Marina Berlusconi, ´ribadisco, no impegno in politica´

13 agosto 2013 | 17:02
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Marina Berlusconi, ´ribadisco, no impegno in politica´

Marina Berlusconi, ‘ribadisco, no impegno in politica’

Marina Berlusconi smentisce voci candidatura

13 agosto, 17:01

”Dal momento che ogni mia dichiarazione non è servita finora a fermare le voci su una possibile candidatura, devo ribadire ancora una volta, e nel modo più categorico, che non ho mai preso in considerazione l’ipotesi di impegnarmi in politica”. Lo afferma il presidente di Fininvest e Mondadori, Marina Berlusconi.

”Mi auguro – conclude Marina Berlusconi in una nota – che di questa ulteriore smentita prendano atto anche quanti continuano ad attribuirmi un’intenzione che non ho mai avuto e che non ho”.

Berlusconi cerca strategia per uscire dall’angolo – “Ma lui come sta? Vi ha detto cosa vuole fare?”. Le domande a quei pochi che in questi giorni riescono ad avere contatti con Silvio Berlusconi sono sempre le stesse. C’è attesa per le mosse del Cavaliere. A sentire ‘falchi’ e ‘colombe’, chiuso nella sua villa di Arcore l’ex premier in alcuni momenti appare pronto a mollare gli indugi per giocarsi la carta del “verdetto delle elezioni”; in altri il Cavaliere torna a più miti consigli e “confida in Napolitano e Letta per una soluzione”. Forse, l’espressione più giusta è “ondeggiante”. Il lancio in grande stile della campagna per il ritorno a Forza Italia gli avrebbe ridato fiducia. “La gente è ancora con me. E’ un segnale forte”, avrebbe confidato. Di certo c’è che Berlusconi vuole essere informato in prima persona dell’evolversi della campagna, vuole capire direttamente se l’operazione sta riuscendo. Sono oltre 1500 i manifesti giganti con le immagini di Berlusconi sul palco di via dell’Umiltà e presto decine di aerei con striscioni pro-Cav voleranno sopra le spiagge di mezza Italia. I ‘falchi’ sono convinti di aver segnato un punto a loro favore. E lavora ad “una grande manifestazione a Milano a settembre”. Dall’altro lato, invece, le ‘colombe’. Sono parlamentari e dirigenti del Pdl che puntano a tenere aperti e saldi i canali di comunicazione con Palazzo Chigi e Colle. Invitano il Cavaliere a non lasciarsi andare a gesti improvvidi. Si tratta di un terreno minato, nel quale non possono esservi né promesse né rassicurazioni, ma i ‘pontieri’ non demordono. Dopo la prima reazione che ha ricompattato il partito dopo la sentenza della Cassazione, il partito inizia a mostrare qualche evidente segno di divisione al suo interno sul modo migliore di programmare il futuro. Il timore è che questo piccolo solco possa portare ad una spaccatura. Reazioni opposte ha suscitato l’intervista di Pier Ferdinando Casini nella quale il leader dell’Udc parla di “nuove convergenze in nome delle comuni appartenenze europee” ma afferma anche che nel Pdl “alcuni stanno già pensando a come rimettersi in marcia”. C’è chi guarda con favore al “ravvedimento” di Casini, ma anche chi teme l’offerta. “Quando sento parlare ancora di alleanze, di formule, di ghirigori della vecchia politica all’insegna del Ppe mi viene la nausea. E quando leggo che c’è Casini, comprendo che c’è sotto qualche tranello”, sottolinea Sandro Bondi. Secondo Osvaldo Napoli, invece, “ricostruire un centrodestra ampio da inserire nella grande corrente del popolarismo europeo è un obiettivo prezioso per tutti i moderati e riformisti”. Sembra si rileggere le reazioni alle aperte avances di Luca Cordero di Montezemolo, quando nelle scorse settimane invitava Berlusconi a “lavorare alla rifondazione di un’area liberale e moderna di centro destra”, assicurando che “molti, fuori e dentro la politica, sarebbero interessati a dare un contributo”. Berlusconi studia gli scenari con attenzione. L’accelerazione verso Forza Italia avrà certamente degli effetti centrifughi nel Pdl ma nel partito non manca chi immagina un progetto di rilancio del centrodestra con una doppia gamba.

