FRANZ E OSCAR. DUE RAGAZZI CHE SI SONO AMATI ALLA RICERCA DI UNA LORO IDENTITA’.

21 settembre 2013 | 16:54
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FRANZ E OSCAR. DUE RAGAZZI CHE SI SONO AMATI ALLA RICERCA DI UNA LORO IDENTITA’.

FRANZ E OSCAR. DUE RAGAZZI CHE SI SONO AMATI ALLA RICERCA DI UNA LORO IDENTITA’.

Prefazione di Alberto Del Grosso

I lettori che seguono i miei articoli, sono a conoscenza che sono un giornalista che scrive su tutti gli argomenti di carattere nazionale, internazionale, politico e sociale dei quali ho conoscenza o vengo a conoscenza. Gli assegnamenti in varie città del mondo e in culture diverse, hanno contribuito a farmi capire anche le diversità umane.  

Non sono un omofobo, so che  tra diversi giovani si verificano storie ed intrecci gay o pseudo tali, etero e bisessuali,  che tendono a riconoscersi  nella  ricerca di una  precisa identità sessuale. Alcuni  casi si esauriscono con la prima esperienza, altri continuano sino a quando, stanco di una esperienza, l’uno o l’altra, va alla ricerca di una nuova storia e nuove emozioni. Altre possono anche durare una vita intera, ma queste ultime sono più rare. Il testo che segue mi è stato  inviato da un giovane che ha avuto una  esperienza estiva con un amico straniero suo ospite. L’ho ritenuto uno degli esempi che alcuni giovani vivono e ho deciso di pubblicarlo, dopo averlo rivisto e posto in chiave romanzesca per renderne più scorrevole la lettura, senza alterarne il contenuto di base.

E’ una storia di un amore tra due ragazzi e una ragazza. Si alterna tra diverse fasi che, oscillano dal desiderio, alla passione al  piacere, sino all’umiliazione e al  disgusto per quanto  vissuto; particolarmente dal diciottenne.  Alla fine, si ritrovano a confessare a se stessi che “questa cosa che quasi non fu mai”, ancora li tenta.

Questo scritto, fa seguito al mio articolo il cui titolo e:’Cronaca Romanzata di un regista in cerca di costumi scenici, pubblicato in data 29/8/13

Dalla e mail di Franz

Egregio dottor Del Grosso, ho letto l’articolo che  ha scritto nel giornale on line positanonews. Avevo notato la sua presenza a fianco a noi nel Mc Donald, ma non pensavo che lei fosse un giornalista.  Desidero complimentarmi per la stesura del suo scritto e visto che lei è un uomo perspicace ed aveva capito la realtà mia e del mio Amico,  le  trascrivo,  anche se in modo non giornalistico, la nostra storia, tratta da alcune  pagine del mio diario. Uso dei nomi fittizi per la nostra privacy.  Può pubblicare tutto,  anche apportando dei cambiamenti per motivi di costruzione.  Cordialmente…

<Sono un ragazzo italiano, abito in una zona residenziale con la mia famiglia. Mio padre svolge una professione  che gli permette di offrirci una vita agiata. Mi chiamo Francesco ma in casa mi hanno sempre chiamato Franz.  Abitiamo in  una villa tra altre ville nel verde con discesa a mare, Il mio Amico è inglese e si chiama Oscar. Io ho 18 anni compiuti,  mi diletto a scrivere ma studio ancora, Oscar  ne ha 22 e frequenta l’università di Birmingham per “Innovazione e performance aziendale”.  Ogni anno, durante l’estate per volontà di mio padre, anche professore universitario, con il consenso di mia madre e mio,  ospitiamo per un certo periodo uno studente straniero. Quest’anno, la scelta, su quattro candidati, è caduta, su Oscar.  Piacque a tutti il suo curriculum e la foto allegata alla proposta. Io ne fui colpito particolarmente per la sua bellezza. Oscar appare un ragazzo solare, alto  e biondo.

Giunse all’aeroporto a metà giugno;  con mio padre,  andammo ad incontrarlo all’arrivo. Tutto il suo  bagaglio si riduceva ad uno zaino e un’ampia borsa da viaggio.

Chissà, forse è iniziato tutto in quel preciso istante; la camicia, le maniche rimboccate, i talloni che entravano e uscivano dalle espadrillas consunte. Eccolo, il nostro ospite dell’estate era arrivato.  Parla un ottimo italiano, in realtà parla tre lingue, inglese, italiano e francese. Quando parcheggiammo l’auto, nel viale, ad ogni passo chiedeva: “dov’è la spiaggia? Gli fu assegnata una camera al piano superiore accanto alla mia con un balcone in comune che guarda sul  mare, sulla spiaggia e sugli scogli sottostanti. Forse iniziò tutto subito dopo il suo arrivo in uno di quei pranzi spossanti, quando era seduto accanto a me e  mi accorsi che il colore della sua pelle  era pallido e delicato dal viso all’incavo del collo all’interno delle braccia. Mi raccontava cose di lui che mai mi sarei sognavo di chiedergli.

O forse fu durante quelle lunghe ore infinite dopo pranzo, quando oziavamo tutti in costume da bagno dentro e fuori casa, finché qualcuno non proponeva di  scendere agli scogli per una nuotata.

O forse l’inizio è stato sulla spiaggia. O durante la prima passeggiata insieme, quando fui designato a mostrargli la casa e la proprietà tutt’intorno. Quando volevo mostragli proprio tutto, esclamava: “dopo, forse”. Cortese indifferenza come se avesse intuito il mio entusiasmo nel compiacerlo e sommariamente mi stesse tenendo alla larga.  Disse che voleva aprire un conto in una delle banche locali. Decisi di accompagnarlo e lungo il tragitto ci fermammo a bere qualcosa. Il bar era deserto, acquistammo una bottiglia di acqua minerale ed uscimmo subito. Ne bevvi una lunga sorsata e gliela passai, disse: “dopo”; infine feci un altro sorso.  “Che si fa qui di solito”? “Niente, si aspetta che finisca l’estate”.

