
Da scritti e frasi di personaggi famosi, la vera storia di come l’italia ha colonizzato il popolo napolitano.
“Siamo stati un grande popolo. Siamo stati alle origini della civiltà occidentale in tutti i campi. L’umiliazione di essere cornuti e mazziati come Pulcinella deve finire. Per noi. Per i nostri figli e nipoti. Per i nostri padri e avi.” – Nicola Zitara
“Uscite dai partiti e dai sindacati nazionali.” – Angelo Manna
“Si è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale.” – Luigi Einaudi
“Addebitare ai piemontesi le colpe del nostro disastro è vero solo in parte e contrasta anche con i documenti dell’epoca. La responsabilità della perdita della nostra indipendenza e della nostra rovina è per intero della classe dirigente duosiciliana, che si fece corrompere in ogni senso. Non a caso le bande guerrigliere piú motivate, come quella del generale Crocco e del sergente Romano, si muovevano per colpire, innanzitutto, i collaborazionisti e gli ascari delle guardie nazionali”. – Eduardo Spagnuolo
Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, capitano di Stato maggiore piemontese: “Il 1860 trovò questo popolo vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia; tutti nella loro condizione vivevano contenti del proprio stato…Adesso l’opposto…E poi le tasse più dissanguatrici…Vedrete che, con tre successioni in una famiglia (e possono verificarsi in un solo anno, nella famiglia stessa) dall’agiatezza si balza alla mendicità. Quanto alla pubblica istruzione, sino al 1859, era gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso nessuna cattedra scientifica…Nobili, plebei, ricchi, poveri, clericali, atei, tutti aspirano ad una prossima restaurazione dei Borboni…”.
“Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’ uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati del Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio dei napoletani. A facchin della dogana, a camerieri a birri, vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala.” –Francesco Proto Carafa, Duca di Maddaloni
“Il Regno delle Due Sicilie aveva due volte più monete di tutti gli altri Stati della Penisola messi insieme.” –Francesco Saverio Nitti
“Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli.” – Giacinto de Sivo
“Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirsi dei suoi Stati.” – CAVOUR(all’ambasciatore Ruggero Gabaleone)
“Pare non bastino sessanta battaglioni per tenere il Regno. Ma, si diranno, e il suffraggio universale? Io non so niente di suffraggio, so che al di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve quindi o cambiar principi o cambiar atti e trovar modo di sapere dai napoletani, una buona volta, se ci vogliono si o no. Agli italiani che, rimanendo italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate.” – Massimo D’Azeglio
“Aborre invero e rifugge l’animo per dolore e trepida nel rammentare più paesi del regno napoletano incendiati e rasi al suolo, e quasi innumerevoli integerrimi sacerdoti e religiosi e cittadini di ogni età, sesso e condizione, e gli stessi malati indegnissimamente ingiuriati, e poi eziando senza processo, o gettati nelle carceri o crudelissimamente uccisi.” – PAPA PIO IX, 30 settembre 1861
“Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari. – Pietro Calà Ulloa
“I primi operai morti ammazzati furono napoletani, che il 6 agosto del 1863 scioperarono contro l’abbassamento del lavoro e dello stipendio, e il licenziamento di 60 operai, per lo spostamento delle commesse che venivano smistate all’Ansaldo di Genova, di proprietà di un compare di Cavour. Bersaglieri, carabinieri e guardie civiche sparano su una folla di operai esasperati: due morti e numerosi feriti (forse 12), c’è chi dice che i morti fossero quattro: versioni diverse danno anche numeri più alti.” – Archivio di Stato di Napoli, fondo Questura, fascio 16-
“Si dice, inoltre, che vi sono due metodi per cancellare l’identità di un popolo: il primo, quello di distruggere la sua memoria storica; il secondo, quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre etnie. Noi napolitani abbiamo subíto entrambi i soprusi, ma fortunatamente, per la nostra storia di quasi tremila anni, il nostro inconscio collettivo ci ha salvati in parte dalla distruzione della nostra identità nazionale.” – Antonio Pagano
“Eravamo Napolitani ed eravamo una Nazione. Ci hanno fatto diventare meridionali e ci hanno reso colonia dello stato italiano.”- Antonio Iannaccone
“Assai prima della costruzione del Regno D’Italia, Napoli era stata, per lunghi secoli, la capitale maggiore tra gli stati in cui l’Italia era divisa, ed una delle più grandi città d’Europa. Già nello scorcio del Medio Evo, Napoli oltrepassava i 200 mila abitanti, quando Milano non sorpassava che di poco i 50 mila e Torino ne contava 16 mila soltanto; quando Amburgo ne aveva meno di Torino e Londra meno di Milano.” – Andrea Geremicca
Garibaldi: “Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il Risorgimento, vi troveranno cose da cloaca”.
