QUASIMODO AMALFITANO, A 41 ANNI DALLA MORTE

11 giugno 2009 | 10:40
QUASIMODO AMALFITANO, A 41 ANNI DALLA MORTE

C’è un carsismo della memoria, che si inabissa nelle viscere del pensiero, si ramifica nei sonnolenti percorsi sotterranei dei sentimenti a placare furori, sfumare passioni, sedimentare emozioni per riesplodere, poi festosamente impetuoso nello scintillio del sole ad accendere fotogrammi di esistenza. E’ il sorriso luminoso di una donna che, coda di cometa, svirgola nel blu/lavagna del cielo e ridisegna i percorsi a recupero di un amore, che pensavi sepolto per sempre. E’ l’entusiasmo fecondo di un progetto che ritenevi fallito. E’ il fiotto di una emozione. un volto sulle pagine di un libro a filo di stupore…poetico. Ed è un fresco miracolo di polla che spacca ardita il cuore di una roccia… Il sangue del martoriato Iraq mutila giovani vite sullo schermo dell’agorà mediatica. Le granate esplodono gravide di morte nei cieli della Palestina a sazietà di odi di fratelli. E la mitraglia lacera, sinistra, i silenzi della paciosa siesta del sazio uomo europeo. Martellante irrompe la condanna sull’onda della poesia: “Sei ancora quello della pietra e della fionda/uomo del mio tempo”. Nella sala/convegno dell’albergo extralusso si proietta, per l’ennesima volta, la vanità di politologi, sociologi ed economisti a smaltire pranzi di..lavoro sul Mezzogiorno venturo. E scatta, con la sua dirompente carica di denunzia, il “Lamento per il Sud” …”stanco di solitudine, stanco di catene/..stanco delle bestemmie di tutte le razze…” Impietosa la donna, che credevi tua per sempre, ti lascia per un altro amore, incurante della scheggia che ti lacera il cuore. E la poesia suggella, con struggente malinconia, la tua solitudine: “Ognuno sta solo sul cuore della terra /trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera”. La poesia di un Amico e Maestro ha ritmato da sempre le tappe della mia esistenza. E’ lui, Salvatore Quasimodo, ad alimentare il carsismo della memoria, nel gioco sottile di immersione ed emersione ad azionare la moviola dei ricordi….. La macchina arrancava su per i tornanti poco frequentati da Castellammare per Agerola. Nelle piazzole, cataste di legna da ardere e muraglie di pali affusolati. “Sono i maschi delle viti?”- mi chiese con una bella immagine da poeta dell’agricoltura. “..e sostegno per i pergolati a copertura dei limoni a protezione dalle gelate invernali”-aggiunsi. Indagò con garbo sui particolari della festa che avevo organizzato per l’indomani, in suo onore. E lesse qualche giustificata apprensione sul mio volto. “Stai tranquillo. Andrà tutto bene”- mi rassicurò protettivo. “In fondo ad Amalfi porti pur sempre un Nobel”. Sorrise, paterno, e mi strinse la mano. Capii che mi voleva bene. Lo avevo conosciuto nell’autunno del ’57 e lo avevo rivisto, a più riprese, nel corso degli anni nella sua casa di Milano, in Corso Garibaldi, zona Brera in un rapporto di amicizia/devozione filiale da parte mia e protezione/stima affettuosa da parte sua. Ed ora il mio Amico e Maestro di vita e di poesia era lì, nella macchina con me, a pochi chilometri dalla città costiera, alla vigilia della prima tappa di un esaltante percorso di amicizia e di cultura. Allo sbocco della galleria, il pianoro di Agerola anticipava la costa con lo strapiombo di S.Lazzaro in volo su Tovere. Lattiginoso il cielo di gennaio, nel pomeriggio ad inseguire il vespero. La macchina caracollava giù per i tornanti di Furore a fuga di case sparse e campagne coltivate a conquista di mare. Amalfi anticipava la gloria di chiese e conventi, piazze e palazzi, santi e poeti, duchi e cavalieri, navigatori e mercanti, tarì e rosa dei venti e mare a penetrazione di grotte e scogli all’assalto di case e case a sagomare montagne e montagne a perforare il cielo nell’uragano irrefrenabile del mio panegirico di storia, arte e natura di una città/miracolo, scheggia vecchia/nuova di feconda mediterraneità. “Tu ami Amalfi di amore morboso”-chiosò ammirato. “E’ la mia città”- risposi orgoglioso. “Ma non sei nato dalle parti di Paestum? O ricordo male?” “L’uomo grida dovunque la sorte di una patria…”- sigillai di getto. Lui fu felice che avessi preso a prestito un suo verso a testimonianza di una condizione di vita. La macchina si fermò nella breve piazzola antistante l’ascensore dei Cappuccini con la baia di Amalfi all’incanto assorto delle prime luci della sera. Era il 20 gennaio del 1966. E fu il primo emozionante impatto del Poeta con la città. E credo che già allora a Quasimodo balenò l’idea di scrivere il bellissimo “Elogio di Amalfi”, che mi consegnò di lì a qualche mese, affidandomene la pubblicazione. Mi piace ricordarlo così, pieno di entusiasmo per la vita, a quarantuno anni dalla sua morte, avvenuta proprio in quell’albergo, dove colse la materializzazione del “giardino che cerchiamo sempre e inutilmente dopo i luoghi perfetti dell’infanzia. Una memoria che avviene tangibile sopra gli abissi del mare, sospesa sulle foglie degli aranci e dei cedri sontuosi negli orchi pensili dei conventi”. Penso che Amalfi debba istituzionalizzare qualche evento prestigioso per onorarne la memoria. E per questo a breve ritornerò sul tema. Giuseppe Liuccio Email:g.liuccio@alice.it