NAPOLI – Suda copiosamente. Colpa di un sole fuori stagione e di cinquanta minuti di corsa a buon ritmo. T-shirt Nike grigia, scarpette da runner Mizuno, calzoncini blu, Riccardo Villari arriva a mezzogiorno al circolo del tennis, il Tc Napoli, e subito gli amici lo circondano. “Riccà, resisti, perché te ne dovresti andare?”. Sorride, risponde di getto: “Infatti non me ne sono andato, né dalla presidenza della Commissione di vigilanza né dal partito”. Pacche sulle spalle, sorrisi, solidarietà. Riccardo Villari si rilassa. E racconta.
Partendo dalla fine, cioè da cosa accadrà oggi alle due del pomeriggio quando incontrerà Walter Veltroni. “Dirò una cosa semplice: non mi sono dimesso perché sento di rappresentare la soluzione del problema. Posso essere il punto di coesione tra i due schieramenti, come dire? Un ponte per aprire un dialogo sul tema. Se poi tra un mese, sei mesi, un anno o non so quando si trova un accordo ecco, allora, sono pronto a farmi da parte. Ma solo in quel momento perché prima non avrebbe alcun senso. Antonio Di Pietro? Lasciamo perdere, ognuno ha il suo stile, non ho niente da dirgli. Leoluca Orlando? L’ho visto a Roma, tranquillo, per nulla adirato”.
Seleziona le chiamate che riceve sul cellulare. “Troppe, così me lo scaricano subito”. Risponde a pochi. “Grazie, lo so che nel partito mi vogliono bene”. Poi torna indietro, all’inizio. “Sarà stato dieci giorni fa quando Anna Finocchiaro, mi ha telefonato per dirmi più o meno: “Senti, guarda che questi del Pdl si preparano a fare il presidente visto che la situazione non si sblocca e so che ci sta il tuo nome, hai capito?”. Ed io: “Anna, ho capito”. E lei: “Vabbè stai in campana, occhio”. Tutto qui, occhio. Poi più nulla sino al giorno fatidico quando, un quarto d’ora prima dell’ufficialità sempre Anna mi dice: “Su un’agenzia è uscita la notizia, ti hanno fatto presidente della Commissione di Vigilanza della Rai”. Pochi minuti ed è partito il tormentone delle dimissioni, ho chiamato subito Veltroni e lui è stato irremovibile: “Dimettiti”. Sarei dovuto andare dai presidenti di Camera e Senato e rinunciare, così mi era stato detto di fare”.
Villari continua: “Non ci sono andato, a dimettermi. Prima di tutto perché l’indicazione che mi era stata fornita era tecnicamente sbagliata: Camera e Senato non c’entrano, casomai avrei prima dovuto riunire la Commissione e poi annunciare le mie dimissioni. In secondo luogo, perché i buoni padri democristiani mi hanno insegnato ad avere il massimo rispetto delle istituzioni e a garantirne la funzionalità: io sono a posto con la mia coscienza, in pace con me stesso. Non ho fatto inciuci di alcun tipo. Zero assoluto. Sono abituato a ragionare e non mi aspettavo di trovarmi in una tempesta di fango. Così ho spento il cellulare per 24 ore”.
Villari si accorda per un doppio di tennis nel primo pomeriggio: “Devo scaricare la tensione e lo sport aiuta. Poco prima, quando correvo, ho incontrato l’assessore regionale Claudio Velardi, che tra l’altro ha l’hobby della maratona. Lui mi considera l’uomo giusto per quell’incarico, non è il solo a pensarla così”.
Altra telefonata, si sfiora l’argomento Quirinale. Lui saluta frettolosamente l’interlocutore sul cellulare e precisa: “Quanta confusione sui miei colloqui di queste ore, veri o presunti. Ma è tutto chiaro, devo citare ancora i buoni padri democristiani e le regole di rispetto istituzionale. Volevo semplicemente fare una visita di cortesia. Così ho chiamato Gianfranco Fini e Renato Schifani che mi incontreranno, uno domani, l’altro dopodomani. Quindi ho contattato il Quirinale dove mi hanno fatto gentilmente sapere che avrebbero diffuso una nota con cui spiegavano che non era possibile in questo momento ricevermi. Va bene così: io ho votato Giorgio Napolitano, lo stimo da sempre e mi ispiro ai suoi alti valori. Però ho parlato con tanti altri in questi giorni. E ho trovato in tutti grande voglia di ascoltarmi: dal mio capogruppo Fabrizio Morri a Enrico Letta, da Nicola Latorre a Luigi Zanda, a Marco Follini. Ecco, lui mi ha detto di presidiare la posizione, per ora, che il problema non sono io. Zanda, invece, è stato categorico: pensa che devo dimettermi, punto e basta”.
Gli impegni sportivi incombono. Il programma è scandito: doppio di tennis; poi pranzo da amici con il figlio ventiseienne, Vittorio; quindi partita su Sky (“Sono presidente del Napoli club Parlamento”) e poi via a Roma in serata, “me ne starò nel mio appartamento di Piazza di Spagna, un po’ di tv e a letto presto”. Per presentarsi in forma oggi da Veltroni. “Dal quale mi aspetto grande capacità di ascolto”.
D’accordo, ma se si troverà davanti al bivio: dimissioni dalla carica o addio al Pd? “Mi ritengo utile politicamente per trovare un dialogo perduto, non avrebbe senso dimettermi adesso. E nel Pd mi stimano. Sono stato eletto legittimamente per la Commissione con una procedura magari solo un po’ anomala. Ma in questo momento sono io la soluzione. Ho fiducia, andrà bene perché, come diceva mamma quando ero piccolo, “Male non fare paura non avere”. E io male non ho fatto”.
fonte:larepubblica.it
inserito da Michele de Lucia