AMALFI RICORDA DON RAFFAELE MANSI, IL PARROCO DI RAVELLO

30 dicembre 2009 | 13:57
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AMALFI RICORDA DON RAFFAELE MANSI, IL PARROCO DI RAVELLO

Costiera amalfitana . In occasione dell’anno sacerdotale, l’Unità pastorale Lone-Pastena-Pogrola (Amalfi) ha voluto intitolare il sagrato della chiesa di Santa Maria Assunta in Pogerola a don Raffaele Mansi, un sacerdote che, per quasi due anni, ha operato  in diocesi di Concordia. Sabato 28 novembre 2009, dopo una funzione religiosa presieduta da mons. Orazio Soricelli, arcivescovo di Amalfi-Cava ded’ Tirreni  la figura del sacerdote è stata rievocata a più voci.

Nato a Ravello (Salerno) il 24 novembre 1909  è ordinato Sacerdote ad Amalfi il 17 dicembre 1932 all’età di 23 anni e non ancora 25.enne è  chiamato a reggere, quale economo spirituale, l’ex cattedrale di Ravello (SA).

Nel 1938 è insignito del titolo di Canonico Onorario dell’ex cattedrale, nel novembre 1939 è nominato Assistente diocesano della Gioventù di Azione Cattolica, incarichi che lascia il 30 novembre 1940, quando si arruola come Cappellano Militare. E’ dapprima in un ospedale da campo di Verona, poi – ai primi di marzo del 1941 – è assegnato al 537° Ospedale da Campo, operante lungo la frontiera greco-albanese, zona di guerra.  

Don Mansi arriva in un momento delicato: le truppe sono demoralizzate per la sconfitta, per le perdite subite, per i tanti feriti e per quelli con arti congelati, oltre che per la scarsità di viveri e di materiale sanitario.

Il cappellano militare non è solo un padre spirituale, ma uno psicologo, un confidente, una voce amica. C’è tanta miseria, i rifornimenti sono irregolari, ma il nostro esercito ritenta – questa volta con l’intervento di Hitler – l’invasione che inizia il 18 aprile. Dieci giorni dopo la bandiera con la croce uncinata sventola sul Partenone: la Grecia è divisa in tre zone d’occupazione: tedesca, italiana e bulgara.       
Il nostro tenente-capellano sa dare luminose prove delle sue elevate virtù cristiane e militari, portandosi dove c’è il rischio, pur di assolvere al suo compito di dare conforto spirituale ai moribondi, ai feriti o ai soldati con principio di congelamento. Il 20 febbraio 1942 è trasferito al 231° Rgt. Fanteria “Avellino” della Divisione “Brennero”, dislocata nell’Epiro.

L’8 settembre 1943, dopo l’armistizio,  i nostri  600.000 uomini sono colti di sorpresa e fatti quasi tutti prigionieri dai tedeschi. I reparti della “Brennero”  sono portati a Mantova dove, in un’assemblea, è chiesto loro di formare il nuovo esercito repubblichino: il rifiuto e’ quasi totale,  fra la rabbia e gli insulti  degli ufficiali italiani e tedeschi.

L’intero reggimento è caricato sui treni di deportazione. Ecco la testimonianza dell’allora capitano Giovanni Bersani (poi deputato, sottosegretario e parlamentare europeo):

“Il treno arrivò alla stazione di Casarsa verso le 21… Mentre tentammo invano di forzare le porte bloccate, sentimmo venire da sotto il vagone una voce femminile che diceva: Comprendiamo che siete tenuti sotto sorveglianza speciale. Abbiamo mandato a prendere tenaglie per rendere libere le porte del vostro compartimento. Intanto alcune mie amiche intrattengono i soldati di guardia per capire meglio cosa si può fare.

Poco dopo sentimmo la solita, fresca voce che si dava le seguenti informazioni: il treno, alcune centinaia di metri oltre la stazione, avrebbe rallentato quasi a passo d’uomo, avvertendoci con tre fischi. A quel punto il treno si sarebbe trovato, sulla sinistra, al margine di un profondo avvallamento. Sarebbe venuto il momento di aprire il portello e buttarci dentro il fossati…Fummo molto sorpresi quando venimmo poco dopo a conoscere la giovane che aveva gestito – insieme con le sue amiche – tutta la vicenda. Si chiamava Rita Sovran, aveva circa 18 anni e portava – come i suoi amici – il distintivo dell’Azione Cattolica.

Tutto avvenne come previsto. Sfuggiti alla grandinata di colpi dei militari tedeschi, mentre il treno accelerava al massimo…potemmo subito abbracciare i nostri salvatori, ragazzi e ragazze tutti giovanissimi.”

Don Mansi viene portato dal parroco di San Giovanni di Casarsa, mons. Giuseppe Picco, sacerdote popolarissimo, paterno, un organizzatore che vive la vita come impegno e testimonianza. I suoi giovani di A. C. raccolgono lungo la linea ferroviaria i bigliettini gettati dai deportati dei treni, con i loro indirizzi.  Sono subito catalogati, ai familiari è inviata una cartolina, per sfuggire alla censura. Saranno oltre mille le famiglie contattate.

E’ dalla canonica che viene organizzata la carità per gli sfollati, la raccolta di viveri. E’ qui che comincia ad emergere – ancora confuso, e non per spirito di vendetta, ma di Giustizia – l’animo del Partigiano.