E in inverno, allora? Sorrisi, lui capì e mi precedette. “Non me lo dire, si aspetta che arrivi l’estate, giusto?” . Mi piaceva che mi leggeva nel pensiero.  “Sai, in inverno questo posto è triste”. “Che fate qui a Natale?” Mi stava stuzzicando, gli rifilai lo stesso sorriso di prima. Lui capì, non disse nulla e scoppiammo a ridere.

Chiese che cosa facevo io di solito. Giocavo a tennis, nuotavo, scrivevo, leggevo, uscivo  la sera e andavo a correre di mattina presto, “Quì’ dove si va a correre?” “Sulla strada”, se voleva potevo accompagnarlo a dare un’occhiata. Mi colpì dritto in faccia: “Dopo, forse”.

Gli stavo leggendo la trascrizione di un mio lavoro, mi accorsi sott’occhio che mi giungevano occhiate intense. La cosa mi lusingava, era ovvio che fossi interessato. Gli piacevo. Ma quando mi voltai verso di lui e intrecciai il suo sguardo, lo trovai gelido, ostile che rasentava la crudeltà.

Nel viale dove abitiamo,  in una villa più in alto, vive Marcella con la famiglia, ci conosciamo da sempre, ci faccio spesso anche l’amore. Quel giorno ero andato con Marcella in libreria per comprare  un libro e ne  acquistai una copia anche per lei. La baciai furtivamente dietro l’orecchio e mi sembrò scossa da un fremito, le diedi un’altro bacio. “Ti ha dato fastidio le chiesi” Proprio per niente rispose lei a fior di labbra. Appena fuori mi chiese “perché mi hai comprato questo libro? Perché mi andava,” “Si ma perché me l’hai comprato? Perchè mi hai comprato proprio un libro?” “Se non me lo dici immaginerò’ le cose più’ assurde…e mi sentirò malissimo.” Sospettavo dove voleva andare a parare e non volevo rispondere del mio comportamento. Ecco la timida e inefficace strategia del richiamo. Me ne resi conto, Oscar stava facendo lo stesso con me? Continuava a ignorarmi per attirarmi di più? “Non fraintendermi, anche a me piace leggere.” Finalmente pensai, qualcuno che dice la verità. “Chi legge lo fa per nascondersi, per nascondere chi è realmente. E chi si nasconde non sempre si piace.” “Tu ti nascondi?” “a volte. Tu no?” “Io? Suppongo di si.” “Mi trovai a bofonchiare una domanda che altrimenti non avrei mai osato fare. “Ti nascondi da me?” “No, da te no. O forse si, un pochino” “Tipo?” “Lo sai benissimo.” “Perché dici così?” Perchè penso che tu possa ferirmi, e non voglio soffrire.” Procedevamo piano, mi chinai verso di lei e la baciai con delicatezza sulle labbra. Marcella si appoggiò contro l’ingresso di un negozio chiuso, le presi il viso tra le mani e mi abbandonai su di lei mentre ci baciavamo, le mie mani sotto la sua camicetta, le sue nei miei capelli. Mi piaceva la sua semplicità, il suo candore. Un bacio sulla bocca non era il preludio a un contatto più completo, era già un contatto totale. Non mi stupii quando infilò una mano in mezzo a noi e poi dentro i mie pantaloni. Fu la sua schiettezza senza freno che mi eccitò maggiormente. Volevo dirle  qualcosa per dimostrarle che la persona che era passata a prenderla a casa non era più il ragazzo di una volta, freddo, senza vita..ma  me lo impedì “Baciami ancora”. “ma tu mi vuoi veramente bene?” Mi domandò con lo sguardo in cerca di rassicurazioni. Adesso, mentre la baciavo con più passione, le nostre mani vagavano sul corpo dell’altro. Mi ritrovai a comporre mentalmente il messaggio che avevo deciso di lasciare sotto la porta della camera di Oscar: Questo silenzio è insopportabile. Ti devo parlare.

Quando ero pronto per quel bigliettino, ormai albeggiava. Io e Marcella avevamo fatto l’amore sulla spiaggia in  un zona deserta e tranquilla dove inevitabilmente si raccoglievano i preservativi della notte, che poi si vedevano galleggiare tra gli scogli. Adesso, tornando verso casa, mi piaceva il suo odore sul corpo, sulle mani. Non avrei fatto nulla per lavarlo via. L’avrei tenuto su di me sino a quando ci saremmo rivisti, Una parte di me si crogiolava felice in questa nuova e benefica ondata di indifferenza, ai limiti del disgusto nei confronti di Oscar. Forse lui aveva avuto l’impressione che volessi solo andarci a letto e poi tanti saluti. E pensare che qualche notte prima avevo sentito un bisogno fortissimo di accogliere il  suo corpo nel mio. Adesso all’idea non provavo la  minima eccitazione. Forse tutta quella storia era stata solo una fregola canicolare, ma ora me ne ero sbarazzato. Neanche un’ora dopo, Oscar tornò da me au galop. Avrei voluto sedermi sul suo letto e offrirgli il palmo e dirgli: “ Tieni, senti un po’ qua” e poi guardarlo mentre mi annusava la mano e portargli il dito medio alle labbra e infilarglielo in bocca. Ero nella mia camera, strappai un foglio da un bloc notes di scuola. Ti prego non evitarmi, poi lo riscrissi. Il pensiero che mi odi è insopportabile e lo riscrissi varie volte sino a quando tornai alla prima versione. Questo silenzio è insopportabile. Ti devo parlare. Ripiegai il foglio e lo inserii sotto la porta della camera sua. Mi resi conto che ciò che volevo era portargli non solo il profumo di Marcella ma anche quella secca sulla mano della traccia della mia vita.