Massimo d’Azeglio scriveva che «Unirsi ai napoletani è come andare a letto con un lebbroso» intendeva ovviamente tutti gli abitanti della parte continentale dell’allora Regno delle Due Sicilie.
Luigi Settembrini, patriota risorgimentale, combatté contro i Borbone, intorno al 1870 scrisse nelle sue “Rimembranze”: “La colpa fu di Ferdinando II, il quale, se avesse fatto impiccare me ed i miei amici, avrebbe risparmiato al Mezzogiorno ed alla Sicilia tante incommensurabili sventure. Egli fu clemente e noi facemmo peggio.”
“Non parliamo delle dimostrazioni brutali contro i giornali; non parliamo dell’esilio inflitto per via economica; non parliamo delle fucilazioni operate qua e là per isbaglio dalle autorità militari; ma degli arresti arbitrari di tanti miseri accatastati nelle prigioni senza essere mai interrogati.” – IL NOMADE, giornale liberale 12 settembre 1861
21 ottobre 1860: (“Italia e il suo dramma politico nel 1861″, pubblicato a Livorno nel 1861, a pag. 42) riferisce: ” il plebiscito a Napoli si svolse in un clima di terrore… quando a un girar di ciglio un uomo era morto; quando i cartelli sulle cantonate dichiaravano NEMICO chi votasse pel NO ; quando battiture e ferite e morti seguivano nelle sale de’ comizi; quando anche l’astenersi era apporto a colpa di stato, in quel terribile furor di guerra fra cannoni e pugnali e revolvers; quando eran poste due urne palesi per far che la paura sforzasse la coscienza e quelle del NO eran coperte da’ camorristi; quando costoro in frotta, di piazza in piazza, votavan le dodici volte; quando minacce, insinuazioni e promesse sforzavano la volontà; quando gl’impazienti vincitori, frementi dell’aspettare e del veder pochi votanti lanciavano a piene mani il SI dentro l’urne; quando gli scrutinatori moltiplicavanli con la penna, e ne facevano a forza numero di maggioranza… ” (F. M. Di Giovine in – Giacinto de’ Sivo – La Tragicommedia)
Lord Henry Lennox, che nell’inverno 1862-63, quando era ammiratore della Rivoluzione italiana e specialmente di Garibaldi, visitò le vecchie province napoletane, comunicò le sue impressioni alla Camera dei Comuni: “I fatti che sto per narrare, disse, sono avvenuti sotto i miei occhi; impegno il mio onore sulla loro verità, e sul fatto che non ne farò alcuna esagerazione. Vorrei ricordare a questa assemblea che, quando visitai Napoli per la prima volta, dopo la formazione del regno d’Italia, ero un ardente sostenitore di re Vittorio Emanuele.” Dopo aver visitato la prigione Santa Maria scrisse la seguente protesta sul registro dei visitatori dopo aver riconosciuto l’estrema cortesia del direttore: “Ma i sottoscritti non possono fare a meno di esprimere quanto rincresca che alcuni prigionieri siano detenuti da mesi senza processo, e che, a quanto hanno assicurato, non siano stati mai nemmeno interrogati dalle autorità sulle cause della loro carcerazione”.
John Dickie, nel saggio “Una parola in guerra: l’esercito italiano e il brigantaggio, 1860-1870”, insiste soprattutto sulla natura coloniale del rapporto imposto dal governo unitario alle province appena annesse.
Persino Napoleone III, che aveva dato il suo potente appoggio armato a Cavour per la conquista dell’Italia, il 21 luglio 1863 scriveva al suo generale Fleury: “Ho scritto a Torino le mie rimostranze; i dettagli di cui veniamo a conoscenza sono tali da alienare tutti gli onesti alla causa italiana. Non solo la miseria e l’anarchia sono al culmine, ma gli atti più indegni sono considerati normali espedienti: un generale di cui non ricordo il nome, avendo proibito ai contadini di portare scorte di cibo quando si recano al lavoro dei campi, ha decretato che siano fucilati tutti coloro che vengono trovati in possesso di un pezzo di pane. I Borbone non hanno mai fatto cose simili.”
