A me Lilli Gruber quando faceva la cattiva, la pessima, piaceva. Mi piaceva la Gruber che mi mandava in bestia. Uso il passato perché oggi non so dire com’è. Non è colpa sua. È che io non guardo più la televisione da due anni. Non so che cosa facciano a Porta a porta, da Santoro, da quell’altro che non mi ricordo come si chiama, ignoro le beghe dei giornali, ignoro tutto. Il televisore per me è al massimo una bocca in cui infilare un dvd per vedere un film. Colpa mia: una forma di depressione seguita al massacro che ho subito sulla Mitrokhin mi ha impedito e mi impedisce di prendere in mano i giornali: guardo le agenzie, leggo le rassegne stampa, sono informatissimo, ma non posso prendere in mano un giornale, compreso il Giornale su cui scrivo sicché lo leggo via Internet, ma è il massimo.
Naturalmente guardo le televisioni francese, inglese e americana. Sono pazzo della televisione francese. E anche delle altre. Ma quando per caso sento il rumore di una rete italiana, vomito. È un mio limite, prendo una pillola per questo, dovete perdonarmi. E mi deve perdonare anche Lilli Gruber che non ho mai visto e che mai vedrò sedere al posto del cardinal Ferrara. Però adoro il Sud Tirolo, e Lilli viene da lì. Inoltre ci conoscevamo un po’ e fra noi non c’è mai stata mi pare alcuna antipatia. Poi mi piace perché è dura, grintosa, determinata, di profilo, rossa (mia debolezza genetica) e infine bella. Però il suo giornalismo mi stava anche abbastanza, anzi molto, sulle scatole. Ma l’ammiravo. Di parte: sprezzante e incazzosa.
Ora mi sembra di essere quell’emigrante napoletano che dal Sud America scrisse una straziante canzone sulla Napoli degradata e involgarita dall’occupazione e dalla guerra, e che gridava «No, nun è ’o vero, pienz’ a Napule com’era, pienz’ a Napule comm’è».
Lilli, se mi stai leggendo, io vado per sentito dire e non per visto e come vedi sono onesto su questo punto. Ma mi dicono che anche tu – professionalmente parlando – ti sei un po’ involgarita come la Napoli dell’emigrante. Dicono che sei diventata una carrierista sfrenata, che punti come un mastino alla direzione di La7 (non c’è niente di male, intendiamoci: ma non fai parte ancora della Rai, benché nel limbo della sospensione? Non c’è un conflittino piccino piccino picciò? di interessi intendo? Mah) e che hai spinto il tuo zelo, tu che eri una punta di lancia del «giuliettismo» sindacale, fino – ohibò – al crumiraggio. Est il possible? Wie ist das moeglich? Pienz’a Napule com’era, cantava quel tale, ma io penso a Gruber come è. Cos’è successo? Panico da stabilità di governo?
Io credo di sì. Sono cose che capitano e non c’è nulla di male. Ma, come dire uno, alle brutte, si riposiziona. Sì, lo so, il verbo «riposizionarsi» è uno schifo di verbo, ma qui si riposizionano tutti e dunque non ci sarebbe nulla di male se ti riposizionassi anche tu: però… penso a Lilli come era, penso a Lilli come è. Prendiamo questa storia dell’intervista a Berlusconi nel tuo libro. Un libro – scusami, non l’ho potuto leggere perché «Streghe» esce domani – sulle donne, giusto? E hai avuto la bellissima idea – fichissima sarebbe la parola giusta – di rivolgerti a Berlusconi come esperto. Lui le donne, lo sai: una strage. Le conosce, le promuove, le boccia, le sposa, uno stracciafemmine. Soave e munificente, ma uno stracciafemmine. Di quei maschilisti che parlando di sé dicendo: «Maschilista io? Ma se per loro faccio qualsiasi cosa». Dunque tu ti sei rivolta a Berlusconi per un expertise sulle donne che poi hai trasformato in un’intervista che non è un’intervista. Che cos’è? È uno scambio di e-mail. Fra chi? Dirai tu: fra Berlusconi e me. Ma Lilli! Sai benissimo che Berlusconi col cavolo che ti ha scritto. Al massimo, avrà riletto. Al massimo avrà chiamato Bonaiuti e gli avrà detto: «Paolo, ti va di rispondere a Lilli Gruber? Mi raccomando».
Naturalmente guardo le televisioni francese, inglese e americana. Sono pazzo della televisione francese. E anche delle altre. Ma quando per caso sento il rumore di una rete italiana, vomito. È un mio limite, prendo una pillola per questo, dovete perdonarmi. E mi deve perdonare anche Lilli Gruber che non ho mai visto e che mai vedrò sedere al posto del cardinal Ferrara. Però adoro il Sud Tirolo, e Lilli viene da lì. Inoltre ci conoscevamo un po’ e fra noi non c’è mai stata mi pare alcuna antipatia. Poi mi piace perché è dura, grintosa, determinata, di profilo, rossa (mia debolezza genetica) e infine bella. Però il suo giornalismo mi stava anche abbastanza, anzi molto, sulle scatole. Ma l’ammiravo. Di parte: sprezzante e incazzosa.
Ora mi sembra di essere quell’emigrante napoletano che dal Sud America scrisse una straziante canzone sulla Napoli degradata e involgarita dall’occupazione e dalla guerra, e che gridava «No, nun è ’o vero, pienz’ a Napule com’era, pienz’ a Napule comm’è».