A colazione quando Oscar si presentò, dopo essere andato a correre, si limitò a chiedermi se la sera prima mi ero divertito. “Insomma” risposi. “Devi essere stanco, allora” fu l’ironico contributo di mio padre. Poi cominciarono a discutere di lavoro. E lo persi! Un altro giorno di tortura. Quando tornai di sopra a prendere i miei libri, notai sulla scrivania lo stesso foglio che avevo messo sotto la porta di Oscar. Doveva essere entrato nella mia  stanza passando dal balcone. Aveva aggiunto sotto le mie parole: Cresci, ci vediamo a mezzanotte. Mi sentii all’istante colmo di desiderio e sgomento. Era ciò che volevo adesso che me lo stava offrendo? E davvero me lo stava offrendo? Lo volessi o no, dovevo pazientare sino a mezzanotte? Non mi era sfuggita la frecciatina al mio melodrammatico sentimentalismo. “Ci vediamo a mezzanotte, ostentava la sicurezza di chi vuole venire al dunque. Che fare? Dovevo aspettare. La giornata trascorse come temevo. Oscar trovò il modo di andarsene subito dopo colazione e rientrò solo dopo per pranzo e si sedette accanto a me. Dopo pranzo andai a riposarmi, sentii che mi seguiva al piano di sopra e chiudeva la porta. Più tardi telefonai a Marcella ci incontrammo sulla vecchia panchina; ascoltavamo i grilli e parlavamo. Adoravo il clima di fine agosto, la zona era più silenziosa del solito. Mi piaceva guardare in alto, verso casa nostra, vedere i balconi vuoti al sole,   tenerle la mano sulle cosce e sulle ginocchia. Ma li seduto stavo provando la gioia di essere ad un passo da ciò che ha sempre sognato. Poco dopo, portai Marcella di sopra, passando per il balcone. Chiusi le imposte ma non le finestre. Facemmo l’amore in silenzio. Speravo che lei si lasciasse sfuggire un grido in modo che Oscar si accorgesse su quanto stava succedendo al di la della sua camera. Me lo immaginai che si infastidiva sentendo cigolare le molle del letto. Mentre scendevamo alla baia, avvertii con gioia che non mi importava se ci avesse scoperti oppure se quella sera non si fosse presentato. Che cosa avevo in testa quando la mattina gli avevo infilato il biglietto sotto la porta? Era meglio scoprirlo una volta per tutte che passare il resto del’estate e forse della mia vita, a litigare con  il mio corpo. Se me lo avesse chiesto glielo avrei detto. Non sono sicuro di volerlo fare, ma ho bisogno di sapere, meglio con te che con chiunque altro. Voglio esplorare il tuo corpo, voglio sapere che sensazioni provi e attraverso te, voglio conoscere me stesso. A  cena avevamo ospiti un professore e una coppia di gay di Londra che insistevano a parlare un italiano terribile. Mio padre mi aveva raccomandato di non comportarmi male con i due accademici, dicendomi che ormai ero grande abbastanza per accettare le persone per quelle che erano. Quando annunciai che sarei andato a dormire e augurai la buonanotte ai miei genitori e agli ospiti, erano quasi le 11. Salendo le scale, cercai di immaginare quando le avrei scese l’indomani mattina. Magari sarei stato un’altra persona. Ormai ero oltre l’umiliazione. Come fai a rimetterti a dormire dopo una cosa simile. Oppure come si fa a rimettersi a dormire quando non sei più vergine? Quello era un punto di non ritorno! A mezzanotte, da camera di Oscar non si sentiva il minimo rumore. Possibile che mi avesse dato buca anche stavolta? No, sarebbe stato troppo. Uscii sul balcone e sbirciai in direzione della sua stanza. Niente luci. Avrei bussato? O potevo aspettare? O decidere di non andare? Mi resi conto che l’unica cosa che volevo nella mia vita era Oscar. Una voce misteriosa mi diceva : “Franz non ci provare! Era la voce di mio nonno che si chiamava  come me e mi parlava dal letto. “Torna indietro. Chissà cosa troverai in quella stanza. Non il tonico della scoperta. Ma il drappo funebre della disperazione. Quando il disincanto coprirà di vergogna ogni nervo del tuo corpo. Adesso i tuoi avi sono qui riuniti non hanno altro da dire che, non ci andare”. Invece a me piaceva la paura, sempre che di paura si trattasse. Era il lato nascosto della paura che adoravo: mi eccitava perché nasceva proprio dall’eccitazione. Bussai al vetro della finestra, piano. Il cuore mi batteva all’impazzata. Perché sono così spaventato? Perché paura e desiderio fanno a gara per confondersi l’uno nell’altra. Appena finito di bussare sento qualcuno muoversi nella stanza  Poi vedo accendersi una luce fioca; c’è Oscar. “Sono felice che tu sia venuto” mi disse. “Per un momento ho pensato che avessi cambiato idea”. “Cambiare idea? Io?” Ma figurati se non venivo”. Oscar era restato seduto sul letto, “Entra” mi disse” , poi chiuse la portafinestra. Rimasi pietrificato. Borbottai, “sono nervoso” “Anch’io”. “Io più di te”.Adesso ero in camera sua. Oscar era seduto a gambe incrociate. Mi sentivo come un bambino lasciato per la prima volta in classe solo con l’insegnante. “Vieni