LA VERITA’ DEI SERVIZI SEGRETI AMERICANI SULLA FUCILAZIONE DI MUSSOLINI

1 ottobre 2013 | 00:44
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LA VERITA’ DEI SERVIZI SEGRETI AMERICANI SULLA FUCILAZIONE DI MUSSOLINI

LA VERITA’ DEI SERVIZI SEGRETI AMERICANI SULLA FUCILAZIONE DI MUSSOLINI

novembre 8, 2009 di Antonio

Franco Giannantoni, autore di numerosi libri di storia contemporanea, ha pubblicato recentemente, da Garzanti, un saggio, sicuramente di grande interesse, scritto assieme a Giorgio Cavalleri e Mario J. Cereghino, che getta nuova luce sulle ultime ore di vita di Mussolini, grazie alla scoperta di documenti dei servizi segreti americani redatti nell’immediatezza degli eventi. Ma ascoltiamo quel che in proposito ci dice Giannantoni, attraverso l’intervista che gli ha fatto Sergio Banali.

Ritrovati ai National Archives, College Park, nel Maryland i due rapporti che l’agente segreto Valerian Lada-Mocarski inviò nel maggio 1945 al direttore del Centro Oss-Europa Allen Dulles di Berna. Si basano sulle testimonianze di cinque personaggi che assistettero al capitolo estremo della vita del duce e della sua amante Claretta Petacci e sulla relazione del capo partigiano Luigi Canali “il capitano Neri” scomparso per “fuoco amico” dopo la Liberazione. Il capo del fascismo fu raggiunto a Giulino di Mezzegra nell’alto lago di Como da due colpi di pistola alla schiena esplosi da Walter Audisio “il colonnello Valerio” e da tre colpi di mitra al torace di Michele Moretti “Pietro”. Fu “Neri” a dare due colpi di grazia al duce morente.

Faccia a faccia con Franco Giannantoni davanti al lago di Varese e, sullo sfondo, al Gruppo del Rosa. Il terrazzo è quello del “Maran”, storica trattoria del persico e del lavarello, che ha ospitato nei decenni intellettuali e scrittori da Giovanni Pirelli a Piero Chiara, Guido Morselli, Dante Isella, Luigi Ambrosoli, Luigi Zanzi e altri ancora.

Parliamo dell’ultimo libro di questo inesauribile cacciatore di storie sulla Resistenza, qualche volta “censurate” da “verità” troppo ingessate che non servono a nessuno.

Giannantoni, è in libreria il saggio che hai scritto con Giorgio Cavalleri e Mario J. Cereghino, “La Fine. Gli ultimi giorni di vita di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani 1945-1946”.Di cosa si tratta?

Dopo rievocazioni di ogni natura, spesso di discutibile valore storiografico, abbiamo proposto le relazioni inviate all’inizio e alla fine di maggio del 1945, dunque nell’immediatezza degli eventi, dall’agente Oss Valerian Lada-Mocarski, numero di codice “441”, in missione a Como, al direttore del Centro Europa Oss (Office of Strategic Services) di Berna Allen Dulles (agente “110”) che le aveva commissionate. Al centro c’è la morte di Mussolini. Abbiamo scoperto i documenti ai National Archives presso il College Park del Maryland negli Usa. Gli americani erano furibondi perché il duce gli era sfuggito di mano malgrado avesse numerose “missioni” alle calcagna e volevano sapere al più presto com’erano andate le cose. William Donovan, il capo dell’Oss, premeva sugli agenti europei e così Dulles prese in mano la questione e ne arrivò a capo. Si tratta di due gruppi di carte di un centinaio di pagine ognuno, divisi in capitoli. I testi sono scritti con uno stile asciutto e avvincente. Valerian Lada-Mocarski non era uno spione qualsiasi ma un uomo colto, discendente di una famiglia della nobiltà russa fuggita in Usa dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Gettato nella mischia si era mosso con abilità malgrado il caos di quei giorni e la difficoltà della lingua. Quelli che ha raccolto sono i primi dati oggettivi di quelle vicende. Sinora di ufficiale non c’era stato niente, a parte le numerose e contraddittorie versioni di Walter Audisio “il colonnello Valerio”, capo della missione del Cvl-Clnai inviata a Dongo per giustiziare Mussolini e i gerarchi al seguito.

Qual è il contenuto delle relazioni e a quale arco di tempo si riferiscono?

