In fuga da Hitler trovarono rifugio a Positano in costa d´Amalfi
Un bellissimo articolo di Raffaele La Capria oggi sul Corriere della Sera sul ruolo di “Città Rifugio”, come abbiamo sempre definita la nostra Positano perla della costiera amalfitana, ma anche di altre località della Campania, che riportiamo.
Sorrento, Positano, Amalfi, Ravello, Capri, Ischia, Procida… credo che poche città italiane abbiano così amene propaggini, vicine e diverse l’una dall’altra, ognuna con un suo stile di vita, ognuna con tracce resistenti di un Sud arcaico, ognuna coi suoi colori, i suoi paesaggi, il suo mare. Per me e per tanti napoletani questi sono non solo luoghi di villeggiatura, ma anche «stati d’animo», «modi di essere», per cui aver passato in gioventù l’estate a Positano o a Ischia faceva una differenza, significava aver ricevuto un diverso sentimento della natura, aver frequentato e fatto amicizia con un certo tipo di gente, e così via. Per me e per molti ragazzi della borghesia napoletana questi erano luoghi di affezione e di avventura, di incontri, amori, luoghi d’evasione dalla città e dal suo tran tran invernale, una parentesi liberatoria che si ripeteva ogni anno. Ma, è questo che voglio sottolineare, furono anche realtà culturali di qualche rilievo. Ognuno di questi luoghi poteva vantare la presenza di artisti e scrittori che ne erano stati attratti e ne avevano ricevuto ispirazione. E si può ben dire che, dopo il «Grand Tour» classico, un secondo «Tour» ebbe luogo verso questi lidi, ininterrottamente dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, e fu un «Tour» non meno prestigioso dell’altro. Basta qualche nome: Ibsen e Wagner per Amalfi e Ravello; Gorkij, Benjamin, Greene, Douglas e tanti altri per Capri; Klee, Diagilev, Semenov, Stefan Andres, per Positano. Per Sorrento dovrebbe bastare Nietzsche, che vi soggiornò a lungo varie volte, per Ischia Auden e Truman Capote che arrivarono negli Anni Cinquanta. A Procida Le Corbusier fu affascinato dall’architettura locale e dal continuum abitativo che sembrava aver precorso le sue creazioni, la Morante vi scrisse L’Isola di Arturo, e Cesare Brandi e Toti Scialoja avevano lì la loro casa. Potrei aggiungere ancora tanti nomi illustri, ma uno non voglio tralasciarlo: Stravinsky, che qui trasse ispirazione per alcune sue opere. A Positano, in gioventù ho incontrato gli ultimi esuli tedeschi fuggiti dalla Germania di Hitler, che li considerava rappresentanti di un’arte degenerata. Ricordo Kurt Craemer, che dipingeva i suoi quadri con due colori soltanto, il nero e l’arancione, in lotta come la luce e l’ombra, la luce del sole che lo aveva abbagliato a Positano. Un altro pittore tedesco con cui avevo fatto amicizia era Bruno Marquardt, che dipingeva quadri espressionisti e fondali sottomarini alla maniera di Klee. Stefan Andres, il grande scrittore, viveva in povertà con la sua famiglia in una casetta priva di tutto, perfino dei mobili necessari, e nelle stesse condizioni si trovavano molti di quegli esuli che riuscirono a superare i giorni dell’esilio grazie alla generosa accoglienza e all’aiuto della gente del luogo. Ma quel che volevo dire è che in questi posti di villeggiatura si veniva casualmente a contatto con persone provenienti da storie e culture diverse dalla nostra, per esempio l’Espressionismo e le varie tendenze del Novecento europeo, e chi di noi era in grado di farlo aveva la possibilità di percepire mondi fino a quel momento sconosciuti. S’era insomma stabilita occasionalmente in questa costiera quella che fu definita (da Sergio Lambiase), una «avanguardia marginale», che ebbe la sua importanza, ed era stata portata appunto in questi luoghi periferici da alcuni rappresentanti delle maggiori correnti culturali europee di quegli anni. Così, anche se in forma vaga e come di straforo, nuove immagini e idee si presentavano alla fantasia e nuove prospettive nel campo dell’arte e della cultura ci sfioravano. Tutto questo bastò a suscitare in alcuni di noi più percettivi il desiderio di percorrere strade diverse. E credo che Ferito a morte, il libro che scrissi molti anni dopo, qualcosa debba a quel periodo, a quei luoghi e a quelle suggestioni. La Capria Raffaele