qui siediti”. Titubante mi trascinai sino al letto e mi sedetti di fronte a lui, anch’io a gambe incrociate, non avevo intenzione di sottoporre a controllo ogni mio impulso. Mi serviva un sostegno, così scivolai accanto a lui e poggiai la schiena alla testiera. Guardai il letto. Adesso mi era tutto chiaro. Avevo passato nottate intere a sognare questo momento ed era arrivato. Mi chiesi se ripensandoci avrei provato dispiacere. O vergogna, O indifferenza. “Stai bene?” Mi domandò . “Si”. Cercai di sfiorarlo con il mio piede destro. “Che stai facendo? Mi domandò. “Niente. Pian piano il suo corpo cominciò ad assecondare i miei movimenti. Mi piaceva abbracciarlo.”Sei felice in questo momento”? mi domandò. Annuii. Alla fine, come se la mia posizione lo spingesse a fare altrettanto, mi cinse con un braccio ma non mi strinse forte Senza smettere di abbracciarlo, allentai la presa un istante, il tempo sufficiente a portare entrambe le braccia sotto la sua camicia aperta. Volevo la sua pelle. “Sicuro di volerlo fare?” mi chiese. Annuii ancora. Mentivo, non ero affatto sicuro. Sollevò il mio viso con entrambe le mani. “Posso baciarti?” Non gli risposi. Entrambi sapevamo di avere già passato il limite. Eravamo solo due uomini che si baciavano, nemmeno due uomini, due esseri viventi Decisi di mettermi sotto le coperte. Mi piaceva quell’odore. Anche lui si infilò sotto le  coperte e prima che me ne accorgessi, cominciò a spogliarmi. Restai nudo, le braccia penzoloni, quasi a dire “Ecco, questo sono io, sono fatto così, dai, prendimi, sono tuo. Il mondo per me non aveva più segreti, perché voler essere a letto con lui era il mio unico segreto e adesso lo stavamo condividendo. Poi mi baciò e mi baciò ancora profondamente. A un certo punto mi resi conto che anche lui era nudo. Ne avevamo fatta di strada da quel pomeriggio in cui mi ero tolto le mutande e avevo indossato il suo costume da bagno. Adesso ero all’apice di qualcosa, ma volevo anche che questo qualcosa durasse per sempre, perché sapevo di aver raggiunto un punto di non ritorno. Quando successe non andò come avevo sognato, provai un certo disagio. Mi venne l’impulso di fermarlo e, quando se ne accorse, me lo chiese, ma non risposi, forse non sapevo cosa rispondere. Ero arrivato a qualcosa che mi era molto caro, di voler essere me stesso e nessun altro. Se ti fermi mi uccidi; era il mio modo di chiudere il cerchio tra sogno, fantasia e realtà. Mi ritrovai in una dimensione che non avevo mai condiviso con nessuno prima, né mai avrei condiviso dopo. Avevamo  fatto rumore? Mi sorrise. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Penso addirittura di avere singhiozzato, ma non ne ero sicuro. Oscar prese la sua camicia e mi ripulì. Questa camicia la indossavi il giorno in cui sei arrivato, ha più lei di te che non io.  Ne dubito rispose. Non voleva ancora lasciarmi andare, ma quando i nostri corpi si separarono, strani pensieri da un tempo remoto, affioravano alla mia mente, eppure non era passata che un’ora e mezza. Mi svegliai prima di realizzare che mi ero appisolato, un senso di terrore e di angoscia che non riuscivo nemmeno lontanamente a comprendere. Mi sentivo nauseato, come se fossi stato male e mi servissero molte docce per lavar via tutto quanto. Dovevo allontanarmi da lui, da questa stanza, da ciò che avevamo fatto. Era come se lentamente mi stessi riprendendo dopo un terribile incubo. Non potevo continuare ad aggrapparmi a quell’incubo, un ammasso gigantesco e amorfo che avvertivo come la più grande nube di disprezzo e rimorso che fosse passata sulla mia vita. Non sarei mai più stato lo stesso. Gli avevo permesso di farmi quelle cose, anzi avevo partecipato con gusto, l’avevo incitato, e poi l’avevo aspettato supplicandolo; avevo oltrepassato un confine terribile. O forse avevo offeso qualcosa di ancora più profondo? Si, ma cosa? L’avevo sempre provato questo disprezzo, benché camuffato, e avevo avuto bisogno di una notte come questa perché venisse fuori? Perché Oscar mi stava fissando? Aveva indovinato ciò che provavo?“Non sei felice” mi disse. Alzai le spalle. Non era lui che odiavo, ma quello che avevamo fatto. Piuttosto volevo liberarmi dal disprezzo verso me stesso. “Non ti è piaciuto vero? Lo sapevo che non avremmo dovuto. Lo sapevo ripeté” “avremmo dovuto parlarne” “Forse”.”Ti ha fatto tanto schifo?” No, non mi ha fatto schifo per niente. Ma ciò che provavo era peggio dello schifo. Non volevo ricordare, non volevo pensarci. Cancellalo come se non fosse mai successo. Avevo provato, ma non faceva per me. “Se vuoi puoi andare a dormire” mi disse mentre continuavo a ripetere tra me Se solo sapesse… Se solo sapesse che vorrei essere lontano da lui mille chilometri, una vita intera. Lo abbracciai. Chiusi gli occhi. “Mi stai guardando” gli chiesi. Mi piaceva tenere gli occhi chiusi mentre mi guardava.

