha raccontato all’ANSA che i soldati hanno incrociato vicino al confine con la Libia la station wagon che marciava ad alta velocita’ e le ha intimato l’alt. Gli occupanti hanno proseguito la corsa cominciando a sparare contro i soldati, che hanno risposto al fuoco. La sparatoria si e’ conclusa quando sei dei rapitori sono stati uccisi e due arrestati. Un altro portavoce ha detto in precedenza che a rinforzo dei sequestratori coinvolti nello scontro e poi uccisi, dal territorio ciadiano sono arrivati altri 35 uomini armati, su altri veicoli, e che, mentre c’erano ancora scambi di colpi di arma da fuoco tra i soldati ed il primo gruppo, sono ripartiti di corsa verso la localita’ ciadiana di Tabbat Shajara, portando via con se’ i 19 ostaggi.

L’area nella quale si sono svolti questi eventi e’ molto vicina, se non addirittura dentro i confini del Darfur del Nord, lo stato federale sudanese nel quale dal febbraio 2003 e’ in corso una guerra civile da parte di movimenti ribelli contro il governo di Khartoum, con un gran numero di guerriglieri di varie formazioni ed un’enorma quantita’ di armi in circolazione. Grande e’ l’incertezza a questo punto sulla situazione delle trattative avviate dalle autorita’ tedesche con i sequestratori, per il pagamento di un riscatto oscillante tra i due ed i 15 milioni di dollari, richiesti nei giorni scorsi. La trattativa, ad un certo punto, specie quando il Sudan aveva annunciato che i rapitori stavano portando gli ostaggi in Libia, era sembrata poter coinvolgere anche la Fondazione Gheddafi, presieduta dal figlio del leader libico, Seif Al Islam, ma le smentite decise venute da Tripoli hanno negato questa ipotesi.



















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                                    Michele De Lucia