8 maggio 1863 – Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l’Inghilterra ha fatto l’unità d’Italia.
1871 – Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l’effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l’ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.
Numerosi sono gli esempi in letteratura che usano il termine Napolitano con accezione “nazionale”, come «The Neapolitan government and Mr. Gladstone: A letter to the Earl of Aberdeen», o ancora gli scritti del patriota Giacinto de’ Sivo, che ci parla del popolo, dell’esercito e dell’inventiva dei napolitani nelle sue opere come «Storia delle due Sicilie: dal 1847 al 1861» o «I Napolitani al cospetto delle nazioni civili». La nazione napoletana compare anche in libri come «Le pagine della letteratura italiana: antologia dei passi migliori» del 1924, «Lettere napolitane» del 1864, «La questione napoletana-sicula» del 1849, «Le due civiltà: settentrionali e meridionali nella storia d’Italia dal 1860 al 1914» del 2000, «Difesa dei soldati napolitani» del 1860, «Memorie storico-critiche degli storici napolitani» del 1781. Vincenzo Russo
Una «Guantanamo» per la gente del Sud Italia. – Dopo l’unificazione nazionale, i piemontesi studiarono il piano – Gazzetta del Mezzogiorno 11/10/2009. BARI. Per battere il brigantaggio, i piemontesi volevano aprire una «Guantanamo» in cui deportare tutti i meridionali. Le prove sono contenute nei Documenti diplomatici conservati presso l’Archivio storico della Farnesina e scovati dalla «Gazzetta». Per quasi dieci anni, fino almeno al 1873, il Governo italiano le tentò tutte pur di avere un lembo di terra dalle potenze straniere per internare i meridionali ribelli. Subito chiese agli inglesi di impiantare una colonia di deportazione nel Mar Rosso. Trovando però le prime difficoltà, il 16 settembre 1868, il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Luigi Federico Menabrea, si rivolse al ministro a Buenos Aires, della Croce, perché sondasse la disponibilità del Governo argentino a cedere l’uso di un’area «nelle regioni dell’America del Sud e piú particolarmente in quelle bagnate dal Rio Negro che i geografi indicano come limite fra i territori dell’Argentina e le regioni deserte della Patagonia». Secondo Menabrea (che era nato nell’estremo Nord Italia, a Chambéry, oggi in territorio francese), la «Guantanamo dei meridionali» doveva sorgere in terre «interamente disabitate». Il 10 dicembre di quell’anno, Menabrea diede anche istruzioni all’agente e console generale a Tunisi, Luigi Pinna, di «studiare la possibilità di stabilire in Tunisia una colonia penitenziaria italiana». Il tentativo fallí per l’opposizione dei tunisini e allora i Piemontesi tornarono alla carica con gli inglesi. Obiettivo: spuntare l’autorizzazione a costruire un carcere per i meridionali sull’isola di Socotra (che è al largo del Corno d’Africa, tra Somalia e Yemen) oppure, quantomeno, avere il loro appoggio affinché l’Olanda concedesse analoga autorizzazione nel Borneo. Il 3 gennaio 1872 il Governo inglese però fece sapere di non vedere di buon occhio il progetto piemontese di fare «uno stabilimento penitenziario» nel «Borneo o in un altro territorio dei lontani mari». E il 3 maggio, il lombardo Carlo Cadorna, ministro a Londra, scrisse al ministro degli Esteri, Emilio Visconti Venosta (milanese e mazziniano della prima ora), che era stata bocciata «la richiesta italiana di acquistare l’isola di Socotra come colonia penitenziaria». Il 20 dicembre di quell’anno anche l’Olanda espresse i suoi timori: i deportati meridionali avrebbero potuto evadere mettendo a rischio i suoi possedimenti nel Borneo. Intanto, le carceri dell’Italia Unita traboccavano di meridionali e i briganti continuavano a combattere. L’11 settembre 1872, il “Times” pubblicò una lettera giunta da Napoli che metteva in luce la recrudescenza del brigantaggio in Italia. Il “Times” ci aggiunse un articolo di fondo in cui non si risparmiavano sferzate ai Piemontesi per l’incapacità di «eradicare completamente una cosí grave piaga».
