A proposito di Halloween, una riflessione dell´antropologo sorrentino Giovanni Gugg

31 ottobre 2012 | 17:00
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A proposito di Halloween, una riflessione dell´antropologo sorrentino Giovanni Gugg

Dal profilo di Giovanni Gugg, antropologo: “C’è un aspetto rivelatore dello stato di salute delle nostre “radici culturali”: immaginare che una festa “americana” sia di importazione, quando invece è di ritorno. La circolarità culturale è ciò che rende il mondo in continuo mutamento, perciò interessante. Possiamo discutere della trasformazione consumistica e mediatica delle tradizioni, ma non dovremmo mai dimenticare che se certe manifestazioni vanno diffondendosi vuol dire che significano qualcosa a livello sociale. Il discorso può portare lontano, meglio che tagli corto e arrivi al punto: stasera sarà “Halloween”, come si chiama da un po’ di tempo a questa parte la festa dei morti, e immagino che capiti a tutti di imbattersi in numerose critiche a tale “celebrazione”, spesso dipinta come una forma di “colonizzazione” del nostro immaginario (italiano, meridionale, cristiano, cattolico, mediterraneo…). Ma è davvero così? Nell’indimenticabile “Ponte di San Giacomo” (1982), Lombardi-Satriani e Meligrana documentano innumerevoli varianti del culto dei morti nel Sud Italia, tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre. Nei primi quattro commenti qui sotto cito (dall’edizione del 1996) qualche passo sulle seguenti questioni: (1) perché i morti ritornano, (2) perché ritornano durante questo periodo, (3) come ci si deve rapportare ai defunti ritornati, (4) perché sono coinvolti i bambini.

(1) «Il tema culturale del ritorno dei morti, la sua differenziata fenomenologia costituisce l’indice delle possibilità di incontro morti-vivi, il segno di una tendenziale convergenza della morte e della vita, la configurazione di un luogo in cui simbolicamente possano sospendersi l’irreversibilità, la datità, l’irriducibilità allo scambio. Proprio perciò l’ideologia folklorica del ritorno e della apparizione tende a garantire, riducendo il rischio di una insorgenza e di una iniziativa assoluta (irrelata, nel linguaggio demartiniano) che, non essendo, per definizione, scambiabile, sarebbe nel segno di una incolmabile opposizione. I due mondi resterebbero quali cristallizzazioni contrapposte, radicale ostacolo al rapporto, alla possibilità della relazione sociale vivi-morti» (pp. 81-82).

 (2) «Analogamente alla delimitazione spaziale, la cultura folklorica ha elaborato una strategia di delimitazione temporale dell’apparizione dei morti. Come lo spazio, anche il tempo è minacciato dalla presenza diffusa degli spiriti; prevedere per la loro possibile apparizione un tempo definito si pone come tentativo di disciplinare la fenomenologia altrimenti ben più caotica delle apparizioni e si inserisce, quale tecnica specifica, nel lavorio di difesa della vita superstite» (p. 109).

(3) «Molto diffusa è in tutti i paesi meridionali la credenza che i morti ritornino nelle loro case nei giorni dedicati alla loro commemorazione collettiva. A Zaccanopoli, […] l’ultimo giorno di ottobre si riempivano di acqua le bottiglie, fino all’orlo, perché si riteneva che la notte passassero i morti, bagnandovi le dita o […] il dito mignolo. L’usanza era diffusa fino a una ventina d’anni fa; ora è ancora conosciuta ma praticata molto raramente. Anche in Lucania “i morti tornano la notte del 2 novembre, e i parenti prepareranno il cibo sul davanzale della finestra, affinché, al loro passaggio processionale a mezzanotte possano cibarsi”. In Campania oggi “il giorno dei morti […] non presenta pratiche di tipo particolare, fatta eccezione, soprattutto nel napoletano, dell’intenso tributo di fiori e di lumini fatto ai morti, e, ugualmente, alle anime purganti. […] In questo giorno i morti possono apparire ai vivi, consigliarli, aiutarli, in cambio di preghiere e di offerte che accorciano la loro permanenza nel purgatorio”» (p. 110).

(4) «La festa come luogo dello scambio simbolico si fonda sui morti e sui bambini, figure prossime, e perciò inquietanti, alla fine e all’inizio del tempo storico. […] A Mileto nel giorno dei morti i bambini poveri […] si rivolgono agli adulti chiedendo loro “qualcosa” in nome dei defunti con l’espressione: “Mi date i morti?”. […] Il rifiuto suonerebbe come rifiuto al morto. A Nicotera, fino a qualche anno fa, nel giorno dei morti i bambini andavano per le case, portando una zucca svuotata e lavorata a mo’ di teschio, nel cui interno era accesa una candela. Con questa maschera mortuaria chiedevano: “‘ndi dati i beneditti morti?”, ricevendone in cambio cibi e più raramente soldi» (pp. 150-151)”.