 Hitler, già il 10 settembre, e quindi all’insaputa del Duce, aveva diviso l’Italia invasa in “territori occupati” e in due “zone d’operazione” staccate dalla sovranità italiana e annesse direttamente al Terzo Reich. La “Zona d’Operazione delle Prealpi” (Alpenvorland) comprendeva Bolzano, Trento e Belluno; la “Zona d’Operazione del Litorale” (Adriatisches Kustenland = Litorale Adriatico) comprendeva Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana. I due governatori chiamati a reggerle avevano pieni poteri, compreso quello di vita e di morte: rispondevano solo e direttamente a Hitler.

Accanto alla lira furono messi in circolazione i Reichskreditkassenscheine (1 = 10 lire – confezionati in rotoli di banconote che venivano staccate con un taglio di forbici anche per pagare gli operai dell’organizzazione Todt).

Mons. Picco, con la collaborazione dei parrocchiani provvede agli abiti civili dei soldati liberati dai treni e con quella di dipendenti comunali, riesce a dotarli di documenti falsi, ma è tenuto d’occhio, le spie si annidano ovunque. Don Raffaele, subito chiamato a dare il suo valido aiuto sacerdotale, è sollecitato ad insegnare – in quella che fu chiamata l’Università – agli studenti che, per l’interruzione continua delle ferrovie e per il pericolo di bombardamenti, non potevano frequentare le scuole di Udine e Pordenone, pertanto,  avevano deciso di frequentare a San Giovanni di Casarsa una scuola privata provvisoria e precaria, istituita da un maestro elementare (Riccardo Castellani) con cui collaboravano nell’insegnamento: Pier Paolo Pasolini, l’ing. Maniago, il m° Antonio Spagnol ed altri.

Nella primavera del 1944 – con le frequenti azioni partigiane e le successive rappresaglie – quando inizia a farsi più aspra la lotta fratricida  fatta di odio, di livore umano, una vera caccia all’uomo, con metodi crudeli e con tante vittime innocenti. mons. Picco giudica imprudente la presenza di don Mansi a San Giovanni ed ottiene dal Vescovo che venga inviato quale cooperatore da don Giuseppe Cristante,  parroco di Castions di Zoppola, un popoloso paese con oltre 600 sfollati, in gran parte provenienti dalle località vicine, soggette a ripetuti bombardamenti.

Don Cristante, un prete mite, antifascista, di 12 anni maggiore d’età, come la quasi totalità dei parroci friulani, apre la sua canonica a sbandati e partigiani, e – poco dopo l’arrivo di don Mansi – su preghiera del dirigente partigiano avv. Zefferino Tomè, (dopo la guerra sarà dapprima sindaco di Casarsa e poi senatore), ospita nella soffitta della vetusta canonica un ebreo settantenne, figlio di un rabbino, il signor Caimo Israel, persona di rara cultura: parlava una dozzina di lingue.

Il parroco di Castions, dopo l’approvazione del suo vescovo, è anche l’assistente di una formazione partigiana della “Osoppo”, d’ispirazione cattolica, i famosi fazzoletti verdi.

Il 5 aprile 1944 il vescovo D’Alessi chiede a don Mansi di prestare assistenza spirituale  alla III^ brigata “Osoppo”: quando è richiesto si reca a confessare un partigiano ferito, una persona ricercata, o a dare cristiana sepoltura a qualche caduto per la lotta di Liberazione.

In una giornata di sole di fine marzo del 1945, da una casa vicina alla canonica, il signor Caimo viene scorto da dei filofascisti, che subito mandano i loro figli a curiosare in canonica ed a far domande sul vecchietto visto alla finestra. Viene detto loro che si tratta di uno zio del parroco, solo di passaggio, ma subito si cerca un altro parroco della zona che sia disposto ad ospitare l’ebreo. Don Giovanni delle Vedove, parroco di Rauscedo (coraggioso sergente d’artiglieria nella prima guerra mondiale), accetta di nasconderlo fino alla fine del conflitto, quando si riunirà con la moglie e la figlia nascoste a San Vito, e poco dopo anche con il figlio medico, operante con i partigiani di montagna e convertitosi al Cattolicesimo.

Se fosse stata accertata l’identità di Caimo, i due sacerdoti non sarebbero sfuggiti al plotone d’esecuzione. Prima del termine del conflitto don Mansi ritorna a San Giovanni e, dopo la metà di giugno1945, si congeda da mons. Picco e dai suoi salvatori, presentandosi dall’Ordinario Militare a Roma il 21 dello stesso mese.

Ritorna successivamente nella sua diocesi e, dal 16 febbraio 1946, il sacerdote è chiamato a reggere la parrocchia di S. Maria a Mare di Maiori; due anni dopo arriva la nomina a prevosto della medesima Collegiata: è monsignore.

Nel febbraio 1953 viene trasferito a Maiori, quale parroco di S. Maria Assunta e Rettore di S. Maria del Pino, in Pastena. Qui restaura e trasforma completamente la chiesa parrocchiale.

Mons. Mansi avverte che quello è un momento di trasformazione della nostra società, con l’arrivo delle nuove tecnologie, e  la conseguente necessità di adeguare la pastorale; nel piccolo borgo di Gaudio fa sì che sia realizzata una “Scuola sussidiata”, forma  la piccola, ma validissima “Schola cantorum” ed è a Maiori che si addormenta nel Signore, improvvisamente, a soli 62 anni, la sera del 17 settembre 1972, 37 anni fa. Da qui partono le sue spoglie per far ritorno alla natia Ravello.

Gianni Strasiotto

(Ha collaborato Agostino Ferraiolo)

Estratto da COMUNITANDO… Periodico di informazione, cultura, vita sociale e religiosa dell’Unità Pastorale LONE – PASTENA – POGEROLA   Anno X   Natale 2009   N. 8   Speciale Centenario

Mons. RAFFAELE MANSI (1909-1972)