Napoli. Qualità fotografica. Ousmane Ndiaye Dago. Femme Terre.





Ousmane Ndiaye Dago. Femme Terre.
A Napoli la fotografia sta incominciando ad avere un suo apprezzabile segmento di mercato.
La Franco Riccardo Arti Visive, Via Chiatamone 63, 80121 Napoli, ha ospitato, nuovamente, e con successo Ousmane Ndiaye Dago con “Femme Terre”.
Nell´aprile 2001 la galleria di Franco Riccardo presentò il lavoro di Dago ”Femme Terre” ed in quella occasione Harald Szeemann chiese, poi, di presentarlo a “La Biennale di Venezia”.
La recente mostra napoletana di Dago è un nuovo ciclo di “Femme Terre”.
Ousmane Ndiaye Dago è nato a Ndiebene Dagar (Senegal) nel 1951.
Si diploma in Arti plastiche all´Istituto Nazionale delle Belle Arti del Senegal; poi, ottiene il diploma in Arti grafiche all´Accademia Reale di Belle Arti di Anversa, in Belgio, nel 1981.
E’ professore di Arti grafiche alle Belle Arti di Dakar e direttore artistico della rivista “LIKA”
Ha esposto a diverse Biennali, tra cui a quella di Venezia e più volte a quella di Dakar.
Ousmane Ndiaye Dago costruisce una scena; talvolta, l’arreda, tante altre volte no.
La scena è fondamentalmente di tono e fondo teatrale ; insomma, il suo teatro lo arreda.
Si rivela tecnico delle luci, scenografo, pittore, costumista, regista-fotografo.
Quasi da direttore d´orchestra mette in scena, ma, fondamentalmente, in azione le sue modelle, sempre bellissime, cariche di sensualità, e le fa esistere nel rassicurante archivio della memoria fotografica.
Le dipinge, le dematerializza, le destruttura, le ingigantisce con un semplice panno colorato.
Ma le rende anche volatili, leggere, proprio nel momento in cui vuole legarle, indissolubilmente, alla materia, la sua teoria artistica, intitolata, al momento, “Femme Terre” è il risultato storico di stratificazioni culturali e di “tagli geologici”: è una donna di freschissima antichità.
Le sue creature ”sembrano ancora uscire”, senza sosta, dalla spaccatura longitudinale della Rift Valley per confortare la nascita dell´“homo sapiens”, e quello di oggi.
Le volute ed impostate immagini, significativamente a colori, di Ousmane Ndiaye Dago ci rivelano il valore della terra trasferito, con ampia dimostrazione, più che con volontà di prova, su icone vive, determinate ad essere calamite naturali e splendide matrici, d’imperiale bellezza, ma non viste solo e soltanto come fattrici del genere umano.
L’Africa ha in sé il colore, struggenti orizzonti cromatici e valori umani di forte dimensione icastica.
Se la “negritudine” è, essenzialmente, un mito poetico, la serie “Femme Terre” di Ousmane Ndiaye Dago diventa un mito fotografico o meglio un spaccato fotografico d’interpretazione antropologica delle peculiarità del genere umano.
Ricordiamo che la “négritude” ha segnato la prima grande rottura con l’Africa coloniale.
Ed è l’Antologia di Senghor che predispone l’atto di nascita di una letteratura della “negritudine”: la parola “négritude”, forgiata probabilmente alla fine degli anni ‘30 nei dibattiti degli intellettuali neri di Parigi, lanciato, allora, dall’antillano Aimé Césaire, è ripreso e reso esplicito da Léopold Sédar Senghor Senghor e Jean-Paul Charles Aymard Sartre, illustrato dai poeti dell’insieme del “mondo nero”.
La “negritudine” è innanzitutto una parola;Léopold Sédar Senghor precisa: “un mot de passe”, vuol dire un segno di riconoscimento, una formula che apre una via libera ai “negri nuovi”, una parola dal quale si rivendica l’appartenenza a una comunità in lutto.
Nelle foto di Ousmane Ndiaye Dago c’è coscienza critica, voglia di estroflettere segni e portata umana, pudore del mondo; infatti, le ragazze, bellissime, risultano sempre coperte da panni e ricoperte di umori, terre, sabbie, tessuti trasparenti e colori ed il volto è, volutamente, nascosto, irraggiungibile.
Modella ed osservatore, donna e fruitore non dialogano, non ci sono equivoci.
C’è la “femme terre” con la sua valenza, che non scopre il volto, che non ha bisogno di scoprire il volto.
La terra è in sé donna, la “femme terre” diOusmane Ndiaye Dago è l’incontro delle virtù femminili e dell’incontro discreto con l’arte fotografica.
Ci sono passioni lanciate, più che confermate; ci sono tautologiche presenze, ma non invereconde spose.
C’è la donna, con le sue forme, perché andare al di là ed oltre?
Perché esibire il nudo totale, integrale?
Non c’è ragione.
Con le modelle di Ousmane Ndiaye Dago si comprende il mondo, si scopre il mondo; quello che è celato è sfida per l’immaginazione, che non ha limiti, come il mondo che corre verso il futuro.
Quest’artista-fotografo è senz’altro da seguire, anche perché intende comunicare messaggi ancestrali proiettati a noi su presenze tautologiche rilevanti, trattate come se fossero icone attraversanti il tempo.
Maurizio Vitiello