
Le Quattro giornate di Napoli (27–30 settembre1943) furono un episodio storico di insurrezione popolare avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale tramite il quale, i civili, con l’apporto di militari fedeli al cosiddetto Regno del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall’occupazione delle forze armate tedesche, coadiuvate da gruppi di fascisti italiani.
L’avvenimento, che valse alla città di Napoli il conferimento della medaglia d’oro al valor militare, consentì alle forze alleate di trovare al loro arrivo, il 1º ottobre1943, una città già libera dall’occupazione nazista, grazie al coraggio e all’eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati ed allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima, tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l’occupazione nazista.
Per tutto il primo quadriennio di guerra 1940–1943, Napoli fu sottoposta a durissimi bombardamenti da parte delle forze alleate, che causarono ingenti perdite in termini di vite umane anche tra la popolazione civile. Si calcola che oltre 25.000 furono le vittime di questi attacchi indiscriminati alla città, per non menzionare i danni ingentissimi al patrimonio artistico e culturale (il 4 dicembre1942 fu semi-distrutta la Basilica di Santa Chiara, mentre solo nel bombardamento del 4 agosto1943 perirono oltre 3.000 persone; circa 600 morti e 3.000 feriti si ebbero invece per lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, il 28 marzo1943).
Con l’avanzata degli alleati nell’Italia meridionale, gli esponenti dell’antifascismo partenopeo (tra cui Fausto Nicolini e Adolfo Omodeo), iniziarono a stabilire più stretti contatti con i comandi alleati richiedendo la liberazione della città.
A partire dall’8 settembre1943, giorno dell’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile con la lettura alla radio da parte del Maresciallo d’ItaliaPietro Badoglio del suo famoso “proclama“, le forze armate italiane, come in tutto il paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli.
In città la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20.000 tedeschi a fronte di soli 5.000 italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe, incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche.
In particolare ci fu la fuga, in abiti borghesi, dei GeneraliRiccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, cui era affidata la responsabilità militare della provincia di Napoli. Gli ultimi atti di Ettore Del Tetto furono proprio la consegna della città all’esercito tedesco e la stesura di un manifesto che, vietando gli assembramenti, autorizzava i militi a sparare sulla folla in caso di inadempienza.
Sporadici ma cruenti tentativi di resistenza si ebbero tuttavia alla Caserma Zanzur, alla Caserma deiCarabinieriPastrengo ed al 21º Centro di Avvistamento di Castel dell’Ovo.
Sin dai giorni immediatamente seguenti l’Armistizio di Cassibile, in città si andarono intensificando gli episodi di intolleranza e di resistenza verso l’occupante nazista e le azioni armate, più o meno organizzate, fecero seguito alle manifestazioni studentesche del 1 settembre1943 in piazza del Plebiscito ed alle prime assemblee nel Liceo Classico Sannazaro al Vomero.
Il 9 settembre verso le ore 16, in via Foria soldati e agenti di pubblica sicurezza catturarono una ventina di soldati tedeschi a bordo di autoblindo. Nazisti e autoblindo saranno liberati più tardi, per ordine del comando militare italiano. Gli agenti di pubblica sicurezza verranno addirittura legati alle colonne della caserma Bianchini per punizione.
Il 9 settembre1943 alcuni cittadini si scontrarono con le truppe tedesche al Palazzo dei Telefoni, mettendole in fuga, e in via Santa Brigida. Quest’ultimo episodio vide coinvolto un carabiniere che fu costretto a sparare per difendere un negozio dal tentato saccheggio da parte di alcuni soldati.
Il 10 settembre1943, tra piazza del Plebiscito e i giardini sottostanti, avvenne il primo scontro cruento, con i napoletani che riuscirono ad impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi; nei combattimenti morirono 3 marinai e 3 soldati tedeschi. Gli occupanti ottennero la liberazione di alcuni uomini fatti prigionieri dagli insorti anche grazie all’ingiunzione di un ufficiale italiano che intimò ai suoi compatrioti la riconsegna degli ostaggi e di tutte le armi. La rappresaglia per gli scontri di piazza del Plebiscito non tardò ad arrivare: i nazisti, infatti, appiccarono un incendio alla Biblioteca Nazionale ed aprirono il fuoco sulla folla intervenuta.
