ROMA – Il ‘ti boccio!’ del prof allo studente può essere una minaccia grave, prevista dal codice penale e punita di conseguenza. La Suprema Corte lo ha affermato, in sostanza, nella motivazione di una sentenza con la quale ha confermato il verdetto di colpevolezza per un professore che aveva detto ad una sua studentessa che “non aveva più alcuna possibilità di essere promossa” per ‘vendicarsi’ di un intervento fatto all’Assemblea dei genitori dalla mamma della ragazza che proponeva di rimuovere lo stesso docente per i suoi comportamenti scorretti emersi dopo una ispezione ministeriale.
Gli ermellini, confermando il giudizio della corte d’appello di Venezia, del 23 ottobre 2007, scrivono che per i ragazzi, “la ingiusta prospettazione di una bocciatura rappresenta una delle peggiori evenienze” e un simile atteggiamento del docente é “idoneo ad ingenerare forti timori, incidendo sulla libertà morale” degli allievi. Come sempre non è un giudizio di merito, che non compete alla suprema corte, ma di legittimità. Ma tant’é, la politica insorge. Maggioranza ed opposizione bocciano, per una volta unite, la Cassazione. Il ministro ombra Garavaglia dice che così “non si aiuta la scuola ne la famiglia” ed invoca il “recupero dell’autorevolezza dell’insegnate”.
La vicepresidente della bicamerale per l’infanzia, Gabriella Carlucci (Pdl), accusa gli ermellini di “buonismo” foriero del dilagare dei bulli. L’ex ministro della giustizia Roberto Castelli (Lega) si chiede “dove vivono certi magistrati e se hanno dei figli”. Più informati sul contenuto della sentenza, la Rete degli studenti e l’associazione nazionale dei presidi, sottolineano l’importanza che gli insegnanti non superino i limiti che separano l’incoraggiamento dalla pressione psicologica, lo stimolo dalla minaccia. Ed il caso del 50enne professore del liceo vicentino sembra, dalle carte giudiziarie, davvero un caso limite: condannato, oltre che per quella minacciata bocciatura, per abuso d’ufficio (dava lezioni private a pagamento agli studenti della sua classe), violenza privata ai danni di suoi studenti (costretti a testimoniare il falso sul programma svolto e sul grado di preparazione loro e di loro compagni), tentata violenza privata ai danni della preside.
In primo grado all’uomo era stata inflitta – con giudizio abbreviato, dal Gip di Vicenza – una pena di 17 mesi e dieci giorni, poi ridotta di qualche mese in appello per effetto della prescrizione di alcune contestazioni tra le quali una per furto e di altri episodi di abuso di ufficio sempre legati alle lezioni private. La corte d’appello aveva confermato, poi lo ha fatto anche la Cassazione. Il professore, intanto, continua ad insegnare, non più allo scientifico ma ad un magistrale, sempre a Vicenza.
Tratto dall’ Ansa inserito da
Michele De Lucia