LA “VIA GIUDIZIARIA” DELLA LOTTA POLITICA di Sergio Zazzera
LA “VIA GIUDIZIARIA” DELLA LOTTA POLITICA di Sergio Zazzera
Il seguente articolo firmato dal giornalista- magistrato Sergio Zazzera e’ apparso su il Brigante del 2 Agosto 2013. Ritenendolo di forte attualità, ringraziando l’autore e la redazione de “Il Brigante” lo pubblichiamo anche per i nostri lettori.
Alberto Del Grosso
2 agosto 2013
Finora non avevo mai voluto manifestare, addirittura neanche in privato e perfino in famiglia, questo mio punto di vista, per non innescare meccanismi aventi potenzialità astrattamente suggestionante. Ora, però, che la vicenda della responsabilità penale di Silvio Berlusconi in ordine al reato di frode fiscale si è sostanzialmente conclusa, ritengo di poter chiarire un punto, che costituisce da sempre l’oggetto di considerazioni sicuramente (oltre che volutamente) devianti.
Premetto che la magistratura è titolare di uno dei tre poteri dello Stato – quello giudiziario – e ne esercita la relativa funzione: è errato, dunque, affermare che poteri dello Stato sarebbero soltanto quello legislativo e quello esecutivo, mentre quello giudiziario sarebbe un mero ordine. In realtà, l’“ordine giudiziario” è costituito dall’insieme dei giudici e dei loro ausiliari primari, vale a dire i cancellieri, ma questa definizione ha una rilevanza limitata all’ordinamento del potere giudiziario, vale a dire, al suo funzionamento e alla relativa disciplina.
Ciò premesso, la funzione giudiziaria (o giurisdizionale) consiste nel perseguimento degli autori di reati, siano essi comuni mortali ovvero figure del mondo politico, giacché la legge penale obbliga «tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato», come afferma l’articolo 28 delle disposizioni preliminari al codice civile, ovvero «la legge è uguale per tutti», com’è solito proclamare l’uomo della strada. Dunque, se un esponente del mondo politico viene inquisito, giudicato e infine condannato, ciò non costituisce un modo di “fargli guerra” utilizzando il processo, bensì l’unico modo di ripristinare l’ordine giuridico nello Stato, reprimendo la sua condotta criminosa. Se, poi, la conseguenza di tale attività sarà quella dell’esclusione di costui dall’attività politica, per effetto dell’ineleggibilità dettata in materia di lotta alla corruzione ovvero dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, ciò sarà dovuto unicamente ai meccanismi interni dell’ordinamento; d’altronde, è assolutamente ragionevole che a chi abbia abusato del pubblico ufficio cui è preposto lo Stato impedisca di continuare a esercitarlo. Qualora tutto ciò non fosse, la situazione equivarrebbe a una illimitata licenza di delinquere conferita al politico.
In tal senso, un’altra affermazione assolutamente errata è quella secondo cui l’interdizione dai pubblici uffici irrogata a un parlamentare potrebb’essere eseguita soltanto in seguito al voto favorevole della maggioranza della Camera cui egli appartiene. Viceversa, tale Camera dovrà limitarsi semplicemente a prendere atto del contenuto della sentenza, ch’esclusivamente a tale fine le viene notificata, laddove, se essa dovesse esprimere una manifestazione di voto, vi sarebbe spazio per sollevare un conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale.
Rimane da chiarirsi le idee riguardo all’ipotesi in cui il politico inquisito sia assolto o prosciolto nel merito (e non per prescrizione, ch’equivale ad affermazione di responsabilità in ordine a un reato, che però si è estinto per decorso del tempo). Ebbene, anche in questo caso la “lotta politica per via giudiziaria” potrebb’essere adombrata soltanto qualora elementi o indizi di responsabilità non esistessero fin dall’origine; ma non mi risulta che ciò sia mai avvenuto, mentre di solito è nel corso delle indagini ch’emergono progressivamente le prove dell’innocenza del soggetto accusato.