17/9/13 JOSEPH MC CARTHY E LA STAMPA AMERICANA

17 settembre 2013 | 21:24
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17/9/13 JOSEPH  MC CARTHY E LA STAMPA AMERICANA

17/9/13 JOSEPH  MC CARTHY E LA STAMPA AMERICANA

Ci sono alcune domande che da mezzo secolo appassionano molti storici del giornalismo ed esperti di comunicazione. Quale fu il ruolo della stampa americana nei confronti del maccartismo? E’ vero che senza lo spazio e il clamore prestato dai giornali dell’epoca alle dichiarazioni e alle attività di Joseph McCarthy e degli altri politici maccartisti, questi non avrebbero segnato gli anni del dopo seconda guerra mondiale? Quanto contò l’abilità dell’uomo McCarthy nel far ruotare il circo dell’informazione attorno a se stesso? Chi usò e quali: furono i giornali a sfruttare le enormità sparate dal senatore che facevano impennare le vendite o fu il senatore a sfruttare i titoloni quotidiani per guadagnare più popolarità? E ancora: i rapporti amichevoli tra l’uomo politico e alcuni giornalisti, talmente amichevoli da pregiudicare la deontologia professionale, furono voluti da McCarthy per accattivarsi una categoria determinante per ogni propagandista o furono cercati dei cronisti per assicurarsi la copertura esclusiva nel proprio giornale di ogni argomento che avesse a che fare con il politico del Wisconsin?

E’ stato detto che la classe giornalistica americana abbia fondato gli USA insieme ai Padri Pellegrini. Al di la dei paradossi, è certo che molti degli intellettuali che firmarono e crearono le gazzette nel Nuovo Mondo contribuirono alla scrittura della Costituzione americana. Anche per questo il Primo Emendamento del “Bill of Rights” si poneva all’avanguardia nella difesa della libertà di stampa e di opinione dicendo:

Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento ufficiale di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto o per limitare la libertà di parola o di stampa, o il diritto che hanno i cittadini di riunirsi in forma pacifica e di inoltrare petizioni al governo per la riparazione dei torti subiti! Uno dei primi studiosi a rimanere impressionato dallo stile e dal peso che i giornali americani avevano sulla nuova società fu Alexis de Tocqueville. In una celebre pagina del suo classico “La democrazia in America”, il pensatore francese esprime le sue perplessità sulla bontà della libertà di stampa notata negli Stati Uniti, citando un brano di un articolo della “Vincenne’s Gazette” in cui si attaccava duramente il presidente Jackson. Il “dispotismo dell’opinione pubblica” tipico della società americana. Sia Tocqueville e poi. John Steward Mill, previdero le problematiche che potevano derivare da una democrazia fondata sull’opinione pubblica: manipolazione, conformismo, ipocrisia. Sensazionalismo e concentrazione dei mezzi d’informazioni in poche mani. Dai tempi di Tocqueville agli anni della Guerra Fredda, il mondo del giornalismo americano era ovviamente cambiato in profondità, dalla nascita di una vera e propria industria dell’informazione il consolidamento di catene editoriali, su tutte, la Hearst e la Scripps Howard, poco diverse da quelle che oggi caratterizzano i panorami di tutte le società affluenti postmoderne: Quel che dai tempi di Tocqueville a quelli di McCarthy non era affatto cambiato, era il grado si considerazione che l’opinione pubblica statunitense, riservava alla carta stampata.  Il cittadino medio americano si sentiva, a torto o a ragione, realmente rappresentato dal proprio grande giornale, vissuto non come l’unica fonte di informazione ma anche come il baluardo degli interessi della gente comune di fronte ai poteri forti. Questo tipo di sentimento era giustificato dall’affermarsi del giornalismo investigativo, che si può definire una invenzione americana di cui Upton Sinclair con le sue formidabili inchieste nell’industria della carne in scatola di Chicago, fu uno dei promotori. Un giornalismo realmente al servizio del cittadino ancor prima del lettore, insegnato da sempre nelle prestigiose School of Journalism all’insegna del mito dell’obiettività, dell’autonomia, della puntualità, della responsabilità, della documentazione ma soprattutto dei fatti. Un giornalismo che fino alla comparsa di McCarthy era ancora per lunghi versi ingenuo nel suo approccio alla politica. Il mondo di Washington fino ai primi anni Cinquanta era visto dalla stampa, e quindi dall’opinione pubblica americana, con un grado di fiducia infinitamente maggiore di quella di oggi. Il giornalismo investigativo statunitense, fino a McCarthy compreso, nutriva molti più sospetti sulla classe industriale  che su quella politica. McCarthy, con le sue tecniche propagandistiche contribuì in modo decisivo a schiantare l’immagine collettiva del politico americano presso l’opinione pubblica e i mezzi d’informazione. Il grandissimo credito di cui la stampa godeva presso l’opinione pubblica, riassumibile nella frase: “it’s true, it’s on the paper (E’ vero lo ha scritto il giornale), citata come fonte di prova inoppugnabile, faceva gola a molti politisi e in particolare, ai membri  della Commissione per le attività antiamericane (Hqua). Si può anche dire che qualunque inchiesta del Congresso si sia sempre servita pesantemente della stampa. I commissari hanno sempre cercato di creare un clima favorevole al loro operato nell’opinione pubblica, al fine di condizionare il Parlamento ad approvare le loro proposte. Inoltre una buona pubblicità sui giornali poteva determinare una facile rielezione. Una prova di quanto i politici tenessero a una buona riuscita sulla stampa, è data dal seguente memorandum che girava nello staff  della Commissione sulle attività antiamericane:

