STEFANO DE CARO EX SOPRINTENDENTE DI POMPEI SI CONFESSA, E´ QUI L´ORO, VOLEVO VENIRE IN PENISOLA SORRENTINA

29 luglio 2012 | 18:03
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STEFANO DE CARO EX SOPRINTENDENTE DI POMPEI SI CONFESSA, E´ QUI L´ORO, VOLEVO VENIRE IN PENISOLA SORRENTINA

Stefano de Caro, ex soprintendente di Pompei, massima autorità in Campania nel campo,  intervistato da Lucio Esposito per Positanonews,  a Piano di Sorrento , Villa Fondi, si confessa “Qui c’è l’oro, avete tantissimi reperdi di cui non si ha idea….da soprintendente in Molise chiesi il trasferimento per venire anche in Penisola Sorrentina, ma finii a scavare a Santa Maria Capua Vetere..” , così apre il suo intervento il massimo dirigente dell’iccrom.in al centro la nostra intervista, in fondo una sua scheda.

Questo fil rouge tra memoria e confidenze, ha salvato il convegno di sabato 28 luglio al Museo Archeologico di Piano di Sorrento, in quanto Renato Nicolini, non è potuto intervenire per gravi problemi di salute, e solo l’abilità della Budetta nel moderare e illustrare di volta in volta le ricerche in penisola, è riuscita a tenere le fila fino in fondo. Dopo i ringraziamenti non di rito, ai Comuni e, alle associazioni che hanno contribuito alla costruzione dell’incontro e a Cesare Nissirio, per aver creato il contatto, il saluto del vice sindaco Maresca, e del sindaco Gian Michele Orlando, la parola alla direttrice del museo dell’Ara Pacis , Orietta Rossini. Gli anni settanta e ottanta raccontati dalla Rossini con il giornale “Il Male” e Nicolini all’assessorato alla cultura ci appaiono sotto una luce diversa, dibattiti sull’architettura urbanistica ei centri storici, sul restauro e i nuovi principi, nasce una vera e propria politica di gestione dei beni culturali.. Sindaco di Roma Giulio Carlo Argan, Nicolini eletto senza un briciolo di campagna elettorale. La Rossini pone un invito alla riflessione quando dichiara che la crisi economica di questi mesi ha più un sapore di crisi di identità culturale , il mancato riconoscimento in una comune identita culturale. Poi l’incontro con Lo Sardo, entrambi docenti all’università di Reggio Calabria, descritto da Alessandro Bianchi preside, la chiusura dell’ENICHEM a Crotone, gettando nella prostrazione la città tutta, trovandosi senza lavoro dalla sera per la mattina,con la chiusura dello stabilimento chimico. Ebbene la risposta arrivò dall’Università di Reggio, e dai dibattiti di Nicolini e Lo Sardo,che mostrò alla popolazione di Crotone le altre risorse, quelle paesistiche e archeologiche con Sibari vicino. Nacque in quella occasione la scuola di architettura della città classica. Caso attualissimo con l’ILVA a Taranto, ma i beni non sono un giacimento, da sfruttare, pompando, ma da gestire oculatamente a lunga lunghissima gittata , e non l’arricchimento in una generazione. Eugenio Lo Sardo, fratello dello scomparso Lo Sardo,autore del libro con Nicolini, dci parla di Pace e Cultura. Egli da direttore degli archivi ci parla dei problemi relativi e di come una politica errata può produrre delle storture, ad esempio, il patrimonio archivistico è stato valutato in 600 miliardi di euro, enormemente gonfiato, per esigenze di bilancio dello stato, queste cifre sono un ostacolo insormontabile per effettuare operazioni di restauro o prestito dei documenti di archivio. Punta il dito, senza mezzitermini, contro gli Uffizi di Firenze, erroneamente posti al centro di una città, si rinascimentale, ma urbanisticamente incapace ad accogliere 2,5 milioni di visitatori l’anno. Attraversare gli Uffizi oggi è come girare per un immenso supermercato ove Gucci si sovrappone a Duccio.