Il 12 settembre1943 furono uccisi decine di militari per le strade della città, mentre circa 4.000 persone tra militari e civili furono deportate per il “lavoro obbligatorio”.
Lo stesso giorno, il colonnelloWalter Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti in città, (con il documento qui allegato in foto) proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d’assedio con l’ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso.
Seguì altro proclama, apparso sui muri della città, la mattina di lunedì 13 settembre:
Dopo la fucilazione di 8 prigionieri di guerra avvenuta in via Cesario Console e gli spari di un carro armato contro gli studenti (che stavano iniziando a riunirsi nella vicina Università) e contro alcuni marinai italiani davanti al palazzo della Borsa, vi fu un episodio che scosse particolarmente il sentimento popolare.
Sulle scale della sede centrale dell’Università avvenne l’esecuzione di un giovane marinaio, cui migliaia di cittadini furono costretti ad assistere dalle truppe tedesche che a forza li condussero sul Rettifilo, la strada antistante il luogo della fucilazione.
500 persone, lo stesso giorno furono parimenti condotte con la forza a Teverola, nel Casertano, e costrette ad assistere alla fucilazione di 14 carabinieri, “rei” di aver resistito con le armi prima di arrendersi all’occupante nazista.
Ormai la rabbia e l’esasperazione dei napoletani, in seguito alle esecuzioni indiscriminate, ai saccheggi, ai rastrellamenti della popolazione civile, alla miseria e alle distruzioni della guerra che mettevano in ginocchio la città intera, stava montando spontanea, priva di un fattore esterno organizzativo che non fosse altro che il desiderio di liberarsi dell’invasore tedesco.
Si cominciò a pensare all’approvvigionamento delle armi: il 22 settembre gli abitanti del Vomero riuscirono ad impadronirsi di quelle che erano appartenute alla 107ª Batteria; il 25 settembre 250 moschetti furono prelevati da una scuola; il 27 settembre caddero nelle mani degli insorti alcuni depositi di armi e munizioni.
Il 23 settembre intanto, una nuova misura repressiva adottata dal colonnello Walter Schöll prevedeva lo sgombero (entro le ore 20 dello stesso giorno) di tutta la fascia costiera cittadina sino ad una distanza di 300 metri dal mare; in pratica circa 240.000 cittadini furono costretti ad abbandonare in poche ore le proprie case per consentire la creazione di una “zona militare di sicurezza” che sembrava preludere alla distruzione del porto.
Quasi contemporaneamente, un manifesto del prefetto intimava la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio per tutti i maschi di età compresa fra i diciotto e i trentatré anni, in pratica una deportazione forzata nei campi di lavoro in Germania.
Il risultato sperato dai nazisti non fu però ottenuto e alla chiamata risposero soltanto 150 napoletani sui previsti 30.000, il che determinò Walter Schöll a decidere di inviare ronde militari per la città per i rastrellamenti e la fucilazione immediata degli inadempienti. Fu affisso in città un nuovo proclama del Comando Militare Germanico.
L’insurrezione popolare fu allora inevitabile, i cittadini furono chiamati a scegliere tra la sopravvivenza e la morte o la deportazione forzata in Germania ed ormai, spontaneamente in ogni punto della città, persone di ogni ceto sociale e di ogni occupazione, andavano riversandosi nelle strade per organizzarsi ed imbracciare le armi. Si unirono a loro anche molti dei soldati italiani che solo pochi giorni prima si erano dovuti dare alla macchia. Già dal 26 settembre una folla disarmata e urlante si scatenò contro i rastrellamenti nazisti, liberando i giovani destinati alla deportazione.
