Miti napoletani di oggi.4 -La canzone neomelodica di Sergio Zazzera

20 agosto 2013 | 18:04
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Miti napoletani di oggi.4 -La canzone neomelodica di Sergio Zazzera
Miti napoletani di oggi.4 -La canzone neomelodica di Sergio Zazzera
Miti napoletani di oggi.4 -La canzone neomelodica di Sergio Zazzera
Miti napoletani di oggi.4 -La canzone neomelodica di Sergio Zazzera
Miti napoletani di oggi.4 -La canzone neomelodica di Sergio Zazzera

Miti napoletani di oggi.4La canzone neomelodicadi Sergio Zazzera

I seguenti articoli a firma di Sergio Zazzera magistrato e giornalista, sono apparsi in successione su “Il Vomerese”. Ringraziando l’autore e la redazione di “Il Vomerese”, li riprendiamo anche per i nostri lettori.

Alberto Del Grosso

Il genere musicale “neomelodico” è sostanzialmente ignorato dai saggi di storia della canzone napoletana, i quali provano ritegno addirittura ad attribuirgli questa denominazione: Pasquale Scialò si limita a menzionare Nino D’Angelo, il quale tenderebbe «alla modernizzazione delle tematiche tradizionali attraverso il racconto di storie quotidiane, in gran parte legate alla fascia giovanile»; Vittorio Paliotti lo liquida affermando che «i ragazzi di borgata, coi loro tragici problemi, sono i protagonisti delle canzoni di Nino D’Angelo e, più tardi, di Gigi D’Alessio e di Gigi Finizio».

Il linguaggio dei testi delle canzoni del genere “neomelodico” consta di un’alternanza di parole della lingua italiana e di altre di quella napoletana. Si tratta, in realtà, d’una manifestazione circoscritta agli ambienti giovanili di periferia, che ne rispecchia le modalità di comunicazione verbale, in cui alla parlata napoletana d’uso quotidiano/domestico si affianca l’ostentazione della superficiale cultura acquisita attraverso la saltuaria, quanto forzata/sgradita, frequentazione dell’istituzione scolastica: ed è proprio da ciò ch’emerge il falso linguaggio del “mito di oggi”, che anche in questo caso assume la configurazione barthesiana del mito “di proiezione”. Anche qui, infine, come nella forma teatrale-“sceneggiata”, le canzoni di soggetto “guappesco” costituiscono soltanto la degenerazione del genere musicale originario, la cui affermazione si ritrova imposta da un pubblico di fruitori che, per contiguità e talora anche per appartenenza alla criminalità organizzata, inducono compositori e artisti a farsi corifei delle loro imprese.

Miti napoletani di oggi.3

“Un posto al sole”

di Sergio Zazzera

A diffondere sceneggiati seriali costituiti da un numero interminabile di puntate cominciò il sistema televisivo degli U.S.A. con Dallas e Dinasty, seguito a ruota da quello brasiliano con Andrea Celeste e La schiava Isaura; qualche esperimento, altresì, fu tentato da reti televisive indiane, i cui prodotti però non trovarono un’accoglienza positiva presso il pubblico italiano. Com’era da attendersi, inoltre, a distanza di tempo gli spettatori perdevano di vista i contenuti delle puntate trasmesse negli anni precedenti, senza che tuttavia ciò incidesse in maniera negativa sulla loro assiduità e sul loro gradimento. Da quando poi la RAI e Mediaset hanno deciso di cimentarsi anch’esse nel genere, sopra tutte le altre serie (perfino su Incantesimo) ha trionfato Un posto al sole, ambientato a Napoli, con la partecipazione di attori in massima parte napoletani.

In questa fortunata serie televisiva Romolo Runcini, sociologo della letteratura, ha ritenuto di poter riconoscere l’erede necessario della “sceneggiata”, affermando che quest’ultima «nasce come un momento di raccolta nei pubblici locali intorno a problemi che riguardavano il mondo popolare. Ora è morta di fronte all’invasione della televisione. Probabilmente ora l’erede più diretta della sceneggiata è Un posto al sole, cioè un modo in cui l’interno popolare napoletano viene tratteggiato e considerato nella sua espressività». In tal senso, dunque, credo si possa ravvisare nella serie televisiva un vero e proprio mito “di proiezione”, secondo la classificazione di Roland Barthes.

A questa autorevole tesi mi sia consentito, poi, di aggiungere un’ulteriore considerazione, che concerne il tramonto di periodici, come Grand Hotel e Bolero Film – i cosiddetti “fotoromanzi” –, travolti da Un posto al sole, che connota di dinamismo quelle stesse situazioni ch’essi si limitavano a narrare attraverso sequenze d’immagini statiche.

Miti napoletani di oggi.2

Scampia

di Sergio Zazzera

Il “mito”-Scampia è la risultante della sommatoria di non meno di due miti. Il primo di essi è quello delle “Vele”, progettate da un’équipe d’architetti guidata da Francesco Di Salvo, al quale si è tentato di addossare in più occasioni la responsabilità dell’invivibilità di quelle strutture, quasi che le opere di edilizia pubblica non siano soggette pure alla preventiva valutazione delle pubbliche amministrazioni competenti. Alla fine, di questi falansteri è stata attuata almeno in parte la demolizione, in ossequio al principio tutto napoletano secondo cui chi fràveca e sfràveca nun perde maje tiempo, con buona pace delle tasche dei contribuenti.