INTERVISTA

Lo abbiamo intervistato per voi. 1. Giovedì 11 giugno 2009 l’Accademia dei Lincei le ha consegnato il Premio 2009 per l’Archeologia. Qual’è il suo stato d’animo dopo questo prestigioso riconoscimento? Se lo aspettava? R.: Non mi aspettavo proprio un tal onorifico riconoscimento, e neanche una cosa del genere di minor rilevanza. Ne sono molto lieto, e sono grato ai soci Lincei che hanno voluto assegnarmelo. 2. Ci vuole raccontare in breve la sua carriera di studioso? R.: Mi sono laureato all’università di Roma in Lettere, discutendo una tesi di Etruscologia; mi sono perfezionato alla Scuola Italiana di Atene. Ho intrapreso la carriera delle Soprintendenze nel 1969, con la prima sede di Napoli; da lì sono stato trasferito in Calabria, dove ho diretto gli scavi di Sibari fino al 1981. Dopo un breve intervallo alla Soprintendenza di Villa Giulia, sono stato, fino al 1986, direttore del Museo nazionale Romano. In seguito sono stato Soprintendente Archeologo per la Puglia; nella Soprintendenza Speciale per il terremoto; in Emilia-Romagna. Dalla fine del 1994 sono venuto a Pompei e, dall’anno scorso, sono Soprintendente di Napoli e Pompei. Ho tenuto l’interim della Soprintendenza della Calabria nel 2007-2008. Non faccio distinzione tra le mie attività di lavoro e quelle scientifiche: in quanto in ogni regione nella quale mi sono trovato ad operare ho cercato spunti per ricerche scientifiche. 3. La Commissione ha sottolineato i Suoi contributi a stampa, il Suo impegno nella tutela di regioni e siti italiani e la cura da Lei riversata negli allestimenti delle mostre. Ci vuole ricordare le Sue attività e pubblicazioni più significative in questi settori? R.: Credo sia stata l’attività “d’ufficio”, cioè la tutela dei monumenti e delle aree archeologiche quella che ha dato spunto ai miei studi: così ho cercato di capire meglio le situazioni antiche che ero chiamato ad “amministrare”. In quanto non credo che l’amministrazione sia uno strumento neutro: per renderlo efficace, anche in funzione di una diffusione della cultura e della conoscenza verso il pubblico dei non specialisti (che è la maggioranza degli Italiani), occorre comprendere il più possibile con che cosa si ha a che fare. E meno monumentali sono i resti che ci rimangono del passato, maggiore dev’essere l’impegno a conoscerli, così da poterli poi “raccontare e far comprendere dal pubblico. In questa direzione, le mostre sono un utile ed importante strumento: purché come partenza di esse si abbiano studi seri. Ad esempio la mostra “Storie da un’eruzione” ha goduto di gran successo in giro per il mondo, in quanto faceva vedere quello che è successo nei giorni dell’eruzione del Vesuvio che ha seppellito Pompei ed Ercolano. 4. Lei è Soprintendente Archeologo della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei. Quest’anno l’iniziativa Archeologia e Natura nella Baia di Napoli ha avuto grande successo e ha fatto registrare il 20% in più di visitatori. Ce ne vuole parlare? R.: In generale, le aree archeologiche sono poste in ambienti nei quali la natura si manifesta liberamente: così sia da creare danni alla conservazione delle strutture antiche sia da offrire manifestazioni di piante e specie animali che la convulsa vita urbana ha portato all’estinzione o ha allontanato da sé. Bonificate le piante dannosa, rimangono quelle che permettono un “ingentilimento” dell’area archeologica, oltre alla restituzione, il più possibile vicina alla realtà antica, di giardini e simili apprestamenti naturalistici antichi. Un tal modo di presentare le aree archeologiche offre un elemento in più d’interesse al visitatore, e ne deriva quindi attenzione e richiamo. 5. Qual è, ad oggi, la situazione del patrimonio archeologico campano di cui Lei è responsabile? R.: La Soprintendenza ha competenza solamente sulla attuale provincia di Napoli: nella quale si hanno i due sterminati complessi delle città vesuviane (Pompei, Ercolano, Oplontis, Stabiae, Boscoreale) e dei Campi Flegrei (Cuma, Baia, Miseno, Pozzuoli), oltre alle innumerevoli ville d’ozio di epoca romana che sorgono sulla costa dell’intero Golfo di Napoli e sulle isole di Capri e Ischia. All’eccezionale Museo Archeologico di Napoli si è aggiunto l’altrettanto importante Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel castello Aragonese di Baia. Numerosi sono inoltre i siti antichi che vanno dalla preistoria a tutta l’epoca imperiale romana, meno famosi, ma non per questo meno importanti, come ad esempio il villaggio lacustre di Poggiomarino, e l’insediamento dell’età del Bronzo di Nola. I lavori, in corso, per la costruzione delle metropolitane di Napoli inducono ad ingenti attività di archeologia urbana che, come ognun sa, è attività minuziosa e delicata. Alla quantità dei monumenti, delle aree archeologiche, dei musei si aggiunge la loro qualità artistica e la loro importanza storica. Le risorse finanziarie destinate a tale patrimonio archeologico sono, cronicamente, insufficienti ad assicurarne la loro conservazione e la loro completa presentazione al pubblico. Le recenti ristrettezze finanziarie hanno contribuito a rendere oscura la prospettiva di proseguire ed ampliare un circolo virtuoso di conservazione, restauro e valorizzazione che negli ultimi anni si era impiantato grazie a finanziamenti europei tramite la Regione Campania. 6. In quale maniera pensa si possa migliorarne ancora la fruizione? R.: Alle difficoltà finanziarie si aggiunge la continua contrazione delle risorse professionali, in specie quelle addette alla vigilanza. Così che prevedere un ampliamento delle opportunità di fruizione da parte del pubblico diventa ogni giorno più arduo. Ad esempio, i lavori condotti negli ultimi dieci anni a Pompei hanno più che raddoppiato l’area messa in sicurezza rispetto all’estensione che si aveva all’inizio dei lavori. Ma la continua diminuzione del personale di vigilanza costringe a non rendere fruibili monumenti altrimenti visitabili. 7. La situazione dei fondi disponibili è soddisfacente e sufficiente alla bisogna? Se no, come potrebbe essere incrementata? R.: Per un intervento generale di conservazione a Pompei si è calcolato siano necessari 275 milioni; per il Museo Archeologico di Napoli 70 milioni: e così via per le altre aree. Inutile dire, che non si vede possibilità di finanziamenti del genere, che peraltro richiedono programmi pluriennali. Un esempio positivo è costituito da contratto di sponsorizzazione con il Packard Humanities Institute, grazie al quale è in via di completamento un programma di conservazione restauro di Ercolano. 8. Vuole parlarci dei Suoi progetti professionali per il futuro? R.: Al momento vedo la necessità di resettare le mie abitudini, per esempio leggendo gli studi che sono apparsi negli ultimi anni e che non ho avuto occasione di leggere. Ho in mente alcuni progetti di ricerca, che spero di condurre a termine prima di diventare troppo vecchio. Ho due nipoti da accostare, se lo vorranno, alla curiosità per le cose antiche.

