UN LIBRO ATTACCA SAVIANO E SI APRE UN CASO A SINISTRA.
Stamani, sfogliando il Corriere della Sera, la mia attenzione è stata richiamata dall’articolo di Mario Porqueddu, che inserisco integralmente, per suggerire una riflessione in relazione all’attività letteraria, di Roberto Saviano, il noto e discusso autore di Gomorra.
Vi anticipo sin d’ora, che condivido anche se in modo parziale, l’analisi del noto sociologo Prof. Alessandro Dal Lago, in ogni caso, mi piacerebbe leggere vostri commenti. Buona lettura.
«Eroe di carta». Se a sinistra esisteva un tabù legato alla figura di Roberto Saviano, che impediva il levarsi di voci critiche contro di lui — perché l’antimafia è storicamente valore di sinistra o anche solo per opportunità e prudenza, considerato il suo enorme successo e la condizione di scrittore minacciato di morte dal clan dei Casalesi — se anzi, fino a ieri, la sinistra prendeva in automatico le sue difese quando da destra Saviano veniva attaccato, adesso quel tabù è infranto. Eccome.
Ci ha pensato Alessandro Dal Lago, sociologo dell’università di Genova, con un saggio pubblicato da manifestolibri: Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee. Sul fatto che autore ed editore appartengano al campo della sinistra non ci sono dubbi. E quella di Dal Lago è la più dura bocciatura di Gomorra letta finora. Argomentata, dotta, ricca di citazioni: un’esegesi dell’opera di Saviano, e anche del personaggio. «Una lettura assai critica», la chiama Dal Lago. Per usare un eufemismo. Non si salva quasi nulla: condannato lo stile, l’impianto narrativo, l’uso di una prima persona che è di volta in volta io-narrante, io-autore e io-reale, e la confusione che questo genera nel lettore, utile a un processo di identificazione totale fra chi scrive e il pubblico, e quindi alla nascita dell’«eroe-scrittore».
Altrettanto severo l’esame su quanto è accaduto dopo l’uscita di Gomorra e la sfida lanciata da Saviano ai boss nel settembre 2006 a Casal di Principe: perché da allora Saviano è diventato un simbolo, il cavaliere che si batte contro il Male, icona perfetta in un Paese dove — dice Dal Lago— grazie a un altro Cavaliere, molto di ciò che succede, e anche l’agenda politica, «è tradotto in chiave di contrapposizione simbolica». Insomma, Saviano (quasi) come Berlusconi? Nella società della comunicazione «il popolo esiste solo in quanto assiste, quando applaude lo spettacolo messo in scena». A quel punto, che si tratti di Porta a Porta o Anno Zero, di Berlusconi o Saviano, fa poca differenza. «Il popolo oggi è berlusconiano per definizione— scrive Dal Lago —. Perché apprezza le proposte politiche del Cavaliere e perché si riconosce nella cultura che egli ha creato». Ma di quella cultura anche Saviano è in qualche modo prodotto e artefice. Riassumendo: scrittore sopravvalutato, eroe di carta, portato alla semplificazione invece che a cimentarsi con la complessità, moralista, vanesio e nazional-mediale (evoluzione di nazional-popolare).
Di fronte a un pamphlet tanto urticante come reagisce la sinistra? «In Italia — dice Luciano Violante — ci sono più destre e più sinistre. Ne esiste una che fa dell’antisistema la propria carta d’identità. Una sinistra iconoclasta, che quando vede un’effigie, un simbolo, gli si scaglia contro. Ricordo gli attacchi a Caselli quando indagava sulle Br… Per me Saviano fa un lavoro di straordinaria importanza e la beatificazione laica della quale è oggetto credo dia fastidio anche a lui». Il filosofo Biagio de Giovanni, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno che ha sollevato il caso-Dal Lago con un articolo del direttore Marco Demarco, va controcorrente: «Quello di Dal Lago è un atto liberatorio. Non sono in grado di condividerne la critica letteraria, però mi ha trasmesso un che di liberatorio rispetto al ruolo che Saviano si è dato di angelo vendicatore».
Ben vengano, dunque, le critiche a Saviano? Ritanna Armeni, giornalista, dice sì: «Ho firmato l’appello perché Casa Pound possa manifestare, figuriamoci se Dal Lago non deve dire ciò che pensa. Criticare è legittimo, e non credo che i pericoli che corre Saviano siano legati a chi critica i suoi lavori. Non facciamo di lui, che è scrittore emozionante e rappresenta lo spirito del tempo, un animale imbalsamato. Per il suo bene. E poi, se nessuno criticasse Saviano a sinistra, direbbero che la sinistra è stalinista…». Marco Travaglio difende il diritto di critica con un distinguo: «Tutti possiamo e dobbiamo essere criticati. Ma non sono d’accordo quando si accusa uno come Saviano di fare il martire. Provino gli altri a vivere sotto scorta a 29 anni. Cosa vuol dire che fa il martire? Certe espressioni denotano insofferenza per i successi altrui».
Nando Dalla Chiesa un po’ se l’aspettava: «È accaduto altre volte. Ed è normale. Quando si diventa molto popolari, quando imeccanismi mediatici premiano qualcuno magari in modo sproporzionato rispetto ai meriti di altri, c’è chi dissacra. È la società dello spettacolo. Mi spiace, perché credo che certi attacchi a Saviano servano a colpire il movimento antimafia. Magari non quelli di Dal lago, che però arrivano a poca distanza da altri di Fede o Libero ». E ancora: «Forse ora Saviano è un po’ prigioniero di quel che gli è successo, forse non immaginava le conseguenze profonde dell’andare a casa dei boss a insultarli. Uno come Falcone lo sapeva. Disse: io combatto i mafiosi, ma rispetto le persone». Certo, Falcone era lo Stato. Ruoli diversi. Ma anche Enrico Deaglio cita il magistrato ucciso: «Non scordiamo che fu accusato di essere prima donna». Poi provoca: «Chi critica Saviano provi a scrivere un libro sulla camorra, a fare di meglio. E se Saviano lasciasse Mondadori, manifestolibri lo pubblicherebbe o no?».