27 settembre
Il 27 settembre, dopo un’ampia retata dei tedeschi che catturarono in vari punti della città circa 8.000 uomini, 400, forse 500 uomini armati aprirono i combattimenti.
Una delle prime scintille della lotta scoppiò al quartiere Vomero dove, in località Pagliarone, un gruppo di persone armate fermò un’automobile tedesca uccidendo il maresciallo che era alla guida.
Durante l’intera giornata, aspri combattimenti si susseguirono in diverse zone della città tra gli insorti e i soldati tedeschi che ormai stavano per iniziare le operazioni di sgombero, anche per le notizie (poi rivelatesi false) riguardo ad un imminente sbarco alleato a Bagnoli.
Un tenente del regio esercito italiano, Enzo Stimolo, dopo essersi posto a capo di un gruppo di 200 insorti, si distinse particolarmente nell’operazione di assalto all’armeria del Castel Sant’Elmo, che cadde soltanto in serata, non senza spargimento di sangue; i tedeschi infatti, asserragliati, tra l’altro sia all’interno dellaVilla Floridiana sia al Campo Sportivo del Littorio (nel cuore del Vomero), intervennero in forze a dar battaglia.
Un gruppo di cittadini si diresse nelle stesse ore verso il Bosco di Capodimonte dove, secondo alcune voci che giravano in città, i tedeschi stavano conducendo a morte alcuni prigionieri. Fu messo a punto un piano per impedire ad un gruppo di guastatori tedeschi di minare il Ponte della Sanità per l’interruzione dei collegamenti con il centro della città, cosa che fu realizzata con successo il giorno successivo ad opera di un drappello di marinai.
In serata, venivano assaltati e depredati i depositi d’armi delle caserme di via Foria e di via San Giovanni a Carbonara.
28 settembre
Il 28 settembre, andando ad aumentare con il passare delle ore il numero dei cittadini napoletani che si univano ai primi combattenti, gli scontri si intensificarono; nel quartiere Materdei una pattuglia tedesca, rifugiatasi in un’abitazione civile, fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all’arrivo dei rinforzi: alla fine 3 Napoletani persero la vita.
A Porta Capuana un gruppo di 40 uomini si insediò, con fucili e mitragliatori, in una sorta di posto di blocco, uccidendo 6 soldati nemici e catturandone altri 4, mentre combattimenti si avviarono in altri punti della città come al Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto.
I tedeschi procedettero ad altre retate, questa volta al Vomero, ammassando numerosi prigionieri all’interno del Campo Sportivo del Littorio, cosa che scatenò la reazione degli uomini di Enzo Stimolo, che diedero l’assalto al campo sportivo, determinando, dopo aver dovuto fronteggiare un’iniziale reazione armata, la liberazione dei prigionieri, il giorno successivo.
29 settembre
Al terzo giorno di feroci scontri per le vie di Napoli, l’organizzazione dell’insurrezione rimaneva ancora lasciata ai singoli capipopolo di quartiere, mancando del tutto i contatti con le forze strutturate dell’antifascismo come il Fronte Nazionale (diretta emanazione del CLN).
Andavano intanto emergendo figure locali che assunsero il comando delle operazioni nei vari quartieri della città, come il Prof.Antonio Tarsia in Curia (Vomero), il T.Col. Ermete Bonomi (Materdei), il Cap. Carmine Musella (Avvocata), Carlo Bianco, Med.Aurelio Spoto (Capodimonte), il Cap. Med. Stefano Fadda (Chiaia), il Cap. Med. Francesco Cibarelli, Amedeo Manzo, Francesco Bilardo (Duomo), Gennaro Zenga (Corso Garibaldi), il Magg. Francesco Amicarelli (Piazza Mazzini), il Cap. Mario Orbitello (Montecalvario), il Magg. Salvatore Amato (Museo), il Ten. Alberto Agresti (Via Caracciolo, Posillipo), Raffaele Viglione (Via Sant’Anastasio) e l’Imp. Tito Murolo (Vasto); mentre tra i giovani si distinse Adolfo Pansini, studente del liceo vomerese Sannazaro.