Il secondo è quello della piazza di spaccio: beninteso, non ch’essa non esista, ma non si può affatto appioppare a un’intera collettività un’etichetta, che viceversa si addice soltanto alla parte malsana di essa, dedita ad attività illecite, né d’altronde può essere considerata questa l’unica località napoletana nella quale il traffico di sostanze stupefacenti sia praticato. Peraltro, il riscatto del quartiere, partito già con la nascita del Centro territoriale Mammut (progetto nazionale di ricerca-azione nato nel 2007  con l’obiettivo di produrre innovazione metodologica e portare alla nascita di un centro territoriale permanente) e con la realizzazione di una Villa comunale, di una “piazza telematica” e di un Auditorium, dovrebbe proseguire con l’insediamento di uno stadio per incontri di calcio di serie C e di una nuova Facoltà universitaria di Medicina. Per non dire della piazza-teatro attigua all’Auditorium, che ospitò la prima nazionale del film Napoli, Napoli, Napoli (2009), di Abel Ferrara, il cui allievo Gaetano di Vaio è originario proprio di questa località.

Infine, dalla sinergia fra il Centro territoriale Mammut e il medico omeopata vomerese Vincenzo Esposito è nata l’iniziativa di un ambulatorio gratuito di omeopatia destinato agli abitanti del quartiere e ai migranti provenienti anche da altre aree della Campania; con il che può ritenersi posta la prima pietra perché il mito-Scampia sia sfatato.

Miti napoletani di oggi.1

DISOCCUPATI ORGANIZZATI

di Sergio Zazzera 

L’antropologia definisce il mito come “linguaggio falso, ingannevole”, fino a identificarlo con la bugia, per quanto qualcuno si sia limitato pur autorevolmente a ritenerlo espressione di linguaggio semplicemente simbolico. Del resto già Erodoto e Tucidide consideravano il μῦθος “storia inattendibile, non veritiera”, in contrapposizione al λόγος, cioè alla storia in senso stretto; inoltre Platone manteneva distinti i miti «maggiori», relativi alle divinità, da quelli «minori», concernenti gli eroi. E, benché, infine, il mito abbia un tempo suo – la Urzeit – che precede quello degli uomini, tuttavia Roland Barthes ha individuato e illustrato una serie di “miti di oggi”, dallo stereotipo cinematografico della romanità all’iconografia dell’Abbé Pierre, dall’esaltazione della bistecca con contorno di patate fritte alla “reliquia” del cervello di Albert Einstein, giusto per citare quelli più emblematici. Ora l’operazione compiuta da Barthes mi sollecita, pur nel doveroso rispetto delle proporzioni, a individuare e tentare d’illustrare qualcuno fra i più significativi “miti napoletani di oggi”. 

                                                   ***

E’ innegabile che la carenza di sbocchi lavorativi sia stata indotta in maniera particolarmente incisiva dalle ripercussioni in Italia della crisi economica mondiale, benché essa si sia fatta avvertire a Napoli già almeno nell’ultimo trentennio del ventesimo secolo. È anche vero, però, che un primo mito è venuto determinandosi in proposito nella differenziazione concettuale fra “lavoro” e “posto”, al quale ultimo – in quanto idoneo a garantire maggiore stabilità e disponibilità economica – piuttosto aspira la netta maggioranza di quanti non hanno un’attività lavorativa alla quale dedicarsi: una leggenda metropolitana vuole che sulla scrivania del commesso di un ufficio pubblico figurasse un cartello con la scritta: «Lo stipendio è sacro; lo scomodo si paga a parte». A rafforzare tale aspirazione concorrono, altresì, le promesse fatte a costoro da politici in cerca di clientela/base elettorale, mentre le organizzazioni sindacali preferiscono rivolgere la loro attenzione a quanti, godendo di una posizione lavorativa, possono conferire loro una consistenza associativa traducibile in forza contrattuale nel rapporto con i datori di lavoro. Intanto, a partire dal 1972, a Napoli sono sorti “coordinamenti” di “disoccupati organizzati” (celebre fra tutti quello “dei Banchi Nuovi”), le cui manifestazioni di protesta sfociano non di rado nell’abbandono a forme di violenza, quanto meno sulle cose; e si vuole che a “coordinare” almeno alcuni di tali raggruppamenti siano associazioni di criminalità organizzata.

È singolare, dunque, che in un contesto atavico di disorganizzazione generale si sia potuto verificare il connubio tra due forme di organizzazione così negativamente connotate, per quanto un’attenta riflessione dovrebbe indurre a riconoscere nel concorso fra promesse dei politici, assenza dei sindacati e interessamento della criminalità organizzata la modalità costitutiva di un serbatoio di voti e a individuare il relativo mito nella “promessa dell’impossibile” che ne deriva.

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