Storia del Monstero di Santa Rosa Conca dei Marini di Michele Pappacoda

8 febbraio 2010 | 16:31
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Storia del Monstero di Santa Rosa Conca dei Marini di Michele Pappacoda
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Storia del Monstero di Santa Rosa Conca dei Marini di Michele Pappacoda
Storia del Monstero di Santa Rosa Conca dei Marini di Michele Pappacoda
Storia del Monstero di Santa Rosa Conca dei Marini di Michele Pappacoda
Storia del Monstero di Santa Rosa Conca dei Marini di Michele Pappacoda

Il Monastero di Santa Rosa da Lima, fondato nel 1681[1], è un ex-monastero domenicano situato a Conca dei Marini, posto su una rupe a dominare la costa, ed è un monumento di rilevante interesse storico-artistico della provincia di Salerno.

La storia del monastero è strettamente legata a quella della famiglia Pandolfo, che si stanziò a Conca dei Marini nel XV secolo. Oltre a cariche pubbliche, i membri della famiglia vantavano un grande potere economico, molti patronati nelle chiese di Conca, e grandi proprietà fra le quali la fonte termale di Capasso nel comune di Contursi, il suolo che incorpora la Grotta dello Smeraldo e il palazzo munito di una torre sito in Via Torre, abbellito con grandi blocchi di pietra tufacea lungo i bordi della terrazza. Nell’archivio della parrocchia di San Pancrazio martire si conserva un libro sulla storia di questa famiglia, scritto da Natale Pandolfo, secondo il quale il capostipite sarebbe stato Pompeo, un giovane capitano proveniente da Milano che, attratto dal culto di Sant’Andrea (il cui corpo è custodito nel duomo della vicina Amalfi), si stabilì a Conca; Matteo Camera, storico di Amalfi, narra invece che un certo Daniele si trasferì da Pontone di Scala a Conca nel XVI secolo. Il padre della fondatrice del monastero, Vittoria, era Francesco che ricavava grandi guadagni dal commercio marittimo. Francesco si sposò con la marchesa Giovanna Gagliano con la quale ebbe molti figli: Natale, erede degli affari dopo la morte del padre avvenuta nel 1659, Gennaro e Andrea che erano dottori in legge, Pietro, Antonio e Vincenzo, ordinati sacerdoti, Filippo e Vittoria.

I Pandolfo si assunsero l’onere di riparare la chiesa abbandonata di Santa Maria di Grado, ceduta dal vescovo Ferdinando D’Anna al Comune di Conca nel 1539; decisero anche, con l’impulso di Vittoria, divenuta suor Maria Rosa di Gesù, di costruirvi accanto un monastero: il 17 giugno del 1680 fu benedetta la prima pietra.

Molti furono i benefici che il paese ricevette grazie alle monache domenicane di clausura. Grazie alle loro cospicue doti monacali, esse permisero la creazione di un impianto idrico che sopperiva ai bisogni del paese.

Il vescovo di Pozzuoli, Girolamo Dandolfi, natio di Conca dei Marini, donò al convento la reliquia del cranio di San Barnaba apostolo.

Varie notizie sul conservatorio ci sono giunte grazie al Compendio Istorico che scrisse il sacerdote Don Gaetano Amodio, rettore della chiesa di San Pancrazio martire dal 1760 al 1772.

In questo luogo di serenità claustrale nacque la famosa sfogliatella “Santarosa”. Le monache non capirono subito la straordinaria invenzione dolciaria che avevano fatto e che sarebbe diventata tipica della tradizione napoletana. Immediatamente la sua bontà fu apprezzata e le suore, visto il successo, le diedero il nome della loro protettrice.

A causa della legge del 1866, la casa religiosa fu soppressa e le monache che vi abitavano vi rimasero fino alla morte. L’ultima suora morì nel 1912 e lasciò tutti i beni al comune. Seguirono dodici anni di incuria finché nel 1924 un albergatore romano, Massimiliano Marcucci, che insieme con il fratello ed un altro socio, gestiva alberghi di lusso come il San Domenico Palace Hotel a Taormina e l’hotel de la Ville a Roma acquistò la struttura[1]. Il luogo fu ristrutturato come hotel, ma preservandone l’aspetto originale; tra gli ospiti noti che vi hanno dimorato, l’attore Eduardo De Filippo ne rimase entusiasta, lasciando nel libro degli ospiti la seguente frase[1]:

.

Dopo la morte dell’ultimo proprietario, Pierluigi Caterina, la proprietà è stata acquistata da Bianca Sharma, una ereditiera statunitense[2], la quale ha intenzione di trasformare il conservatorio in un albergo di lusso, attraverso un progetto realizzato dallo studio Reardon Smith Architects di Londra[3], a cui si sono opposte diverse associazioni a difesa del patrimonio ambientale e culturale, tra cui

Il Convento di Santa Rosa e la sua chiesa dominano dall’alto di una rupe all’ingresso di Conca dei Marini, l’incantevole Golfo di Salerno.

La piccola chiesa, attigua all’antichissima chiesa di Santa Maria de Grado distrutta da un violento cataclisma nel X secolo e ricostruita nell’XI, fu donata nell’anno 1539 dall’arcivescovo di Amalfi Giovanni Ferdinando Annio al Comune di Conca dei Marini, e da questi a suor Maria Pandolfo che nel 1681 vi fondò il Convento di Santa Rosa, con monache di clausura appartenenti al secondo ordine delle dominicane.

Le celle del convento sono costruite con volte a botte al di sopra di altre volte interne, allo scopo di fornire una preziosa camera d’aria agli ambienti.

All’aspetto esterno severamente monastico del convento, si contrappone quello ricco, tipicamente barocco dell’interno, dove ogni particolare è un riferimento storico e dove è possibile percepire il messaggio universale dell’arte.

Di inestimabile valore artistico sono i quattro splendidi altari lignei e le grate bombate in ferro e legno del coro e ai lati dell’altare centrale.

Fu nelle cucine di questo convento che nacque la famosa “Sfogliatella Santa Rosa”.

Si racconta che le monache erano solite distribuire pane ai poveri nelle giornate di festa. Proprio con l’avanzo di un impasto per il pane, venne preparata la prima sfogliatella Santa Rosa, confezionata a forma di conchiglia, che racchiudeva un farcito di crema e pezzetti di frutta che le monache raccoglievano nel loro giardino.

Questa è la ricetta originale della sfogliatella Santa Rosa nel testo ritrovato da Salvatore di Giacomo;

“Prendi il fiore e mettilo sopra il tagliero nella quantità di rotolo mezzo. Mettici un pocorillo d’insogna e faticalo come un facchino. Doppo stendi la tela che n’è riuscita e fanne come se fosse una bella pettola. In mezzo mettici un quarto d’insogna ancora, e spiega a scialle, quattro volte d’estate, sei d’inverno. Tagliane tanti pezzi, passaci il leganturo e dentro mettici crema e cioccolato e se più ti piace ricotta di Castellammare. Se ci metti un odore di vainiglia o pure acqua di fiore e qualche pocorillo di cedro, fa cosa santa. Fatta la sfogliata, lasciala mezza nchiusa da una parte, là dove scorre la crema facci sette occhi con sette amarene o pezzulli di percolata. Manda tutto al forno, fa cuocere lento, mangia caldo e alleccate le dita.

Michele Pappacoda                                                   Mjcheva@live.it