Si va dalla partenza di Mussolini da Milano nel tardo pomeriggio del 25 aprile alla fucilazione di tre giorni dopo a Giulino di Mezzegra nell’alto lago di Como. Fra questi due momenti Lada-Mocarski ricostruisce il trasferimento della “colonna” del duce a Menaggio, il fallito tentativo di fuga dal valico pedonale di Grandola, il fermo a Musso, l’arresto a Dongo, il trasferimento nella notte alla casermetta della Finanza di Germasino, l’arrivo da Milano del “colonnello Valerio” e di Aldo Lampredi “Guido” con l’ordine di esecuzione per Mussolini del Comitato Insurrezionale (Pertini, Longo, Sereni, Valiani) ed i ministri, la presa in consegna del duce e dell’amante Claretta Petacci in casa De Maria a Bonzanigo, dove la coppia era stata ospitata nella notte fra il 27 e il 28. Poche ore prima era andato a vuoto l’ennesimo tentativo di salvare il duce per iniziativa della componente moderata della Resistenza con il generale Cadorna, capo del Cvl, il colonnello Giovanni Sardagna, capo della Piazza di Como e Pier Luigi Bellini delle Stelle “Pedro” un partigiano monarchico della 52a Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”.

Quali sono le fonti che utilizza l’agente Oss per le sue relazioni?

Sono due, distinte. La prima è costituita da alcuni testimoni oculari. La seconda, decisiva, compresa nel rapporto del 30 maggio 1945, è una testimonianza scritta che il partigiano comunista Luigi Canali “Neri”, capo di Stato Maggiore della 52a Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, gli affida. L’agente Oss per motivi di segretezza non rivela il nome di Canali ma l’identità la si può ricavare con certezza dal fatto che l’agente segreto tratteggia alcuni aspetti della sua figura. E’ definito “il capitano dei locali partigiani” ed è colui che spara due colpi di grazia con la pistola al duce già a terra. “Neri” rivelò alla madre il 4 maggio 1945 prima di scomparire, ucciso per mano degli ex compagni, che Mussolini era morto “male”. “Fate presto, fate presto”, aveva mormorato. Inoltre “Neri” aggiunse alla madre che gli aveva sparato “per pietà” e “che avrebbe dovuto fare una cosa che poteva fare solo lui” (la consegna del rapporto all’agente “441”), poi avrebbe lasciato il Pci comasco, amareggiato per la piega che avevano preso gli avvenimenti. Sono tutti riscontri che confermano come “Neri” disse in quelle circostanze la verità. Che si tratti di “Neri” emerge poi in tutta chiarezza dal fatto che l’agente Oss sottolinea come questo capo partigiano fosse scomparso “senza lasciare traccia di sé”, “vittima di una crisi psicologica”. Infatti era stato ucciso il 7 maggio 1945 da “fuoco amico”, braccato per giorni fra il lago e Como. Non è questa la sede per ricostruire la drammatica vicenda del primo organizzatore della Resistenza comasca ma il quadro che emerge è chiaro e serve per chiudere in modo definitivo questa tragica storia.

Come avvenne l’esecuzione del duce e della Petacci?

Per cominciare: il mito del “colonnello Valerio”, giustiziere solitario, esce infranto. Davanti al cancello del villino Belmonte a Giulino di Mezzegra alle 16,10 di quel 28 aprile 1945 erano presenti cinque persone. Il “colonnello Valerio” (Walter Audisio), “Guido” (Aldo Lampredi), “Pietro” (Michele Moretti, commissario politico del Distaccamento “Puecher” della 52°), “Neri” (Luigi Canali) e “Lino” (Giuseppe Frangi), partigiano vicino a “Neri”, a sua volta ucciso in circostanze oscure il 4 maggio a Dongo. Mussolini, prelevato con la Petacci a casa De Maria, alle 16 è fatto avvicinare al muretto d’ingresso del villino Belmonte con l’amante in lacrime. “Valerio” è alla sinistra del duce, in posizione frontale. “Pietro” è sulla destra. “Guido” è alle loro spalle. “Neri” e “Lino” sono poco distanti a controllare la strada. “Valerio” esplode due colpi con una pistola a Mussolini raggiungendolo alla schiena. Ciò fu dovuto al fatto che Mussolini stava muovendosi come per ripararsi dal mitra di Audisio che invece fa cilecca. L’arma non spara perchè è nuova di zecca, piena di grasso e non è mai stata usata prima. A “Valerio” la consegnò a Milano Alberto Mario Cavallotti, “Albero”, commissario delle brigate dell’Oltrepo, che l’aveva ricevuta da un lancio alleato. Altri tre colpi partono dal mitra Mas 7,65 di “Pietro” che raggiungono il duce al torace. Poi cade la Petacci ma Lada-Mocarski non ne fa cenno forse per pietà. Ed ecco l’altra grande novità: il duce non è morto. Scrive l’agente “441”: “l’occhio di Mussolini ruotava guardando il cielo”. Allora, invitato da “Pietro”, si avvicina “Neri” che dà i due colpi di grazia. Esattamente quello che io e Giorgio Cavalleri avevamo saputo dalla madre di “Neri”, Maddalena Zanoni, trent’anni fa, e che non ritenemmo mai di rendere pubblico in assenza di riscontri oggettivi che oggi ci sono.