“La quarta prigione che visitò era quella di Salerno. “Il direttore fu estremamente cortese e, saputo dello scopo della mia visita, mi diede il benvenuto augurandosi che potesse recare qualche positiva conseguenza. Soggiunse che era costretto, in quel momento, a tenere 1.359 prigionieri in un carcere che poteva ospitarne 650: tale affollamento aveva provocato un’epidemia di tifo che aveva ucciso anche un medico e una guardia. Tra i prigionieri della prima cella si contavano otto o nove sacerdoti e quattordici cattolici laici, tutti sospetti oppositori del governo, e reclusi con quattro o cinque criminali incalliti. Nella cella successiva c’erano altri 157 detenuti, la maggior parte dei quali senza processo. Vivevano lì tutto il giorno, lì dormivano, e tranne una breve passeggiata in un cortile ridottissimo, questi disgraziati passavano loro vita in quel luogo, senza sapere perché vi erano finiti. […] La cella successiva era un lungo stanzone con soffitto a volta, e vi si trovavano 230 prigionieri. Descrivere lo squallore e la sporcizia in cui questi derelitti giacevano richiederebbe un’eloquenza che non possiedo. Tra i prigionieri c’erano uomini di differenti classi sociali:(…) Un uomo di settanta anni era ridotto a un relitto umano. Altri erano in prigione da così tanto tempo, che i loro vestiti cadevano a brandelli… alcuni erano in tale stato di nudità, da non potersi alzare dalle sedie, mentre gli passavamo accanto, per attirare la nostra attenzione come facevano i loro compagni… Taluni non avevano giacche, scarpe, calze, nulla, se non una vecchia giubba e uno straccio che faceva loro da camicia. Era una vista pietosa, il fetore terribile, e a questa assemblea devo ricordare che era il freddo mese di gennaio; che cosa ne è di loro adesso? Non oso pensarlo. Il cibo che si consegna loro non sarebbe stato dato nemmeno al bestiame in Inghilterra. Lanciai sul pavimento un pezzo del loro pane, e lo calpestai: era così duro che non riuscii né a frantumarlo né a schiacciarlo.” Un altro carcere visitato era la Vicaria, una prigione situata nella parte più densamente abitata e più malsana di Napoli, nella quale erano ammassati 1.200 reclusi, mentre ce ne potevano stare solo la metà”. Nell’ultima prigione di Nisida… vi trovai il conte de Christen, il Caracciolo e il De Luca, che per quanto ne so, erano stati giustamente condannati per cospirazione contro il governo… Il conte de Christen, vedendo la mia riluttanza ad avvicinarmi, mi fece cenno di accostarmi e disse: “Signore, apprezzo i vostri sentimenti. Avete pietà di me. Non compatitemi, ma riservate la vostra pietà per coloro che degradano il nome della libertà adottando sistemi come quello di cui io sono vittima”. “Il De Luca era incatenato, con una catena pesantissima, a un brigante condannato per rapina e omicidio. Era, il De Luca, un gentiluomo italiano che aveva avuto il torto di professare idee diverse da quelle del suo governo e il cui delitto era di aver cospirato contro di esso; ebbene era incatenato col più comune delinquente! Ora, contro simili sistemi io devo protestare. Non m’importa se fatti così tenebrosi siano avvenuti sotto il dispotismo di un Borbone o sotto lo pseudo-liberalismo di un Vittorio Emanuele! Quella che si chiama Italia unita deve principalmente la sua esistenza alla protezione e all’aiuto dell’Inghilterra, più che a Garibaldi e alle vittoriose armate francesi. Perciò in nome dell’Inghilterra, io devo denunciare tali barbare atrocità e protesto contro il fatto che ciò venga commesso sotto l’egida della libera Inghilterra, la quale, così facendo prostituisce il proprio nome!” (“La Rivoluzione italiana” – Patrick Keyes O’Clery “).