Se volevo stare meglio e dimenticare, dovevo tenerlo il più possibile alla larga, ma se per caso questa storia avesse preso una brutta piega e non ci fosse stato nessun altro a cui appoggiarsi avevo bisogno che lui mi stesse vicino. Contemporaneamente. Un’altra parte di me era contenta di essersi buttata tutto quanto alle spalle. Adesso Oscar era fuori della mia vita. Avrebbe capito? E mi avrebbe perdonato? O forse era l’ennesimo trucchetto con cui cercavo di placare un altro accesso di disprezzo e vergogna?

Di prima mattina ansammo a farci una nuotata. Sentivo che sarebbe stata l’ultima volta che avremmo trascorso del tempo insieme così. Adesso camminava immerso nell’acqua sin quasi alle ginocchia con indosso la camicia. Sapevo cosa stava facendo. Se mamma avesse fatto domande, le avrebbe risposto che si era bagnata accidentalmente.

Insieme nuotammo sino al grosso scoglio. Volevo pensare che ero felice di stare con lui. Avevo voluto che il mare lavasse via il sudiciume che avevo sul petto.

Ci sedemmo su uno scoglio a parlare. Perché non l’avevamo mai fatto? Se fossimo riusciti a instaurare questo genere di amicizia, settimane prima, l’avrei desiderato meno disperatamente. Forse avremmo potuto evitare di andare a letto insieme. Volevo dirgli che avevo fatto l’amore con Marcella l’altra notte a meno di duecento metri da dove eravamo adesso. Ma non lo dissi. Invece parlammo d’altro.

Durante quella fase esaltante in cui sentivo che con lui era finita, provando anche un po’ di delusione perché mi ero risvegliato con tanta facilità da un incantesimo durato settimane, mi interruppe “Stai bene?”  “Si tutto a posto risposi”. Poi con un certo sorriso imbarazzato, aggiunse: “Stai bene dappertutto?” Abbozzai a mia volta un sorriso. “Cioe?” “Ho capito a cosa ti riferivi”. “Mi duole” “Ma ti ha dato fastidio quando…” Mi voltai, “Dobbiamo proprio parlarne?” Gli domandai. “Se non vuoi, no”. Sapevo che voleva tornare a parlare del momento  in cui gli avevo chiesto di fermarsi. Avrei voluto che non lo avessimo fatto…Perfino il suo corpo mi lasciava indifferente. Guardavo quel corpo come si guardano vecchie camicie e pantaloni da riporre negli scatoloni da buttare via. Avevo risposto troppo in fretta per addolcire l’ambiguità del mio no. Si era vendicato perché avevo ipotizzato che tra noi fosse tutto finito?

Quando scese per colazione, Oscar indossava il mio costume da bagno. Era la prima volta che lo faceva, e poi era lo stesso che avevo all’alba, quando eravamo andati a nuotare insieme. Vederlo coi miei vestiti era eccitante, al limite della sopportazione. E lui lo sapeva. Non mi permetteva di dimenticarlo.

Quella mattina indossava ancora il mio costume da bagno e aveva i pantaloni corti poggiati sulla spalla. Voleva andare al centro da solo. Prese la bicicletta  per arrivare su al viale. Nessuno si era mai messo i miei vestiti. Forse cercare significati fisici e metaforici è una maniera maldestra per capire cosa succede quando due esseri umani hanno bisogno non solo di stare insieme, ma di diventare così totalmente duttili che ognuno si trasforma nell’altro. Essere ciò che sono grazie a te, Essere ciò che era grazie a me. Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso. Mi venne voglia di rimandare ciò che avrei dovuto fare quel giorno  e correre da lui. Mi inerpicai lungo la ripida salita più veloce che potei. Stava parcheggiando la bicicletta. “Dovevo vederti” gli dissi. “Perché qualcosa non va?”  “Dovevo vederti e basta”, “Non ti sei ancora stufato di me?” “Volevo solo stare con te” dissi. “Se vuoi me ne vado subito” aggiunsi. Lui rimase immobile, abbassò la mano con il fascio di lettere da spedire, scosse la testa “Hai idea di quanto sono felice che siamo stati a letto insieme?” Io mi strinsi nelle spalle. Per la prima volta scorsi un altro Oscar. “Per te, comunque la pensi, è pur sempre un gioco, un divertimento. Per me è diverso, è una cosa che non ho ancora capito bene, e questo mi spaventa”. “Ti dispiace che sia venuto? “ Facevo il finto tonto di proposito? “Se potessi ti abbraccerei e ti bacerei”. “Anch’io”. Mi avvicinai al suo orecchio e gli sussurrai: “Prendimi Oscar”. Sentivo che mi stavo eccitando. Poi, per stuzzicarlo con le sue parole che aveva detto qualche ora prima, aggiunsi; “Ce lo teniamo per dopo”. Oliver rise e disse “Dopo!”

Mi avviai per la discesa; non ero mai stato tanto felice in vita mia. Oscar lo desideravo, ma potevo anche vivere senza di lui.

Lungo il tragitto, mi fermai a casa di Marcella. Stava andando in spiaggia. Mi unii a lei, scendemmo agli scogli insieme e ci sdraiammo al sole. Mi piaceva il suo odore e la sua bocca. Si levò il pezzo di sopra del bikini e mi chiese di spalmarle la crema  sulla schiena. La sua famiglia possedeva un capanno col tetto di paglia, mi disse che potevamo andare lì. Chiusi la porta, la feci sedere sul tavolo , le tolsi il costume da bagno e la baciai dove sapeva di mare. Che strano pensai, ognuno dei due offusca e mette in ombra l’altro, senza però annullarlo. Nemmeno mezz’ora fa chiedevo a Oscar di prendermi e adesso stavo per fare l’amore con Marcella, eppure non c’entravano niente l’una con l’altro, l’unico legame era Franz, che solo per caso, era sempre la stessa persona.

