Vico Equense (NA). Dormitio Virginis a confronto.




La Dormitio Virginis nella cappella di santa Lucia a Massaquano
e
la Dormitio Virginis di Onufri Qiprioti a Tirana.
La fertile e amena cortina di colline a ridosso della città di Vico Equense, nella Penisola sorrentina, per la ricchezza dei suoi boschi cedui, di corsi d’acqua, e della fertilità del suolo, ha avuto, in passato, un ruolo importante nella vita e nell’economia agricola della città e, in particolare, degli insediamenti rurali, disseminati tra castagneti e faggeti, che vi si arroccarono nell’altoMedio-evo per sfuggire alle invasioni barbariche e alle sanguinose razzie dei pirati saraceni che, per secoli, con le loro sanguinose incursioni sparsero terrore e morte per le nostre contrade.
Tutti questi antichi casali, che fanno da corona alla città di Vico Equense, perfettamente integrati nella natura circostante, sono di rilevante interesse sotto il profilo storico-urbanistico perché, nel loro piccolo, vantano secoli di storia e una ricchezza di monumenti religiosi e non che meritano, per il loro valore culturale, d’essere meglio conosciuti e valorizzati perché custodi della memoria storica e, nello stesso tempo, testimoni della devozione popolare.
In passato le numerose chiese e cappelle di questi insediamenti sparsi erano tappe obbligate di processioni religiose che avevano lo scopo di rinsaldare i vincoli di fede e di solidarietà con la più larga comunità di fedeli. Oggi queste cappelle, pur conservando la loro funzione originale,custodiscono ancora un patrimonio di rilevante importanza artistica e sono divenuti punti d’incontro di un itinerari spirituali e culturali.
Un posto di rilievo tra questi antichi casali arroccati lo merita Massaquano, contrada oggi non più solo rurale.
L’etimologia di questo nome riporta alla memoria l’antica denominazione di Massa Aequana, esteso possedimento fondiario della città di Vico Equense che ha dato il nome ad uno dei suoi casali principali fondato intorno al VI o VII sec.
Tra i monumenti più importanti di questo borgo è da annoverare la cappella di S.Lucia in Masaquana fondata da Bartolomeo Cioffo nel 1385 col consenso di Fra Ludovico allora vescovo di Vico Equense…(da Memorie storiche della chiesa sorrentina di Bartolomeo Capasso. Na 1854).
Bartolomeo de Cioffo, discendente di una nobile famiglia equana, volle realizzare questa cappella in onore della sua famiglia.
La Cappella, preceduta da un atrio coperto, è ad una sola navata in stile gotico, con un vano laterale aggiunto che funge da sacrestia
Riquadri di affreschi di scuola giottesca, che rappresentano scene tratte dai Vangeli, ricoprono tutte le pareti interne.
Nella seconda metà delXIX sec., forse per insipienza o, più verosimilmente, perché il suo stato di conservazione lasciava molto a desiderare, vennero eseguiti dei lavori di riammodernamento che interessarono, in particolare la parete di fronte all’ingresso, con la posa in opera di un nuovo altare in commesso marmoreo, recuperato da qualche altra cappella dismessa, e la sistemazione di una cornice di marmo, che coprì il dipinto sottostante della Madonna, il rifacimento del pavimento e la pitturazione a calce delle pareti che coprì tutti gli affreschi parietali sottostanti che, forse, erano quasi del tutto scomparsi sotto una coltre di nerofumo di candele e ceri votivi. Questo intervento, molto biasimato alla luce delle nuove teorie sul restauro, merita un po’ più d’indulgenza perché non possiamo esprimere, alla luce delle nuove teorie sul tema del Restauro dei Monumenti, un giudizio imparziale ed obbiettivo non conoscendo lo stato di fatto in cui versava la cappella quando don Gennaro Cioffo, erede del fondatore Bartolomeo de Cioffo, eseguì, in buona fede, i suddetti lavori. In fondo dovremmo essere grati a questo cappellano perché avendo coperto le pareti con una scialbatura a calce ha permesso di salvare gran parte degli affreschi e a noi, posteri più fortunati, di poterli oggi ammirare tutta la loro bellezza e armonia, grazie ad una brillante operazione di restauro che li ha riportato al loro antico splendore. Si dimentica spesso che, nei secoli passati, per igiene, specie dopo una delle allora ricorrenti epidemie, si usava ridipingere a calce, che è anche un ottimo disinfettante, le case, le stalle e tutti i luoghi di riunione collettiva.
Prima di esprimere giudizi su interventi eseguiti in passato, che mal si conciliano con i nostri punti di vista, dobbiamo tener presente che la disciplina della Conservazione e del Restauro dei Monumenti, introdotta per la prima volta nell’Impero austro-ungarico, è una nozione relativamente recente che non ha ancora compiuto due secoli.
Molti affreschi, dei quali si era persa la memoria perché coperti da un manto di calce, oggi tornano alla luce per la maggiore cura ed attenzione che si pone nelle operazioni di recupero e restauro dei monumenti.
E’ anche il caso dell’ex cattedrale di Massa Lubrense dove alcuni affreschi furono scoperti casualmente sulla navata laterale destra, proprio durante l’intervento di consolidamento e restauro eseguito dopo il terremoto del 23 novembre 1980.
Tornando alla cappella di santa Lucia a Massaquano bisogna dare atto che questo tesoro è stato riscoperto grazie alla tenacia dei suoi abitanti, perché nella memoria storica collettiva, sopravviveva il ricordo di meravigliosi affreschi al di sotto del manto di calce.