C’è dell’altro?

Si. Interessante quanto “Neri”, definito da Lada-Mocarski “the captain of local partisans”, dice a proposito della Petacci. “Lino” gli aveva confidato di aver sentito la donna, rivolta al duce, sussurrare: “Sei soddisfatto che ti abbia seguito fino a questo tragico momento?”, una frase di tragica e ironica amarezza o d’amore infinito. A quel punto “Valerio” con “Guido” e “Pietro” si trasferirono a Dongo a fucilare i ministri per poi portarli a Milano.

Gli Alleati avrebbero voluto prendere Mussolini vivo. Perché? Ci sono accenni?

Era previsto dalla clausola n. 29 del “Lungo armistizio” del 29 settembre 1943 firmato a Malta da Eisenhower e Badoglio. Il duce doveva essere consegnato alle Nazioni Unite, cioè ai sedici rappresentanti dei Paesi vincitori della guerra per un processo pubblico. Certo che, vivo, il duce in mano alleata avrebbe potuto essere utilizzato in mille modi. Tutte le “missioni” Oss partite da Firenze e da Lugano comunque fallirono il bersaglio. Il merito d’aver stretto i tempi è di Luigi Longo, il “vice” di Cadorna, che inviò Audisio e Lampredi.

Nel libro è contenuto anche un rapporto dell’Ufficio X2, il controspionaggio Usa, sull’ “oro di Dongo”.

Secondo l’Oss la somma, fra valuta e oggetti preziosi, sarebbe stata di un miliardo di lire dell’epoca. Per la 52° brigata il valore sarebbe stato di pochi milioni. Certo che molti beni andarono dispersi. Gli stessi ministri si erano preoccupati di consegnare i loro bagagli ai cittadini rivieraschi con l’accordo che, a guerra finita, sarebbero tornati a prendere i loro averi.

C’è un argomento politicamente molto interessante: la collaborazione del “capitano Neri”, un prestigioso partigiano comunista e l’agente Oss Valerian Lada-Mocarski. Su che basi maturò?

Il tema dei rapporti fra Alleati e Resistenza è poco noto o volutamente ignorato. I rapporti ci furono, erano organici e conosciuti dai massimi dirigenti del Pci e del Psi che utilizzarono i ponti-radio Alleati del Sud per comunicare con il Nord occupato, autorizzando da parte loro alcuni elementi a collaborare. Le recenti ricerche del professor Giorgio Petracchi dell’Università di Firenze negli archivi americani mostrano come gli Alleati utilizzassero uomini delle diverse estrazioni politiche per manovrare sui vari scacchieri politici. Era la “linea Donovan”. Per esempio gli uomini della Brigata “Lincoln” della guerra di Spagna, tutti comunisti, da Irwin Goff a Milton Wolff, insegnarono strategie operative a quadri italiani nella base di Bagnoli di Napoli. Lì funzionava il “Communist Desk”, il cosiddetto tavolo comunista. Il caso più clamoroso è quello del partigiano comunista italiano Sandro Beltramini, “comandante Como” della Missione “Violetta”, inviato al Nord per infiltrarsi fra le bande garibaldine. Beltramini riuscì il 28 gennaio 1944 a “liberare” Campione d’Italia dai repubblichini e a trasformarla in base alleata per la Resistenza italiana. Così accadde per Lada-Mocarski: seppe di “Neri”, autorevole, colto, credibile, aperto e lo contattò. E’ vero o no che gli Alleati contribuirono alla liberazione d’Italia? Non è il caso di menare scandalo.

Il libro si chiude con una “sorpresa”.

Eccome. L’agente “441”, una volta rientrato in patria e diventato vice presidente della J. Schoeder Banking Corporation, venne invitato da “Atlantic Monthly” nel dicembre 1945 a ricostruire la fine di Mussolini. Ebbene, da perfetto agente segreto, “si dimenticò” della verità che aveva scritto qualche mese prima, appiattendosi per opportunità sulla versione corrente. A uccidere il duce fu “il colonnello Valerio”, da solo, con una sventagliata di mitra! Il vendicatore solitario!

Sergio Banali