Berlusconi già incandidabile?Pdl-Lega alzano barricate – Il centrodestra fa quadrato attorno a Silvio Berlusconi. E di fronte alla legge anticorruzione (votata con 480 sì, 19 no e 25 astenuti) e al decreto attuativo firmato da Monti e dai tre ministri Filippo Patroni Griffi, Anna Maria Cancellieri e Paola Severino, tenta una difesa ”di carattere interpretativo” della norma che sancisce l’incandidabilità di chi è condannato con sentenza definitiva a più di due anni di reclusione. ”La Legge Severino, come tutte quelle del governo Monti, sono solo leggi manifesto incomplete”, tuona il leghista Roberto Calderoli che azzarda un’ipotesi: siccome è l’art. 66 della Costituzione che attribuisce a ciascuna Camera il giudizio sui titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità, ”se dovessimo tornare al voto prima del pronunciamento del Senato, Silvio Berlusconi potrebbe candidarsi sia alla Camera che al Senato della Repubblica”. Nel sostenere questa tesi, Calderoli prende le distanze sia dal presidente della Giunta per le Immunità Dario Stefano (Sel), a cui tocca sbrogliare la matassa della decadenza da senatore del Cav, sia da Francesco Nitto Palma, numero uno della commissione Giustizia del Senato. Dal primo perché ”sostiene l’impossibilità della candidatura di Berlusconi a future elezioni politiche”. Dal secondo perché afferma che, in caso di scioglimento delle Camere, sull’ ammissibilità della candidatura di Berlusconi giudicherebbe la Corte d’Appello e, nel caso ”si potrebbe presentare ricorso al Tar”. Secondo Calderoli, invece, la soluzione sarebbe un’altra: “Se si dovesse tornare al voto dopo che il Senato abbia dichiarato la sua decadenza, Berlusconi potrà legittimamente candidarsi a deputato e solo la Camera successivamente potrà giudicare sulla sua ammissione, ovvero sulla sua ineleggibilità o incompatibilità”. Forse Calderoli, si fa osservare nella maggioranza, non si rende conto che la norma sull’incandidabilità ”è chiarissima” e che sulle candidature c’è un triplice vaglio. La prima parola spetta all’Ufficio elettorale che deve valutare se ci sono le condizioni o meno perché qualcuno possa essere messo in lista. Poi, c’è la Corte d’Appello che fa una verifica degli eletti. Infine, se i due precedenti filtri non fossero riusciti a bloccare l’ingresso in Parlamento di chi non ha i titoli a candidarsi, ci sarebbe sempre la Giunta per le Immunità a dire il ‘no’ definitivo. Ma è solo la Giunta, invece, che ha voce in capitolo quando il condannato è già parlamentare. Tocca solo a lei, sempre secondo le norme vigenti, pronunciarsi sulla sua decadenza. E per far questo deve seguire una procedura ben precisa, prevista dal Regolamento per la funzione dei poteri, che dovrebbe concludersi, secondo Stefàno entro ottobre. Poi spetterà all’Aula prendere atto della decisione o contestarla attraverso il voto a scrutinio segreto di un ordine del giorno che potrebbero mettere a punto 20 senatori. La norma del decreto legislativo firmato da Monti, incalza nel Pd, ”parla comunque sin troppo chiaro”: non può essere candidati né può ricoprire incarichi di governo chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. E l’incandidabilità non può durare meno di 6 anni. L’unica chance di ribaltare il verdetto potrebbe ‘affacciarsi’ tra tre anni. Dopo tale periodo, infatti, il condannato, se in precedenza incensurato, può sempre chiedere di venire ‘riabilitato’.

ANSA  13 agosto, 17:01

Inserito da Alberto Del Grosso