“Ogni giorno che passa diventa sempre più vivo in me il dubbio, se non sia il caso di solennizzare il cinquantennio [dell’Unità] lanciando nel Mezzogiorno la formula della separazione politica. A che scopo continuare con questa unità in cui siamo destinati a funzionare da colonia d’America per le industrie del Nord, e a fornire collegi elettorali ai Chiaraviglio del Nord; e in cui …. tutti lavorano a deprimerci più e a render più difficile il nostro lavoro? Perché non facciamo due stati distinti? Una buona barriera doganale al Tronto e al Carigliano. Voi si consumate le vostre cotonate sul luogo. Noi vendiamo i nostri prodotti agricoli agli inglesi, e comperiamo i loro prodotti industriali a metà prezzo. In cinquant’anni, abbandonati a noi, diventiamo un altro popolo. E se non siamo capaci di governarci da noi, ci daremo in colonia agli inglesi, i quali è sperabile ci amministrino almeno come amministrano l’Egitto, e certo ci tratteranno meglio che non ci abbiano trattato nei cinquant’anni passati i partiti conservatori, che non si dispongano a trattarci nei prossimi cinquant’anni i cosiddetti democratici”. – Gaetano Salvemini
Migliaia in carcere – Ma quanti erano i detenuti del Sud a marcire nelle galere italiane? Secondo la rivista «Due Sicilie» (diretta da Antonio Pagano), un’indicazione si trova in una lettera del savoiardo Menabrea, al ministro della Marina, il nizzardo Augusto Riboty. Menabrea sostiene che sarebbe stato «utile e urgente» trovare «una località dove stabilire una colonia penitenziaria per le molte migliaia di condannati» che popolavano gli stabilimenti carcerari. E troviamo anche la Marina militare. La Forza armata si prestò ad esplorare una serie di luoghi adatti alla deportazione dei meridionali. Il Borneo e le isole adiacenti, innanzitutto, ma anche secondo «Due Sicilie» «l’est dell’Australia».
“La principale esigenza consiste nel restituire agli uomini del Sud italiano la sovranità sul loro Paese; Sovranità di cui il diritto di lavorare e produrre costituisce la bussola. Se un giorno si arriverà a tale risultato, un’economia orientata da una sapiente e civile visione di interessi collettivi rappresenta l’unica opzione organizzativa capace di conservarla. .. Il Meridione, separandosi dal resto d’Italia, diventerà il laboratorio per sperimentare una società dove gli uomini possano vivere fraternamente, in libertà ed eguaglianza.” – Nicola Zitara –
“Il mondo potrà tornare nei limiti della esistenza umana se la gente riuscirà a porre fine al carnevale capitalistico, che sta distruggendo la Terra e gli uomini. Per noi il cammino è più facile che altrove, più breve. E si chiama indipendenza. Siamo un grande popolo con una grande storia, che lo Stato italiano ha umiliato e umilia. Possediamo tutte le risorse che occorrono alla rinascita.” – Nicola Zitara
La mancanza della storia della Patria praticamente recide le radici dei “meridionali.” Ad essi sono perennemente offerte le radici artificiali dell’italiano. –Vincenzo Gulì
Da un giornale dell’epoca, L’Unione: «Bixio ammazza a rompicollo, all’impazzata… fa moschettare tutti i (soldati e ufficiali) prigionieri stranieri che gli capitano tra le unghie, e tira colpi di pistola a quei suoi ufficiali che osano far motto di disapprovazione».
“È evidente che il sistema Italia ha favorito il nord molto piú del Sud. Regalando un mercato protetto, quello appunto meridionale, dove si possono vendere macchinette scassate a alto prezzo. È vero che lo Stato ha anche assicurato massicci trasferimenti di soldi dal Nord al Sud, ma quando l’oro estratto al Nord viene filtrato attraverso una rete politica di clientele ciò che arriva a destinazione è soltanto acido corrosivo, peggio fango: perché anziché favorire lo sviluppo provoca un ulteriore deperimento. Un meccanismo malefico che ha scoraggiato gli imprenditori meridionali dall’assumere rischi, e li ha trasformati in clientes, collettori di quei fondi settentrionali che in cambio di consenso politico Roma smistava al Sud. Quindi è logico pensare che se il Sud venisse lasciato a sé stesso, e per sopravvivere fosse quindi obbligato a sfruttare le proprie risorse, le cose per i meridionali andrebbero molto meglio. Sono convinto che un Sud indipendente, abbandonato dall’italia padana, riuscirebbe a camminare bene con le sue gambe. Progredirebbe anzi molto piú del nord.” – Edward Luttwak, membro del CSIS (Center for Strategic and International Studies di Washington), politologo esperto di problemi italiani.