Dopo pranzo Oscar disse che doveva tornare da una traduttrice. Lanciò un’occhiata nella mia direzione ma, vedendo che non reagivo, se ne andò. Non vedevo l’ora di andare a stendermi. Presi due grosse pesche dal vassoio e mi avviai di sopra. Nella stanza buia, depositai la frutta sul tavolo di marmo. Poi mi spogliai completamente; Ora che il sonno incombeva ero felice di essere da solo?”Desideravo che lui o Marcella passassero sul balcone accanto e vedessero il mio corpo nudo. Volevo solo che qualcuno mi notasse. Poi stava a lui o a lei decidere cosa fare. Avrei fatto posto e avremmo dormito insieme. Mi alzai, presi una pesca, era morbida e soda, quando riuscii a dividerla in due, tolsi il nocciolo e notai che l’interno arrossato mi ricordava non solo un ano, ma anche una vagina. Il solo pensiero rivolto ai due sessi, mi fece sorridere e mi portò vicino all’orgasmo. Che follia. Non volli fermarmi e mentre addentavo metà della  pesca che mi sgocciolava sul torace, poggiai l’altra metà sul mio torace. I due liquidi si mescolarono e posai la restante parte sul tavolo di marmo. Mi asciugai alla meglio ed infilai una canottiera, ma per il resto decisi di restare nudo e mi infilai sotto le lenzuola. Mi svegliai sentendo qualcuno entrare in camera. Sapevo che era Oscar e con gli occhi ancora chiusi alzai un braccio verso di lui, che lo strinse e lo baciò, poi sollevò il lenzuolo e sembrò sorpreso di vedermi nudo. Portò subito le labbra sul mio torace. Gli piaceva quel gusto appiccicoso. Gli dissi del misfatto e gli indicai la restante pesca sul marmo. Mi chiese se l’avevo lasciata lì per lui. Forse si, oppure non avevo ancora pensato come sbarazzarmene? Annuii malizioso, fingendo di vergognarmene. Intinse un dito nel cuore della metà pesca e lo portò alla bocca. “No ti prego” Era più di quanto potessi sopportare. “Mi sento malissimo all’idea”. Rispose al mio commento alzando le spalle. Lo guardai mettersela in bocca e pian piano mangiarla, fissandomi intensamente. “Se vuoi sputarlo, non importa, prometto di non offendermi”, dissi. Lui scosse la testa. Mentre continuavo a fissarlo provai un feroce bisogno di piangere. Mi avvicinai e soffocai i singhiozzi sulla sua spalla. Piangevo perché nessuno sconosciuto era mai stato così gentile con me o arrivato a tanto. Piangevo perché non avevo provato mai tanta gratitudine e non c’era altro modo di dimostrarla. Piangevo anche per la notte prima, perché nel bene e nel male, non avrei mai potuto cancellarla. Ormai ci eravamo buttati in questa storia e adesso era troppo tardi per tirarsi indietro.

Gli accarezzai  il viso col palmo della mano. “Baciami adesso prima che sia troppo tardi”gli dissi. La sua bocca doveva sapere di pesca e di me.

Dopo che Oscar se ne fu andato, rimasi a lungo in camera mia. Quando mi svegliai, era quasi sera, e ciò mi mise di cattivo umore.

Avrei sempre sperimentato la stessa colpa solitaria dopo ogni momento inebriante vissuto con lui? Perché dopo Marcella non mi capitava la stessa cosa? Era il modo in cui la natura mi ricordava che in realtà preferivo stare con lei?

Mi feci una doccia e indossai vestiti puliti. Al piano di sotto, stavano prendendo l’aperitivo. “Ti fermi a cena?” Mi chiese mia madre? “No mi vedo con Marcella” Mia madre mi lanciò uno sguardo preoccupato. “E lascialo in pace, ribatté mio padre, lasciagli fare come vuole,. Come vuole, capito?”

Se solo avesse saputo. E se avesse saputo? Mio padre non avrebbe avuto nulla da obiettare. Si, forse avrebbe storto un po’ il naso, poi si sarebbe trattenuto.

Non mi viene proprio in mente di nascondere a Oscar ciò che facevo con Marcella. Panettieri e Macellai non si fanno si fanno concorrenza tra loro, pensai.

Quella sera io e Marcella andammo al cinema. Mangiammo un gelato, poi andammo a casa dei suoi. “Voglio tornare in libreria” mi disse. “Perché?” Voleva rivivere la sera prima. Mi baciò.

Quando rincasai, gli ospiti erano andati via e Oscar non c’era. Andai in camera mia e, in mancanza d’altro aprii il diario. Ecco cosa avevo scritto la sera prima. “Ci vediamo a mezzanotte” Vedrai non verrà. Dai nervosi scarabocchi che avevo tracciato attorno a queste parole prima di andare in camera sua, cercavo di recuperare il ricordo dell’agitazione della notte prima. Ma non riuscivo nemmeno a ricordarmela, l’angoscia vissuta la notte precedente. Era completamente offuscata da  ciò che era accaduto dopo. Tutto di quella notte era svanito. Non ricordavo nulla. Ciò che provavo quella sera era diverso da qualsiasi altra cosa avessi mai provato in vita mia. Era molto peggio. Non sapevo nemmeno come definire quella agitazione. Avevo compiuto un passo da gigante. E perché allora mi importava dove fosse Oscar? Perché mi sentivo tanto sconvolto per il fatto che non c’era o che mi sfuggiva sempre? Perché avevo la sensazione di essere perennemente ad aspettarlo…aspettarlo? aspettarlo? E perché questa attesa somigliava a una tortura? Se non si presenta entro dieci minuti, faccio qualcosa. Dieci minuti dopo, in preda alla disperazione, mi infilai un maglia e scesi. Più giù lungo la riva rocciosa, al chiaro di luna, lo vidi. Era seduto su uno degli scogli con un maglione indosso. Non stava facendo nulla, si abbracciava le ginocchia, ascoltando le onde. A guardarlo dalla balaustra, provai una gran tenerezza. Era la persona migliore che avessi mai conosciuta in vita mia. Avevo scelto bene. Scesi e lo raggiunsi. “Ti stavo aspettando” gli dissi. “Credevo fossi andato a dormire, Pensavo anche che non avessi voglia”:”No, Ti aspettavo”. “Ho solo spento la luce”. Mi chinai e lo baciai sul collo. Era la prima volta che lo baciavo con affetto, non solo con desiderio. “Che stavi facendo” gli chiesi. “Pensavo”. “A cosa”, “A tante cose. Al ritorno in Inghilterra, ai corsi che terrò in autunno, a te”. “A me? A nessun’altro? “A nessun altro, mi siedo qui tutte le sere. A volte ci resto per ore” “Tutto solo?”, Annuì.  “Forse è questo posto la cosa che mi mancherà più di tutte. Sono stato felice qui”. Sembrava un preludio a un addio. “pensavo che tra due settimane sarò di nuovo alla Birmingham University. “Questo significa che tra dieci giorni, quando guarderò qui tu non ci sarai. Non so cosa farò” Mi strinse la spalla, avvicinandomi a se. “Starai bene, vedrai”. “Forse. Ma forse no. Abbiamo sprecato un sacco di giorni… settimane”. “Sprecato, dici? Non lo so forse avevamo bisogno di tempo per capire se era quello che volevamo”. “Lo sai cosa stavamo facendo esattamente la notte scorsa? Sorrise “ripensandoci non so come mi sento” “Neanch’io lo so. “Ma sono felice che l’abbiamo fatto”. Gli infilai una mano sotto la camicia. “Adoro stare qui con te”. Era il mio modo di dirgli: Anch’io sono stato felice.