Nella Piazza Giuseppe Mazzini, presso l’edificio Scolastico “Vincenzo Cuoco“, i tedeschi attaccarono in forze con i carri armati (i Panzer “Tigre”) e non più di 50 ribelli tentarono strenuamente di opporsi ma dovettero subire il pesante bilancio di 12 morti e più di 15 feriti.
Anche il quartiere operaio di Ponticelli subì un pesante cannoneggiamento, in seguito al quale le truppe tedesche procedettero ad eccidi indiscriminati della popolazione penetrando sin dentro le abitazioni civili. Altri combattimenti si ebbero nei pressi dell’aeroporto di Capodichino e di Piazza Ottocalli, dove morirono 3 avieri italiani.
Nelle stesse ore, presso il quartier generale tedesco al corso Vittorio Emanuele (tra l’altro ripetutamente attaccato dagli insorti) avvenne la trattativa tra il Col.Walter Schöll e il Ten.Enzo Stimolo per la riconsegna dei prigionieri del Campo Sportivo del Littorio; Walter Schöll ottenne di aver libero il passaggio per uscire daNapoli, in cambio del rilascio degli ostaggi che ancora erano prigionieri al campo sportivo. Per la prima volta in Europa i tedeschi trattavano alla pari con degli insorti civili.
30 settembre
Mentre le truppe tedesche avevano già iniziato lo sgombero della città per il sopraggiungere delle forze anglo-americane provenienti da Nocera Inferiore, in città il professor Antonio Tarsia in Curia si autoproclamò, presso il Liceo “Jacopo Sannazaro”, capo dei ribelli assumendo pieni poteri civili e militari ed impartendo, tra l’altro, precise disposizioni circa l’orario di apertura degli esercizi commerciali e la disciplina.
Tuttavia i combattimenti non cessarono e i cannoni tedeschi che presidiavano le alture di Capodimonte colpirono per tutta la giornata la zona tra Port’Alba eMaterdei. Altri combattimenti si ebbero ancora nella zona di Porta Capuana.
Gli invasori in rotta lasciarono dietro di loro incendi e stragi; clamoroso fu il caso dei fondi dell’Archivio di Stato di Napoli, che furono dati alle fiamme per ritorsione nella villa Montesano di San Paolo Belsito, dove erano stati nascosti, con incalcolabili danni al patrimonio storico e artistico, e la perdita degli originali membranacei della Cancelleria Angioina.
Il 1º ottobre alle 9:30 i primi carri armati alleati entrarono in città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco in Italia, per bocca del maresciallo Albert Kesselring, considerò conclusa la ritirata con successo.
Il bilancio dei tremendi scontri delle “Quattro Giornate di Napoli” non è concorde nelle cifre; secondo alcuni autori, nelle settantasei ore di combattimenti, morirono 168 partigiani e 159 inermi cittadini; secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 ma dai registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero 562 morti.
È da notare che la gran parte dei combattimenti si ebbero esclusivamente tra italiani e tedeschi. A differenza di altri episodi della Resistenza furono infatti relativamente rari gli scontri con fascisti italiani, che probabilmente non avevano avuto il tempo di riorganizzarsi efficacemente dopo l’8 settembre (ricordiamo infatti che la Repubblica Sociale Italiana fu proclamata il 23 settembre, ovvero solo quattro giorni prima dello scoppio della rivolta).