Lilli, se mi stai leggendo, io vado per sentito dire e non per visto e come vedi sono onesto su questo punto. Ma mi dicono che anche tu – professionalmente parlando – ti sei un po’ involgarita come la Napoli dell’emigrante. Dicono che sei diventata una carrierista sfrenata, che punti come un mastino alla direzione di La7 (non c’è niente di male, intendiamoci: ma non fai parte ancora della Rai, benché nel limbo della sospensione? Non c’è un conflittino piccino piccino picciò? di interessi intendo? Mah) e che hai spinto il tuo zelo, tu che eri una punta di lancia del «giuliettismo» sindacale, fino – ohibò – al crumiraggio. Est il possible? Wie ist das moeglich? Pienz’a Napule com’era, cantava quel tale, ma io penso a Gruber come è. Cos’è successo? Panico da stabilità di governo?
Io credo di sì. Sono cose che capitano e non c’è nulla di male. Ma, come dire uno, alle brutte, si riposiziona. Sì, lo so, il verbo «riposizionarsi» è uno schifo di verbo, ma qui si riposizionano tutti e dunque non ci sarebbe nulla di male se ti riposizionassi anche tu: però… penso a Lilli come era, penso a Lilli come è. Prendiamo questa storia dell’intervista a Berlusconi nel tuo libro. Un libro – scusami, non l’ho potuto leggere perché «Streghe» esce domani – sulle donne, giusto? E hai avuto la bellissima idea – fichissima sarebbe la parola giusta – di rivolgerti a Berlusconi come esperto. Lui le donne, lo sai: una strage. Le conosce, le promuove, le boccia, le sposa, uno stracciafemmine. Soave e munificente, ma uno stracciafemmine. Di quei maschilisti che parlando di sé dicendo: «Maschilista io? Ma se per loro faccio qualsiasi cosa». Dunque tu ti sei rivolta a Berlusconi per un expertise sulle donne che poi hai trasformato in un’intervista che non è un’intervista. Che cos’è? È uno scambio di e-mail. Fra chi? Dirai tu: fra Berlusconi e me. Ma Lilli! Sai benissimo che Berlusconi col cavolo che ti ha scritto. Al massimo, avrà riletto. Al massimo avrà chiamato Bonaiuti e gli avrà detto: «Paolo, ti va di rispondere a Lilli Gruber? Mi raccomando».
Insomma, esce questo scambio di e-mail che non è precisamente letteratura. È un compitino politicamente corretto, irreprensibile, una gentilezza del presidente del Consiglio che non ha voluto dirti di no, e ha fatto bene. E anche tu hai fatto non male a rivolgerti a lui, ma mettere nel libro questo carteggio dall’aria dubbia, impersonale, irreprensibile, senza uno slancio, un urlo, un impeto, una sorpresa, ti ha fatto fare una brutta figura. Perché? Ma è chiaro perché. Perché sembra – dico solo sembra – che ti arruffiani Berlusconi. È come se dicessi: va bene, abbiamo capito, Berlusconi ormai non lo schioda più nessuno, resterà al governo tutta la vita, Veltroni non diventerà primo ministro nemmeno dipinto, il berlusconismo proseguirà magari anche al Quirinale e di lì anche presso gli extraterrestri, dunque adeguiamoci, diamoci una regolata, cambiamo look, siamo realisti e alla fine – come diceva Flaiano – è meglio correre al soccorso del vincitore che del perdente.
Non fa una piega. Non c’è niente da dire. Legittimo. Giusto. Umano. Realistico. Opportuno. Ma la mia Lilli Gruber, chi me la ripaga? Chi mi restituisce – anche se non vedo la televisione – la rossa tosta e antigovernativa di tre quarti? Dov’è finita l’intransigenza, la testardaggine, la passione durante la lunga ritirata dopo la sconfitta? In un capitolo di dubbia provenienza a colpi di e-mail in cui chissà quanta gente ci ha messo le mani. Adesso dimmi tu, Lilli della mia memoria, se non faccio bene a non accendere mai la televisione. Potrei trovarmi di fronte a un novo personaggio e chiedere: «Ma chi è quella?»: Ma come, non la riconosci? Èla Gruber: «Ma dài. Me la ricordo bene, io, la Gruber. Questa al massimo è un clone, la sua pecora Dolly».
Non fa una piega. Non c’è niente da dire. Legittimo. Giusto. Umano. Realistico. Opportuno. Ma la mia Lilli Gruber, chi me la ripaga? Chi mi restituisce – anche se non vedo la televisione – la rossa tosta e antigovernativa di tre quarti? Dov’è finita l’intransigenza, la testardaggine, la passione durante la lunga ritirata dopo la sconfitta? In un capitolo di dubbia provenienza a colpi di e-mail in cui chissà quanta gente ci ha messo le mani. Adesso dimmi tu, Lilli della mia memoria, se non faccio bene a non accendere mai la televisione. Potrei trovarmi di fronte a un novo personaggio e chiedere: «Ma chi è quella?»: Ma come, non la riconosci? Èla Gruber: «Ma dài. Me la ricordo bene, io, la Gruber. Questa al massimo è un clone, la sua pecora Dolly».
fonte:ilgiornale.it
Michele De Lucia