Il trombettista di New Orleans acclamato dal pubblico del Ravello Festival, regala mezz’ora in quartetto, dopo aver incantato l’uditorio alla testa della sezione trombe della Jazz at Lincoln Center Orchestra
Di Olga Chieffi
Belvedere di Villa Rufolo tutto esaurito e plurilinguista, per l’evento jazz della 59° edizione del Ravello Festival, consegnato alla tromba stellare di Wynton Marsalis ed alla Jazz at Lincoln Orchestra, formazione specchio della celebrata “corazzata” ellingtoniana, con quattro trombe, guidate proprio da Marsalis, tre tromboni, e la front line con i cinque sassofoni, tutti polistrumentisti, quindi all’occorrenza, clarinettisti e flautisti, pianoforte conduttore, basso e batteria. Il concerto è principiato con l’offertorio della messa scritta ed eseguita da Wynton Marsalis e dalla Jazz at Lincoln Center Orchestra, in occasione del duecentesimo anniversario dell’ Abyssinian Baptist Church Harlem, che ha immediamente posto in luce la spietatezza tecnica e la crudele perfezione apollinea della tromba leader, con il suo suono dall’estremo dinamismo, ma che sa essere seducente e fragile, quanto cerebrale. Il significato che la presenza di Edward “Duke” Ellington ha assunto nel corso della storia del jazz e, nello spazio della musica in generale, va esteso verso approdi e motivazioni che in parte vanno oltre i confini del linguaggio jazzistico in senso stretto, per assumere un ruolo universale di proporzioni molto vaste, che accoglie tensioni culturali, che coinvolgono il rapporto stesso fra le diverse razze negli Stati Uniti, oltre che la forte incidenza della creatività nera nell’avventura dell’invenzione e dell’immaginario. Di questo Marsalis è stato sempre convinto e la scaletta del concerto ha accolto diverse pagine fondamentali del Duca, a cominciare da “Mood Indigo”, eseguito in sestetto, con il quale nasce un suono unico, grazie al felice impasto tra clarinetto, tromba e trombone, passando per “The Mooche”, a dimostrazione e verifica dell’ambizione di creare attorno al dramma del popolo sradicato dall’Africa Nera, una sorta di saga sonora di vaste proporzioni, in cui convergono i più svariati percorsi del doloroso tracciato di una comunità umana, passando per il pezzo virtuosistico “Braggin’ in brass” che ha posto in assoluta evidenza gli ottoni, prima di affidare il sigillo di questo indispensable portrait di Ellington all’avvolgente suono del clarinetto basso di John Temperley il quale ha “pittato”, per dirla nel gergo degli strumentisti a fiato, il quinto tempo della “Queen’s” suite, “The single petal of a rose”. Naturalmente non ci si è fermati ad Ellington, ma è andati avanti con arrangiamenti ricchi di spunti, quali “Matrix” di Corea che ha rivelato il trombonista Elliot Mason e ancora “Riot” di Hancock, senza far mancare un augurio in musica al suo amico e benefattore Rose, presente sulla tribunetta di Ravello. Applausi scroscianti del pubblico ed ecco un “after hours” per il pubblico, con cui Wynton Marsalis in quartetto, sostenuto dalla ritmica, con Ali Jackson alla batteria , Dan Nimmer al pianoforte e Carlos Henriquez al basso, ha improvvisato, per l’assoluto piacere di farlo, dialogando con quel linguaggio dell’azzardo e della sfida, che è l’essenza del jazz In questo contesto, che è quello più amato dai jazzofili, ha lasciato ancora una volta intendere che Wynton con la tromba fa quello che vuole. La tecnica ha lasciato letteralmente attoniti, per il completo controllo della più ampia varietà di dinamiche sonore, dei passaggi più complicati, di una voce che sa dispiegarsi pulita e risonante o accartocciarsi nei growls, nei mezzi toni o nei soffi, come nei sempre calibratissimi suoni fuori registro. Finale in blues con un Wynton Marsalis trasformatosi in cantante, il quale ha allargato la formazione, “chiamando” il sax di Walter Blanding, anche simpatico portavoce dell’orchestra, e la superba tromba di Marcus Printup, per salutare in bellezza la ribalta di Villa Rufolo.
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