“Si servono Cavour e Garibaldi dei picciotti e li esaltano gli storici non sapendo quanto male faranno al sud ed alle generazioni future; si servono gli americani, ottantatrè anni dopo, dei picciottoni per lo sbarco in Sicilia. Poi oggi i soliti imbecilli, gli altoparlanti delle centrali del male, gridano alla mafia ed alla camorra ad ogni piede sospinto, anche quando il nostro popolo viene colpito da gravi calamità, per giustificare esclusivamente la non risoluzione dei problemi.” – Lucio Barone
“Nel 1865 fallirono quasi tutte le fabbriche meridionali, perché senza piú commesse. In quell’anno il carico fiscale venne aumentato dell’87%, ma il danaro cosí drenato fu tutto speso al Nord. Soprattutto quello tratto dall’agricoltura meridionale che finanziò le nascenti imprese industriali del Piemonte e della Lombardia.” – Antonio Pagano
Indro Montanelli e Marco Nozza – Garibaldi – (ed. Rizzoli Milano 1972, p. 424): “Il Plebiscito diede una schiacciante maggioranza di “sì”. Ma a cosa avessero detto sì, gli stessi elettori non sapevano che vagamente. Maxime du Camp, testimone oculare, racconta che la gente si chiedeva: «Cos’è questa Italia unita, che significa?» “
Nocedal deputato nel 1863 nel parlamento spagnolo sentenzia: “L’Italia campo vastissimo di esecrabili delitti; l’Italia paese classico d’imperiture memorie, dove oggi giacciono prostrati al suolo e conculcati tutti i dritti; l’Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato liberalismo si stanno sbarbicando dalla radice tutti i dritti, manomettendo quanto vi ha di santo e di sacro sulla terra… Italia, Italia! Dove sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza!”.
Giustino Fortunato a Benedetto Croce: “Non disdico il mio “unitarismo”. Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del Nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa”.
Denis Mack Smith: “Quando i piemontesi entrarono in territorio napoletano … una delle prime azioni del generale Cialdini fu di far fucilare sul posto ogni contadino che fosse trovato in possesso di armi; era una spietata dichiarazione di guerra contro gente che non aveva nessun altro mezzo di difesa.”
Civiltà Cattolica: “… Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in grande quantità , si stipano ne’ bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testè in quella città ho dovuto assistere ad uno di que’ spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio”.
Vittorio Emanuele IIrivolgendosi al plenipotenziario inglese August Paget dichiarò esplicitamente: “Ci sono due modi per governare gli italiani: con le baionette o con la corruzione”.
Proto di Maddaloni deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861: “I nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l’accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto …”.
Oscar De Poli in un articolo pubblicato sul giornale “De Naples a Palerme” 1863 – 1864 scrive: “il sedicente “democratico” Regno d’Italia iniziò una politica di spoliazione delle risorse nelle zone conquistate, opprimendo le culture locali e soffocando nel sangue le rivolte popolari che nel Meridione assunsero alle dimensioni di guerra civile. … secondo il ministro della guerra di Torino, 10.000 napoletani sono stati fucilati o sono caduti nelle file del brigantaggio; più di 80.000 gemono nelle segrete dei liberatori; 17.000 sono emigrati a Roma, 30.000 nel resto d’Europa la quasi totalità dei soldati hanno rifiutato d’arruolarsi… ecco 250.000 voci che protestano dalla prigione, dall’esilio, dalla tomba… Cosa rispondono gli organi del Piemontesismo a queste cifre? Essi non rispondono affatto”.
