Alle Axidie di Seiano il giornalista “inglese” parla del suo libro
VICO EQUENSE – Senza perdere il suo buono umor stile inglese sulla coperta terrazza del “Axidie” e con il suo discorrere senza intoppi narra come è nato il suo libro “C’era una volta in Italia”, che parla di un’Italia del 1861 nella quale se ne vedono di tutti i colori. Nella prima capitale del Regno d’Italia, Torino, la gente corre nelle strade per salutare la nascita del nuovo regno, mentre nel Sud inizia la lotta tra le truppe regie ed i cosiddetti “briganti” ed in Calabria per assicurare l’igiene pubblica si mettono al bando i maiali. In tutto questo il nostro inviato “inglese” è tra loro per riportare gli umori, le gesta e le impressioni di quei giorni di quel avvenimento. Certo non è stato facile calarsi nei panni di un inviato del tempo, ma lui con la sua esperienza maturata in trent’anni di giornalismo e di inviato speciale anche all’estero, mettendosi appassionatamente alla ricerca di tutto quello che gli poteva servire ha scritto questo volume che hanno letto in ben ottantamila persone. E partendo proprio da questa cifra che il nostro inviato “speciale” targato 1860, inizia il suo parlare del libro nella serata speciale di “Libri sotto le Stelle” a “Le Axidie Resort” alla Marina di Seiano, e con un leggero venticello ed una temperatura fresca, la miglior “risposta credo che sia in quegli ottantamila che hanno letto il libro”. In quel giorno una folla inusuale è accorsa nelle strade di Torino per assistere ed applaudire al battesimo del nuovo regno che per nascere, con il discorso di Vittorio Emanuele II scritto da Cavour, che sancisce la benedizione ufficiale di una nazione dalle mille contraddizioni. “E’ un libro della memoria che ho scritto un anno fa –continua- , che narra non solo le vicende storiche del tempo, ma anche quelle comiche”. Vicende che parlano di una nazione che prima era suddivisa ed oggi (nel 1861) è stata unificata grazie al sacrificio di tutti, anche se come ci conferma che “nonostante gli uomini delle truppe garibaldine erano liberalisti, per loro le donne non dovevano prendere parte alla azioni”. Questo in relazione al rapporto che allora c’era tra gli uomini e le donne, anzi quel tipo di mentalità che vigeva in quell’epoca, quando si pensava che la donna dovesse stare vicino al focolare domestico, alla culla ed accudire i figli. E da questo spunto si è poi scesi a parlare della chiesa e del tipo di mentalità che c’era nello Stato Pontificio, dove il Papa Pio IX mette a morte i “liberali” ed ordina alla “Polizia Morale” le incursioni nelle alcove sospette dell’immoralità. E su questo punto il saggio ed esperto giornalista narra l’episodio accaduto a due giovani sposi che per travalicare tutta la burocrazia del tempo, un po’ come c’è oggi, vanno avanti per la loro strada anche perché non hanno denaro. Racconta quello che le nobildonne che citano e dicono nei salotti, ma poi scendono anche in campo per dar man forte ai loro uomini nella lotta per l’indipendenza. Trova quegli uomini che con la loro penna hanno dato linfa a questo periodo e lasciano tutto quello a cui sono dediti per stare in primo piano, al fianco di chi vuole l’Italia unita. Insomma “questo è un viaggio –narra l’autore con a fianco il rettore della “Partenope”, Claudio Quintano, la poetessa-avvocato, Silvia De Angelis, e l’ausilio del conduttore Angelo Ciaravolo- tra la gente come noi di 150 anni fa, tra i molti strati sociali”. Che possiamo dire e scrivere che avevano molta diversità tra loro, una diversità che anche oggi in certi momenti si avverte. E spesso tra il Sud ed il Nord, che all’epoca “era meno sviluppato, come lo era il Veneto nei confronti della Puglia, e non esisteva nessuna Padania, ma solo diverse regioni”. Nel salotto in riva al mare ed a pochi passi dalla sabbia con gli ombrelloni, non si ferma neanche un istante nel suo parlare, anzi va avanti con passione anche se la serata volge al desio, ma come spesso si dice: “Big ben ha detto stop”. Ed alla fine la fa da padrona sia il gustare del provolone del monaco che della torta, accompagnata da un buon bicchiere di orzata.
Antonio Caprarica e la moglie al taglio della torta
GIUSEPPE SPASIANO