di Leandro Del Gaudio
NAPOLI – Una porta interna, di quelle con la maniglia antipanico, di quelle che se le chiudi bene restano serrate anche dopo un’esplosione, un evento catastrofico o un incendio doloso. Lì a Coroglio, nel grande capannone centrale, la porta con la maniglia orizzontale antipanico, serviva a separare la biglietteria dal museo, serviva cioé a tenere distinte due parti della stessa struttura interna. E invece quella porta era spesso aperta, almeno secondo quanto ricordano alcuni testimoni sentiti in questi mesi ed è rimasta aperta anche quella sera, quando le fiamme hanno distrutto tutto o quasi, tanto da vanificare l’attenzione di chi si sforzava di mantenere ogni cosa al suo posto, lì sul versante occidentale di Napoli.
Città della scienza, inchiesta in corso, ma anche testimonianze che si incrociano, che collimano su alcuni punti per contrastare su altri pezzi di una storia non ancora raccontata del tutto.
Punti oscuri, nel grande giallo di un incendio doloso, c’è dell’altro. Ci sono i codici dell’allarme, ci sono le sequenze numeriche decisive a far scattare o a disinnescare il sistema di protezione contro gli intrusi. Chi possedeva quei codici? Chi aveva accesso al pannello elettronico? Chiara la mappa del museo distrutto, si cerca di ripercorrere le mosse dell’incendiario o degli incendiari, che potrebbero aver agito solo dopo una mossa decisiva: l’ingresso nella sala didattica, vale a dire nell’ex call center, le mani sul quadro elettronico e i codici d’allarme.
Quanto basta per consentire a qualcuno di entrare, di sistemare la benzina nei punti chiave per dargli il tempo di lasciarsi alle spalle le prime lingue di fuoco. Domanda inevitabile, fatta e rifatta in questi mesi decine di volte ad altrettanti soggetti sentiti come persone informate dei fatti: chi possiede i codici di allarme? Chi ha accesso a quel quadro elettronico? Chi sa come fare qualcosa senza far scattare le contromisure?
Inchiesta condotta dal pool guidato dal procuratore aggiunto Gianni Melillo e dai pm Michele Del Prete e Ida Teresi, quasi cinque mesi dopo il rogo, il quadro investigativo assume consistenza e nitidezza. Dall’interno potrebbe essere arrivato un aiuto decisivo – è la convinzione degli inquirenti – per consentire agli incendiari di fare il lavoro sporco. Si parte dal basso, si lavora sugli ultimi momenti di normalità di un museo distrutto in una manciata di minuti, complice la brezza notturna e il clima secco dello scorso quattro marzo. Si va dal particolare al generale, la Procura ha ascoltato in queste ultime settimane due vigilantes, due addetti alla sicurezza interna, quelli – in sintesi – che avrebbero dovuto controllare l’uscita degli ultimi visitatori (pochi minuti prima dell’incendio si era concluso uno spettacolo teatrale); ma anche visionare eventuali monitor, oltre a fare la ronda finale, quella – per intenderci – «del tutto ok, la situazione è sotto controllo».
Due vigilantes di recente messi a confronto, verbali aperti dinanzi ai pm. Spiega l’avvocato Luca Capasso, che assiste uno dei due agenti di polizia municipale convocato per la terza volta in pochi mesi in Procura: «Non mi risulta che il mio assistito o il suo socio siano iscritti nel registro degli indagati. Affrettata è dunque la ricerca di un colpevole a tutti i costi, specie da un punto di vista mediatico. I due vigilantes sono stati ascoltati di recente in Procura, ma come persone informate dei fatti. Ci sono contraddizioni nel racconto tra i due agenti di polizia privata? Tutto da vedere – insiste l’avvocato – possibile che ci siano incongruenze, nulla di più. Bastano queste incongruenze per criminalizzare uno o due persone sentite a sommarie informazioni?».
Contraddizioni, ambiguità, conti che comunque non tornano: chi dei due aveva il codice per gestire l’allarme? Entrambi o uno solo dei due? Parole a confronto. E chi dei due doveva fare l’ultimo giro? E quella porta a cosa serviva? Era importante che venisse chiusa o era un fatto puramente ininfluente? Il resto è storia di una inchiesta che, almeno da un punto di vista formale, continua a battere piste differenti: dal movente interno, in vista di potenziali incassi dei premi assicurativi, a potenziali pressioni della camorra dell’area flegrea. Inchiesta per incendio doloso, il mosaico del pm si arricchisce di nuovi tasselli e punti interrogativi.
Fonte: IlMattino.it 09:31 martedì 30 luglio 2013 – Ultimo aggiornamento: 16:39
Inserito da Alberto Del Grosso