SCHEDA DI DE CARO E GUZZO 

Appresso riportiamo una scheda sul chi sono! Stefano de Caro e Pier Giovanni Guzzo. Stefano De Caro è stato eletto Direttore Generale dell’ICCROM nel corso della 27a Assemblea Generale nel novembre 2011. La sua nomina segue una lunga carriera come un archeologo, scrittore, conferenziere e docente in diverse università italiane, ed ex direttore generale delle Antichità con il Ministero italiano per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC).Nato ai piedi del Vesuvio, De Caro ha perseguito una carriera nello studio di inizio archeologia classica con una laurea in Lettere dalla “Federico II” Università degli Studi di Napoli. Ha poi proseguito gli studi in archeologia presso l’Università “Sapienza” di Roma e la Scuola Italiana di Archeologia di Atene, in Grecia. Ha iniziato la sua carriera con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) nel 1976 come ispettore archeologico della regione del Molise, e poi diretto l’Ufficio Scavi di Pompei. Nel 1991 divenne Soprintendente per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta, ed è stato successivamente nominato direttore regionale dei beni culturali e del paesaggio nella regione Campania. In tale veste, ha coordinato il lavoro di diversi rami locali del Ministero: monumenti, siti, musei, archivi e biblioteche nazionali. Dal 2007 al 2010, Stefano De Caro ha assunto l’incarico di Direttore Generale delle Antichità con il MiBAC, dove le sue responsabilità enormi, tra gli altri, consigliando il ministro sui programmi di conservazione; organizzare il lavoro degli uffici regionali sulla conservazione e l’uso del patrimonio archeologico e lo sviluppo di linee guida nazionali di archeologia per il salvataggio e la gestione delle risorse culturali. Fu anche determinante nelle trattative per il ritorno di oggetti archeologici esportati illegalmente all’estero, e servito su una commissione incaricata di ministero negoziazione di accordi bilaterali e multilaterali per queste restituzioni. Dopo la sua carriera presso il MiBAC ha consultato privatamente per progetti in Cina, Francia, Italia e Russia sul patrimonio culturale e gestione del paesaggio, in particolare, mostre d’arte, gestione delle risorse culturali, formazione, sensibilizzazione e raccolta fondi. Egli è anche un noto conferenziere e giornalista registrato, collaborando a numerose pubblicazioni scientifiche e riviste. Stefano De Caro è ben noto a ICCROM, dopo aver rappresentato il governo italiano nel Consiglio dell’ICCROM 2008-2011, e attraverso il suo coinvolgimento nel consiglio scientifico consultivo del Herculaneum Conservation Project, un’organizzazione partner. Ha oltre 250 pubblicazioni a suo nome su argomenti che vanno dall’archeologia greca e romana alla conservazione dei centri storici, paesaggi culturali, e il patrimonio intangibile. Egli è anche membro di diverse associazioni professionali culturali in Italia e all’estero, tra cui il Archaeologiae Europae Consilium (EAC), ICOMOS, e il Comitato Scientifico Internazionale su Archaeological Heritage Management (ICAHM). Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in Italia e altrove per i suoi meriti culturali, il più recente è il premio Outstanding Servizio Pubblico presso l’Istituto Archeologico di America.Lavorando spesso in difficili contesti sociali ed economici, De Caro è stato spesso chiesto perché preziose risorse dovrebbero essere messi alla conservazione del patrimonio culturale. Il suo miglior risposta, a suo parere, è che “l’uomo non vive di solo pane”, ma anche da pensieri che si nutrono di ricordi. Il patrimonio culturale è il grande serbatoio di ricordi del genere umano. Per fare uso di questa memoria, la conservazione del patrimonio culturale è essenziale, ma non finisce qui. Infatti, come il motto dipinto sul soffitto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli si legge, gli oggetti della memoria, anche se conservato con cura, languono – iacent nisi pateant – se non sono esposti al pubblico. PIER GIOVANNI GUZZO l’Accademia dei Lincei ha consegnato il Premio 2009 per l’Archeologia al Professor Pietro Giovanni Guzzo, Soprintendente Archeologo della Soprintendenza Speciale di Napoli e Pompei.