Dovete decidere voi cosa volete che i quotidiani denuncino con più forza, e potete farlo organizzando i lavori di ogni udienza in modo da far risaltare all’interno di ciascuna testimonianza il punto che per voi è più favorevole. Non appena si viene al vostro nocciolo, aggiornate la seduta.

Non consentite che accadano imprevisti, come  richieste improvvise di testimonianza da parte di estranei, che potrebbero creare notizie in grado di oscurare le cose che volete far risultare sulla stampa.

Su un tema controverso non fate trascorrere più di 24 o 48 ore  fra un’udienza e l’altra . Altrimenti darete all’opposizione il tempo che le serve per ideare controaccuse d’ogni tipo da dichiarare sui giornale.

Non abbiate mai timore di interrompere un interrogatorio, fosse  anche solo per cinque minuti, se vi serve a mantenere il processo di creazione di notizie.

Questo documento testimonia come il rapporto tra Huac e stampa sia stato molto più scientifico che in passato. I commissari della Huac, dopotutto, dichiararono in modo ufficiale di voler punire i loro inquisiti “anche attraverso la pubblicazione dei nomi e delle accuse sui giornali”, in una strategia di messa alla gogna mediatica.
Tutt’oggi nelle scuole di giornalismo italiane si dibatte l’antico tema se un professionista dell’informazione  debba, nel riportare una notizia politica, votarsi alla pura e semplice notizia, separando il fatto dall’opinione o se invece non sia il caso di contestualizzare la notizia. Contestualizzare significa: “porre in un contesto”, dunque riportare il fatto nuovo soppesandolo alla luce del quadro generale, facendo ricorso a una interpretazione nel momento stesso in cui o si pone in relazione con gli antefatti e la cornice che ha determinato quel nuovo evento. In parole più semplici, se si decide di : “spiegare” una notizia, collegandola e illustrandone il come si è arrivati a quel punto e cosa potrebbe implicare quella novità, è impossibile farlo senza ricorrere alla propria soggettività, al proprio punto di vista. E per quanto si cerchi di essere il più rigorosi e neutrali, ogni punto di vista è sempre soggettivo e implica una commistione di fatto  (notizia)e opinione (interpretazione).
Il giornalismo  americano, come sappiamo, cresce in una categorica tradizione di obiettività. I fatti e soltanto i fatti, scevri da commenti, opinioni, punti di vista, spiegazioni di alcun tipo dovevano costituire il modello ideale a cui ogni buon cronista era impiegato a ispirarsi.
Un reporter deve semplicemente riferire che cosa qualcuno ha detto, oppure che cosa ha visto con i suoi stessi occhi.

Alberto Del Grosso