Enza Silvestrini. Sulla soglia di piccole porte.






Sulla soglia di piccole porte di Enza Silvestrini
Prefazione di Aldo Masullo
Disegni di Michele Iodice.
La città e la vita, raccontate attraverso gli occhi dell’infanzia. La giovane protagonista di questa storia cresce in una famiglia felice, negli spazi angusti di un vicolo, che si allarga nella grande piazza, teatro primadi giochi, poi dei travagli della pubertà e dell’adolescenza. La bambina allegra e spensierata diventa una giovane donna, nascosta e mortificata in un corpo che non riconosce e, forse, non vuole. Allora cominciano le piccole punizioni che hanno il gusto dolce del sangue. Ferite inferte con una lametta sulle braccia e sulle gambe, quasi a volerlo sentire quel corpo, insieme a un piccolo dolore coperto con bende sempre più larghe e spesse, quasi a nascondersi agli altri. Su tutto, la certezza di essere soli e chiusi in una stanza senza porte né finestre e la sofferenza di essere, in qualunque modo e in qualunque mondo, sempre uguali a se stessi.
Abbiamo letto, con molta attenzione, la prefazione del professor Aldo Masullo, che sottolinea, in apertura:
“Due sono le ragioni per le quali io, che pur eccepisco la mia “incompetenza professionale” in materia letteraria e mi sottraggo alle richieste di prefazione o presentazione di opere di narrativa, ho questa volta deciso un’eccezione.
La prima personalissima ragione è che Enza Silvestrini appartiene all’ultima generazione dei miei allievi di filosofia nell’antica Università di Napoli. La ricordo schiva, ma tra i più bravi, come attestano oggi, nascosti nell’ordito del suo narrare, i segni forti della tensione a cui la passione del pensiero costringe la mente. E’ strano che si parli sempre e solo della devozione dell’allievo, se la devozione dell’allievo non è che il suo restare fedele al senso dell’irripetibile momento di comunità intellettuale, vissuto da lui col maestro, ma non meno dal maestro con lui?
La seconda e decisiva ragione della mia decisione sta nel fatto che il narrare della Silvestrini mi ha colpito per purezza di “modernità”, senza furbesche concessioni a tendenze ufficiali o forzature da neofita arrogante.”
Aldo Masullo dice altro e scrive: “La modernità di scrittura di Enza Silvestrini ha sul lettore l’effetto che sul visitatore di una mostra di pittura ha il celebre “taglio” di Fontana sulla tela. Senza allettamenti di cromatismi e di forme, l’artista costringe il suo pubblico a sentire che la verità delle cose, ossia il loro senso, non è se non l’effetto della violenza dell’uomo su di esse, e non altro che questo l’arte simboleggia”.
E no, caro professor Masullo, non siamo d’accordo su quest’ultima nota, che ci sembra uno slittamento. Innanzitutto Lucio Fontana ha un suo pubblico, ma anche un pubblico più vasto che s’interessa d’arte e di quello educato all’arte; quindi, non siamo d’accordo che Fontana abbia soltanto un suo pubblico. Ricordiamo che Fontana è un caposaldo dell’arte contemporanea, come Alberto Burri, riconosciuto a livello internazionale. Fontana, poi, non costringe “il suo pubblico a sentire che la verità delle cose, ossia il loro senso, non è se non l’effetto della violenza dell’uomo su di esse, e non altro che questo l’arte simboleggia”, perché Fontana non ha mai costretto niente e nessuno. Quindi, Fontana non ha mai costretto il suo pubblico a sentire qualcosa, ma Fontana ha aperto un varco, un orizzonte, un altro piano, mai ha voluto violentare un campo cromatico assoluto, come il bianco, ma tagliando con il bisturi o con una taglierina ha cercato di “sensibilizzare” una tela per far comprendere che, oltre, c’è altro. La violenza non c’è, anzi c’è un gesto, una performance, un’azione artistica. Chi ha visto le famose foto di Ugo Mulas ricorderà che Lucio Fontana, ispiratore del “Manifiesto Blanco”, del 1946, redatto da giovani artisti, che sostanziava novità, ed estensore del “Primo manifesto dello Spazialismo”, del 1947, scritto a Milano, partiva da lontano, percorreva parte del suo studio ed affondava, con unamanovra di partecipata purificazione d’intelletto, per ripristinare un dentro e fuori, per arrivare, insomma, ad un’armonia totalizzante, per connettere spazio interno ed esterno, ed, infine, per riconvertire il senso del mondo e dello spazio e del tempo in un’unica soluzione. E qui, ovviamente, non vediamo violenza; anzi, partecipazione del senso del mondo, che non deve essere visto esclusivamente come violenza dell’uomo sulle cose, bensì come atto fisico e mentale di partecipazione vitale alle sorti del mondo; insomma, vediamo Fontana come protagonista non violento.
Il taglio di Fontana non deve essere visto come ferita, bensì come ri-scoperta dell’altro, ingresso per arrivare ad altro o come accesso comunicativo tra due corrispondenze spaziali immerse in un tempo unico.
Per quanto sostenuto ed analizzato, non ci sembra adeguato ed appropriato, quindi, quanto scritto da Masullo in questo passo, che riproponiamo, per facilità di lettura: “La modernità di scrittura di Enza Silvestrini ha sul lettore l’effetto che sul visitatore di una mostra di pittura ha il celebre “taglio” di Fontana sulla tela. Senza allettamenti di cromatismi e di forme, l’artista costringe il suo pubblico a sentire che la verità delle cose, ossia il loro senso, non è se non l’effetto della violenza dell’uomo su di esse, e non altro che questo l’arte simboleggia”.
Lasciamo al competente di filosofia captare tutto il resto scritto in versione magistrale da Masullo, che in una reattività analitico-semantica procede a stimolare una pungente lettura, e conclude, poi, con tratto poetico: “Rigorosamente immunizzato da ogni narcisistico pianto, il sordo dolore di vivere sta come cane ringhioso sotto il divertimento del suo venire favoleggiato.”
Enza Silvestrini ci racconta di Napoli, della sua vita, del suo essere al mondo, tra patimenti e difficoltà, tra slanci informativi territoriali e compunte ed analitiche osservazioni sulla sua persona.
Napoli è una città con una storia bi-millenaria alle spalle, dove tutto è possibile e tutto confluisce, dal reato più grave al gesto di cuore più incredibile; lo sdoppiamento è inevitabile, gli sdoppiamenti sono legittimi, la moltiplicazione degli sdoppiamenti sono alternativa plausibile. L’anarchismo napoletano sfiora l’anarchia, quale forma altissima di democrazia. Tra detrimento esistenziale ed inseguita speranza, tutto si svolge sotto il cielo di Napoli.
Svantaggi e pregiudizi condannano una vita napoletana, ma ben altro sorregge una vita a Napoli.
Tra pro e contro s’accende un processo conflittuale tra stimoli ed interessi e nocive e pregiudizievoli specificità.
Repentini possono essere gli scarti e gli scatti della vita partenopea, eccessivi gli accrescimenti e i gonfiori di un tempo mediterraneo ed il tutto è centrifugato, affaticato e stressato, spalmato in formato unico.
E su quest’equivoco vive Napoli, da troppo tempo; se se ne libera uomini e donne diverranno emancipati.
In conclusione, libro da leggere
Maurizio Vitiello