“Gli scrittori italianissimi inventarono dunque i briganti, come avevano inventato i tiranni; ed oltraggiarono, con le loro menzogne, un popolo intero sollevato per la sua indipendenza, come avevano oltraggiato principi, re ed anche regine colle loro rozze e odiose calunnie. Inventarono la felicità di un popolo disceso all’ultimo gradino della miseria, come avevano inventato la sua servitù al tempo de’ sui legittimi sovrani.” – HERCULE DE SAUCLIERES, 1863
“Il governo piemontese che si vede presto costretto ad abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli.” – L’ OSSERVATORE ROMANO, 1863
“Sento il debito di protestare contro questo sistema. Ciò che è chiamata unità italiana deve principalmente la sua esistenza alla protezione e all’aiuto morale dell’Inghilterra, deve più a questa che a Garibaldi, che non agli eserciti stessi vittoriosi della Francia, e però, in nome dell’Inghilterra, denuncio tali barbarie atrocità, e protesto contro l’egida della libera Inghilterra così prostituita.” –Lord Lennox, parlamentare inglese, 1863
“Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del Meridione italiano. E’ vero che in un paese gli insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti.” – Benjamin Disraeli
“I Borboni non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno.” – Napoleone III (lettera a Vittorio Emanuele II, 1861 )
“Non vi può essere storia più iniqua di quella dei piemontesi nell’occupazione dell’Italia Meridionale. In quel luogo di pace, di prosperità, di contento generale che si erano promessi e proclamati come conseguenza certa dell’unità d’Italia, non si ha altro di effettivo che la stampa imbavagliata, le prigioni ripiene, le nazionalità schiacciate ed una sognata unione che in realtà è uno scherno, una burla, un impostura.” – McGuire deputato scozzese, 1863
“Tra le osservazioni fatte sui disordini del Reame di Napoli, si accenna alla differenza che fanno oggi i rivoluzionari fra polacchi e napoletani, chiamando questi briganti, mentre sono vittime delle più feroci persecuzioni, e quelli insorti. Ma è pur vero che gli uni e gli altri difendono il loro paese, la loro nazionalità, la loro religione al prezzo dei più duri sacrifici.” – Gemeu generale francese, paragona gli insorti polacchi con i briganti, 1863
“Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava ed infine abbiamo dato l’incendio al paese abitato da circa 4500 abitanti . quale desolazione, non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le rovine delle case.” – Carlo Margolfo, bersagliere entrato a Pontelandolfo, 1861
“Quelli che hanno chiamato i piemontesi e che hanno consegnato loro il Regno delle Due Sicilie sono un’impercettibile minoranza. I sintomi della reazione si vedono ovunque.” – JORNAL DE DEBATS, novembre 1860
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendo colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.” – Giuseppe Garibaldi
“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti.” – Antonio Gramsci
“L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali.” – Giustino Fortunato
“Se dall’unità d’Italia, il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata. E’ caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone.” – Gaetano Salvemini
“Potete chiamarli briganti ma combattono sotto la loro bandiera nazionale. Potete chiamarli briganti ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il mal governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa ad un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente rasa al suolo e non dai briganti. – Giuseppe Ferrari
“Il Regno Napolitano all’atto dell’invasione piemontese, rispetto agli altri stati europei era considerato per ricchezza, per cultura e per condizioni sociali tra i primi Stati d’Europa. Ancora oggi, tuttavia, si continua ad affermare che la Napolitania era economicamente arretrata rispetto all’area lombardo – piemontese. Questo non era possibile per una sola considerazione, gli Stati preunitari del nord erano troppo piccoli perché potessero dare vita ad uno sviluppo industriale consistente, non solo perché non avevano capitali, ma anche perché non avevano un mercato di dimensioni considerevoli come lo era quello napolitano, il quale, inoltre, aveva un’ottima flotta mercantile che gli permetteva di avere rapporti commerciali con tutto il mondo. La consultazione dei registri navali dell’epoca dei porti di Napoli e di Genova dimostrano, senza ombra di dubbio, la reale differenza tra i commerci napolitani e quelli piemontesi. ” – Antonio Pagano
“Nel secolo precedente, il Meridione d’Italia rappresentò un vero e proprio eden per tanti svizzeri, che vi emigrarono, spinti soprattutto da ragioni economiche, oltre che dalla bellezza dei luoghi e della qualità della vita. Luogo di principale attrazione Napoli, verso cui, ad ondate, tanti svizzeri, soprattutto svizzeri tedeschi di tutte le estrazioni sociali, emigrarono, con diversi obiettivi personali. Verso la metà dell’Ottocento, nella capitale del Regno, quella svizzera era tra le più numerose comunità estere – CLAUDE DUVOISIN, Console svizzero, 2006”
“Per liquidare un popolo si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun’ altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia.” – Milan Kundera
Si riportano gli stemmi delle antiche provincie napolitane:
Citazioni tratte da:
“Due Sicilie, 1830-1880” di Antonio Pagano
“Negare la negazione” di Nicola Zitara
“Il saccheggio del sud” di Vincenzo Gulì
“ Napolitania, storia affascinante, ricca e crudele del sud” di Antonio Pagano