L’indomani mattina andammo a nuotare insieme. “Come stai? “ gli chiesi. “Dovresti saperlo”.

A colazione, mi ritrovai ad aprirgli il guscio dell’uovo alla coque, Non l’avevo mai fatto a nessuno. Notai che mentre finivo di sgusciargli la punta del secondo uovo, mio padre mi fissava. “Gli inglesi non imparano mai” gli dissi. “Io sono sicuro che hanno i loro metodi” mi rispose. Il piede che venne a posarsi sul mio, sotto al tavolo, mi suggerì che forse era il caso di lasciar stare, perché forse mio padre aveva subodorato qualcosa. “Non è uno stupido” mi disse Oscar più tardi preparandosi per andare alla posta. “Vuoi che ti accompagni?” “No meglio non dare nell’occhio. “Oggi, Dopo” .

Marcella mi telefonò proprio mentre Oscar stava per uscire. Fu lui a passarmi la cornetta, facendomi l’occhiolino. Non c’era traccia di ironia. Tra di noi c’era la totale trasparenza che può esserci solo tra amici. Forse eravamo prima amici e poi amanti.

Quando ripenso agli ultimi dieci giorni insieme, vedo una nuotata di prima mattina, le nostre pigre colazioni, i pranzi, le pennichelle pomeridiane, i dopocena in piazzetta e notti di sesso di quelle in cui il tempo si dilata all’infinito.

“Quando hai capito cosa provavo”Gli chiesi. “Quella volta in cui sei arrossito” rispose. “Io?” Stavamo parlando di traduzioni poetiche, Era la prima settimana che stava con noi. Poi all’improvviso era calato un attimo di silenzio, e alzando lo sguardo avevo visto che mi stava fissando con quei suoi occhi gelidi, che mi lasciavano sconcertato. Quello sguardo non era più  legato alla conversazione, i suoi occhi brillavano tanto che avevo dovuto distogliere i miei. Lui sapeva esattamente cosa provavo. Per settimane avevo frainteso il suo il suo sguardo, interpretandolo come aperta ostilità. Mi sbagliavo di grosso.

Mio padre era l’unico che ci aveva visto giusto sin dall’inizio, riguardo a Oscar.

“E’ così lo sapevi già da allora? Diciamo che ne era abbastanza sicuro”. Perché non mi hai mandato dei segnali?” “L’ho fatto, almeno ci ho provato”. Ti ho toccato,. Volevo farti capire che mi piacevi. Da come hai reagito ho avuto l’impressione di averti infastidito. Così ho deciso di tenere le distanze”.

Il momento più bello per noi era il pomeriggio. Dopo pranzo,. A Oscar piaceva tenere le imposte spalancate mentre eravamo distesi nudi sul mio letto, la fragranza del suo sudore, che era quella del mio sudore, e accanto a me il,mio uomo-donna di cui io ero l’uomo-donna, e tutt’intorno il profumo del torrido mondo pomeridiano di casa nostra. Ripenso a quei giorni e non rimpiango nulla, nemmeno i rischi, la vergogna, la nostra totale mancanza di accortezza. Sapevo che avevamo i minuti contati, ma non osavo contarli, e sapevo anche dove saremmo andati a finire.

Un mattino mi svegliai e vidi la città sommersa di nubi scure e basse che sfrecciavano nel cielo, sapevo che l’autunno era dietro l’angolo.

Oscar sarebbe ripartito per l’Inghilterra  la penultima settimana di settembre. All’inizio del mese disse che voleva passare tre giorni a Roma e ripartire poi da questa  città. Mi chiese se volevo andare con lui, ma avrei dovuto chiedere prima ai miei genitori e preferimmo evitare. Avrei atteso Oscar qui.