A loro va tutta la nostra ammirazione per aver dimostrato una maturità ed una sensibilità per il proprio patrimonio artistico raramente riscontrabile altrove. Grazie a loro e agli altri Enti preposti alla tutela del Patrimonio, nel 1991 fu dato l’avvio ai lavori di recupero e restauro che, sotto la guida di Cinzia Giacomarosa, furono completati nel 1995.
Sono tornati alla luce, come per incanto, affreschi di scuola giottesca risalenti al XIV secolo e raffiguranti, in vari riquadri, scene legate alla vita e alla passione di Cristo. Il primo di questi, sulla parete sinistra, mostra l’entrata di Gesù a Gerusalemme. A questo seguono gli altri con scene dell’ultima cenae della passione e morte di Cristo.
Sulla parete alle spalle dell’altare è ricomparsa, in tutto il suo splendore e magnificenza, una meravigliosa Dormitio Virginis o Transito della Beata Maria Vergine, rappresentata, seguendo lo schema bizantino dalla Koimesis,letteralmente dell’assopirsi, con riferimento alla sua resurrezione, così come riferita in un passo tratto dal Vangelo apocrifo attribuito a san Giovanni il teologo, ossia l’Evangelista: …..-Poi i dodici apostoli composero sul letto il suo prezioso e santo corpo e lo portarono via.
Ed ecco che mentre la trasportavano, un ebreo di nome Jefonia, robusto di corpo, si lanciò in avanti, afferrando con le mani il feretro che gli apostoli portavano. Ma ecco un angelo del Signore, con forza invisibile, per mezzo di una spada di fuoco gli tagliò dalle braccia le due mani, e le lasciò pendere per aria ai lati del feretro.
Al verificarsi di questo miracolo, gridò tutta la folla dei Giudei che vi aveva assistito: -Realmente è vero Dio colui che è stato generato, o Madre di Dio semprevergine Maria!
Lo stesso Jefonia, avendogli Pietro ordinato di dichiarare le meraviglie di Dio, ritto dietro il feretro, gridò: -Santa Maria, che hai generato Cristo Iddio, abbi pietà di me!
E Pietro, volgendosi verso di lui, gli disse: -In nome di Colui che è stato da Lei generato, si riattacchino le mani che sono state tagliate via da te! E immediatamente, alle parole di Pietro, le mani che pendevano dal feretro della nostra Signora, si allontanarono e si ricongiunsero a Jefonia. Allora anch’egli credette e glorificò Cristo Iddio, generato da lei.
Nella parte centrale è rappresentato il catafalco della Madonna e al di sopra, in una mandorla, simbolo esoterico del Cristianesimo, Gesù Cristo contornato da una schiera di angeli e santi, con un bimbo in braccio, che rappresenta l’anima della Madonna assunta in cielo.
Non ci soffermeremo ad illustrare, non è questa la sede, i vari particolari dell’intero ciclo degli affreschi che avevano lo scopo d’illustrare e far comprendere al popolo, attraverso una serie di riquadri, oggi diremo di strips, episodi agiografici, perché è stato già brillantemente fatto da Francesco Autiero e Ida Maietta in La cappella di Santa Lucia nel Casale di Massaquano e i suoi affreschi edito da Eidos, e poi perché questo capolavoro merita una visita diretta per ammirarne la sublime e commovente bellezza che ha stupito tanti prima di noi e molti artisti giunti da lontano per un incondizionato apprezzamento e per trarne ispirazione, essendo questa una delle poche opere della scuola giottesca, il più grande maestro del Trecento, che sono giunte fino a noi.
Tra gli artisti giunti da lontano è da annoverare, in primo luogo, Onufri Qiprioti, uno dei più importanti rappresentanti della scuola albanese vissuto tra il XVI – XVII secolo, che studiò pittura a Venezia dove apprese, utilizzandoli poi per le sue opere, elementi della pittura e dell’architettura italiana. Visitò Napoli e, quasi certamente, le nostre contrade. Questa ipotesi, storicamente non provata, è avvalorata dalla sua Dormitio Virginis, dipinta a tempera su una tavoletta di cm. 184 x 62; che era venerata nella chiesa di Santa Maria di Saraqinisht, nel distretto di Gijrokastra, ed ora conservata all’Istituto per i Monumenti Culturali di Tirana.
Le analogie tra le due opere, come si può evincere dal loro confronto, sono così notevoli ed evidenti da non poter essere semplicemente attribuite al caso. Anche l’icona di Onufri Qiprioti ha al centro il catafalco con la Vergine con le braccia incrociate e, al di sopra, il Cristo nella mandorla celeste con in braccio un bimbo in fasce, simbolo dell’anima che ha lasciato il corpo.
Anche qui Cristo è attorniato da una schiera di angeli e santi. Intorno al catafalco gli apostoli e i padri della Chiesa. In alto, come nell’affresco della cappella di S. Lucia, vi è una rappresentazione simbolica del Paradiso, indicato da due porte aperte da angeli, per l’Assunzione della Madonna. In basso, intorno al catafalco, è riportato l’episodio di Jefonia con l’angelo che gli mozza le mani sacrileghe e san Pietro che tende una mano per frenare l’insano gesto o per operare il miracolo attribuitogli dai Vangeliapocrifi di Giovanni il teologo e di Giuseppe di Arimatea.
Romolo Ercolino