Come si mangiava nella Napoli del re

6 novembre 2008 | 00:00
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Come si mangiava nella Napoli del re

UNVIAGGIO nelle tradizioni gastronomiche di una regione attraverso quattro secoli di pittura. La protagonista è la Campania, che ha nella sua cucina una sintesi mirabile di tradizioni autoctone e di derivazione francese o spagnola. La mostra, che resterà aperta al Museo Pignatelli di Napoli fino al 16 novembre, viaggerà poi, grazie ad un accordo con il ministero degli Affari Esteri, attraverso il mondo. Prima tappa Londra. Ideata dall’Accademia Italiana della Cucina e dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio artistico di Napoli, l’esposizione, che si intitola “I colori del gusto. Civiltà della tavola nella pittura napoletana”, disegna le abitudini alimentari da Pompei ai giorni nostri, con particolare attenzione al barocco. Attraverso trentasei pannelli con le riproduzioni di opere di Jusepe de Ribera, Giovan Battista Ruoppolo, fino a Luca Giordano o a Giuseppe De Nittis, viene raccontata la valenza artistica del dipinto, esposto anche in versione originale, e ovviamente anche quella gastronomica. Una carrellata degli usi e costumi della gastronomia partenopea attraverso opere che “raccontano” di deschi dove trionfavano le verdure e le erbette spontanee, oggi scomparse o non più utilizzate, come l’acetosa o il raperonzolo. Ma anche crostacei e frutti di mare, polli, carni – soprattutto quelle di maiale e le salsicce, ma anche la selvaggina – agrumi di ogni tipo, dai cedri ai tipici limoni delle zone costiere. Non mancano ovviamente i popolari “maccheroni” di cui era goloso Ferdinando IV, considerato, tra i sovrani borbonici, il più vicino alle tradizioni e agli umori della città. Cucina compresa, se è vero che il sovrano brigò per avere, accanto ai piatti più nobili, una mensa con pietanze più popolari, maccheroni compresi. “All’esposizione si affianca un bel catalogo”, spiega il professor Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina e studioso dell’alimentazione, “e comunque ogni quadro si presta ad una doppia lettura: una di tipo artistico, ma un’altra più prettamente gastronomico. perché vedendo le riproduzioni delle pietanze dell’epoca si riesce anche a capire come erano realizzate. Non dico che si può risalire alle ricette ma ci si può avvicinare parecchio”.

fonte:larepublica                    inserito da Michele de Lucia