Oscar era partito per Roma. Dopo cena, vidi mio padre seduto al suo tavolo della colazione. Beveva camomilla, come sempre:scesi e lo raggiunsi. Era il momento della giornata in cui di solito stavamo un po’ insieme, ma nell’ultimo mese l’avevo trascurato. Buttò da parte il manoscritto che aveva nelle mani. In me cominciò ad insinuarsi il sospetto che, forse inconsciamente volesse andare a parare da qualche parte.  Me ne accorsi perché girava intorno all’argomento e faceva domande. “E allora” disse,   “ Tra te e Oscar è nata una bella amicizia?”. Non mi aspettavo questa domanda. “Si” risposi cercando di lasciare il mio si sospeso a mezz’aria, Ma al tempo stesso speravo che approfittasse dell’opportunità di quel Si.  “Sei troppo sveglio per non capire che fra di voi c’è stato qualcosa di raro e speciale. “Oscar è Oscar”, dissi. “Oscar sa essere molto intelligente”, cominciai. “Intelligente? E’ molto più che intelligente. Quello che c’è stato tra voi c’entra e non c’entra con l’intelligenza. Lui è una persona buona, avete avuto fortuna a trovarvi, perché anche tu sei una persona buona”. Mio padre non aveva mai parlato in questi termini. Lo trovai disarmante. “Io credo che lui sia migliore di me, papà”” “Sono certo che direbbe la stessa cosa di te. Ti aspettano giorni durissimi, continuò”. Parlare in astratto era l’unico modo di dirgli la verità. “Non preoccuparti. Il momento arriverà. Almeno lo spero. E quando meno te lo aspetti. La natura è molto astuta , sa sempre scovare i nostri punti deboli. Ricordati una cosa: io sono qui. Adesso magari non vuoi proprio niente. Forse non hai ma desiderato provare qualcosa. E forse non è con me che vorrai parlarne di queste cose. Ma certo qualcosa hai provato”. Era il momento di mentire e dirgli che era fuori strada. Stavo per farlo.  “Senti” mi interruppe, “tra voi c’è una bella amicizia. Forse anche qualcosa in più. E io ti invidio. Al posto mio, la maggior parte dei genitori spererebbe che tutto si dissolva, o pregherebbe che il figlio ne esca indenne. Ma io non sono così. Al posto tuo, se il dolore c’è lo farei sfogare, e se la fiamma è accesa, non la spegnerei, cercherei di non essere troppo duro. Chiudersi in se stesso può essere una cosa terribile quando ci tiene svegli tutta la notte”.  Ero ammutolito.  “Ho parlato a vanvera?” mi domandò. Scossi la testa. “Allora lascia che ti dica un’ultima cosa. Servirà ad allentare la tensione. Magari ci sono andato vicino, ma non ho mai avuto ciò che hai avuto tu. C’era sempre qualcosa che mi tratteneva o mi ostacolava . Come vivi la tua vita sono affari tuoi. Ma ricordati che cuore e corpo ci vengono dati una volta sola. La maggior parte di noi non riesce a fare a meno di vivere come se avesse a disposizione due vite, la versione temporanea e quella definitiva, più tutte quelle che stanno di mezzo. Invece di vita ce n’è una sola, e prima che tu te ne accorga ti ritrovi col cuore esausto e arriva un momento in cui nessuno lo guarda più, il tuo corpo, ne tantomeno vuole avvicinarglisi. Adesso soffri. Non invidio il dolore in sé. Ma te lo invidio, questo dolore”. Prese fiato. “ “Magari non torneremo mai più sull’argomento. Ma spero che non me ne vorrai per averlo tirato fuori. Sarò stato un padre terribile se, un giorno, tu dovessi pensare che volevi parlare con me e ti è sembrato di trovare la porta chiusa.” Volevo domandargli come faceva a saperlo. Ma del resto come poteva non accorgersene? “La mamma lo sa?”gli domandai. “Non credo”. Ci scambiammo la buona notte. Mentre salivo le scale, mi ripromisi di chiedergli della sua vita. Sapevamo tutti che da giovane era stato un donnaiolo, ma non avevo avuto sentore che ci fosse dell’altro..

Mio padre era un’altra persona? E se lui era un’altra persona, io chi ero?

Quando Oscar tornò da Roma  per lo più stava coi miei genitori. Cominciavo a temere che eravamo regrediti ai primi giorni quando ci scambiavamo i complimenti sulla terrazza. Era colpa mia se la nostra amicizia aveva preso questa piega? I miei genitori gli avevano detto qualcosa?  Una sera fece una lunga passeggiata con mio padre. Con ogni probabilità avevano parlato di me, o dei miei progetti universitari o dell’estate passata con noi. Quando tornarono, sentii qualcuno ridere e mia madre che gli dava un bacio. Un attimo dopo qualcuno bussò alla mia stanza. Era Oscar, e sembrava pronto per uscire a fare due passi. Si sedette sul letto, imbarazzato disse: “Lo sai, forse in primavera mi sposo”. Ero sbalordito. “Ma non hai mai detto niente” “Bè, ormai la cosa va avanti da più di due anni a fasi alterne. “ E’ una notizia stupenda” dissi. Anche se un attimo dopo mi resi conto che ciò non comportava nulla di buono per noi. Ero dispiaciuto?  Mi domandò. “Non essere sciocco dissi. “Adesso vieni a letto?”  Gli chiesi. Mi guardò. “Solo un momento. Ma non voglio fare niente”. Era sdraiato accanto a me sul copertino. Indossava la camicia e si era tolto solo il gilettino di filo e i mocassini. “Quanto credi che andremo avanti così?”Mi domandò sarcastico. Non troppo spero”.. Mi baciò sulla bocca, ma non era lo stesso bacio. Stavo per uscire da sotto il copertino. “Non posso” mi disse. E si allontanò di scatto. “Io si” replicai. “Ma io no” “Non c’è niente che mi piacerebbe fare di più che spogliarti e come minimo abbracciarti. Ma non posso”. Gli misi le braccia intorno alla testa e la tenni stretta a me. “Allora forse non dovresti restare qui. Sanno di noi” “L’avevo capito”, rispose. “E come?” “Dal  modo in cui parlava tuo padre. Sei fortunato. Il mio mi avrebbe spedito in un centro di recupero”. Lo guardai. “Voglio un altro bacio”.

L’indomani mattina le cose tra noi si raffreddarono ufficialmente e accadde un fatto. Eravamo seduti in salotto dopo pranzo, mio padre tirò fuori un grosso raccoglitore in cui erano conservati i moduli di richiesta accompagnati ciascuno da una foto formato tessere. I candidati per l’estate successiva. Mio padre voleva l’opinione di Oscar. Poi passò il raccoglitore a mia madre e a me. “Il mio successore”disse Oscar, scegliendo un modulo tra gli altri e facendolo circolare. Istintivamente mio padre mi lanciò un’occhiata  e distolse subito lo sguardo. “E’ così che sono stato scelto io?” Domandò Oscar in modo ansioso.

Più tardi, mentre lo aiutavo a caricare le sue cose in macchina, gli dissi “ “Ho voluto io che fossi tu”Ho fatto in modo che scegliessero te”.

Adesso mi chiedo: Chi sarà quest’altra persona? E più felice?

Stamattina  presto mi sembra lontana anni luce . “Sono come te, mi ricordo tutto”disse Oscar.. “E se  sei davvero come me, allora prima di chiudere la portiera dell’auto che ti porterà all’aeroporto, dopo che hai salutato gli altri e non c’è più nulla da dire in questa storia, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto quella sera, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo e pronuncia il mio nome.”>