Facendo un bilancio, oltre l’importantissimo risultato morale e politico dell’insurrezione, le “Quattro Giornate di Napoli” ebbero senz’altro il merito di impedire che i tedeschi potessero organizzare una resistenza in città o che, come Adolf Hitler aveva chiesto, Napoli fosse ridotta «in cenere e fango» prima della ritirata. Parimenti fu evitato che il piano di deportazione di massa organizzato dal Colonnello Schöll avesse successo. La vera ragione per cui non fu fatta la deportazione di massa era la mancanza di treni merci per deportare tutta la popolazione che a Napoli si trovava. Nel breve periodo di occupazione tedesca, ci saranno circa 4000 deportati. A ciò si giunse non soltanto grazie ai 1.589 combattenti ufficialmente riconosciuti, ma anche per la resistenza civile e non violenta di tanti napoletani, fra cui preti e giovani operaie, «scugnizzi» e professori, medici e vigili del fuoco, «goliardi» e disoccupati.
Circa un anno dopo, il 22 dicembre del 1944, i generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, che avevano abbandonato la città nelle mani dei tedeschi all’indomani dell’8 settembre, furono condannati dall’Alta Corte di Giustizia a 20 anni di reclusione militare, condanna in seguito ridotta per condoni e provvedimenti di grazia. Anche l’avvocatoDomenico Tilena, che aveva retto la federazione fascista provinciale durante gli scontri, fu condannato a 6 anni e 8 mesi.
Delle “Quattro Giornate di Napoli” è stata data anche un’interpretazione alternativa a quella corrente, che intende sottolinearne la natura di «resistenza civile e popolare» e di concreto e nobile esempio di «difesa sociale e non violenta» (essendo state utilizzate largamente tecniche non violente come: la non-collaborazione, il boicottaggio, il sabotaggio, il rifiuto della militarizzazione della vita civile e la creazione di organismi paralleli), grazie alle quali un’intera città seppe liberarsi da sola dal giogo nazista.
Alla memoria delle “Quattro Giornate di Napoli”, è stata dedicata l’omonima piazza Quattro Giornate, nel quartiere Vomero, in prossimità dello Stadio Arturo Collana, oggi sede della stazione Quattro Giornatedella Linea 1 della Metropolitana di Napoli, già teatro della maggior parte degli scontri dell’insurrezione. Lapidi commemorative si trovano in via Belvedere (Masseria Pagliarone), sempre al Vomero, a via Luigi Sturzo (Masseria Pezzalonga), all’Arenella, all’ingresso del Palazzo della Borsa, in Piazza Bovio e in Piazza Nazionale.
Un monumento «allo scugnizzo», figura simbolo dell’insurrezione, sorge invece alla Riviera di Chiaia, inpiazza della Repubblica. Il monumento fu progettato dallo scultore Marino Mazzacurati nel 1963, e consiste in una statua di pietra che ritrae gli scugnizzi su ognuno dei quattro lati della scultura.
Le decorazioni
Queste le decorazioni al Valor Militare assegnate nel dopoguerra per l’eroismo della città di Napoli e dei suoi abitanti:
Medaglia d’oro al valor militare (alla città di Napoli)
Medaglie d’oro al valor militare (alla memoria)
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Medaglie d’argento al valor militare
Medaglie di bronzo al valor militare
Le Quattro giornate nel cinema e nella musica
Alla rivolta delle Quattro Giornate sono stati dedicati due film: il primo, ‘O sole mio , girato da Giacomo Gentilomo nel 1945, appena due anni dopo gli eventi, ed il secondo, intitolato proprio Le quattro giornate di Napoli, nel 1962, diretto da Nanni Loy e candidato all’Oscar come miglior film straniero e come miglior sceneggiatura.
L’episodio storico dell’insurrezione napoletana è stato rievocato anche nel finale del film Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini.
Il cantautore Eugenio Bennato ha dedicato all’avvenimento ed in particolar modo alla figura dello “scugnizzo” la canzone “Canto allo scugnizzo”, contenuta nell’album “Musicanova” del 1978. Canzone poi ripresa nel 1998, dal gruppo napoletano 24 Grana, col titolo “Scugnizzi” e contenuta nell’album “Loop Live”.
Fonte web
Scene delle 4 giornate di Napoli
24 Grana “Scugnizzi”